Le minacce di Donald Trump alla Nigeria sono diventate realtà quando una serie di raid aerei hanno colpito il nord-ovest della grande nazione africana. Il tycoon americano ha definito quest’operazione come un potente e mortale attacco contro le forze dello Stato islamico in Nigeria, un’azione resasi necessaria per difendere le popolazioni cristiane perseguitate e uccise nelle regioni settentrionali. Questo raid è stata pianificata dal Pentagono per circa un mese, identificando alcune zone specifiche dove si troverebbero i centri di comando delle cellule dello Stato islamico in questa parte d’Africa.
Gli attacchi dell’aviazione statunitense sono stati concordati anche con il governo di Abuja, che ha subito confermato i bombardamenti contro i terroristi. Il presidente della Nigeria, Bola Tinubu, aveva cercato di minimizzare il problema, dopo le accuse di Donald Trump, ma la situazione sul campo resta critica per la minoranza cristiana che ancora non ha abbandonato gli Stati del nord come ha già fatto la maggioranza. Yusuf Maitama Tuggar è un diplomatico di lunga esperienza e da circa un anno e mezzo guida il ministero degli Esteri della Nigeria, dopo essere stato ambasciatore in Germania.
Ministro Tuggar, il governo nigeriano ha dichiarato di essere al corrente dell’attacco degli Stati Uniti.
«Il presidente Tinubu e tutto il suo gabinetto ministeriale, così come i vertici delle forze armate, erano stati preventivamente informati delle operazioni militari statunitense. Si tratta di attacchi chirurgici che hanno ucciso un numero ancora imprecisato di pericolosi terroristi. La Nigeria vuole collaborare con gli Stati Uniti, che è un grande alleato e che come noi vuole distruggere il terrorismo islamico. Gli Stati di Sokoto e Kebbi, al confine con Niger e Benin, vivono una situazione complicata per le continue infiltrazioni di gruppi islamisti provenienti dalle nazioni vicine. Non escludiamo che in futuro potremmo operare ancora insieme su obiettivi militari molto precisi e sempre nell’ambito della lotta al terrorismo internazionale. Una cooperazione che comprende scambio di intelligence, coordinamento strategico e altre forme di supporto, tutto sempre nel rispetto del diritto internazionale e della sovranità nazionale».
Gli Stati Uniti accusano lo Stato islamico di voler sterminare i cristiani nigeriani e il vostro governo di non fare abbastanza per difenderli.
«Utilizzare il termine Stato islamico è una semplificazione, perché si tratta di una galassia molto complessa. Nella nostra nazione non c’è una presenza significativa dell’Isis in quell’area. Nel nord-ovest, abbiamo bande criminali, chiamate localmente banditi, e di recente è arrivato un gruppo chiamato Lakurawa. Si tratta di miliziani che hanno iniziato a riversarsi in Nigeria dal Sahel, ma negli ultimi 18 mesi-due anni si sono stabiliti negli Stati di Sokoto e Kebbi. I capi delle tribù locali hanno fatto un errore permettendo a questo gruppo di insediarsi nelle loro province per utilizzarli per difendersi dalla criminalità comune, ma la situazione è degenerata e adesso sono un pericolo per tutti. I Lakurawa sono un gruppo terroristico, ma smentiamo che siano ufficialmente parte della Provincia dello Stato Islamico del Sahel (Issp), l’ex Provincia dello Stato islamico del Grande Sahara (Isgs). Questo gruppo agisce soprattutto nelle zone occidentali vicino al lago Ciad e le nostre forze armate lo stanno costringendo a lasciare il nostro territorio. Voglio smentire ufficialmente che il governo nigeriano faccia poco per difendere i cristiani. Tutti i cittadini hanno uguali diritti e sono sotto la protezione dello Stato. Questi terroristi uccidono anche musulmani ed animisti, perché sono dei criminali».
Tutta l’Africa centrale e occidentale rischia di essere travolta dal terrorismo islamico e molte nazioni appaiono impotenti.
«La Nigeria ha istituito una serie di corpi speciali per la lotta all’estremismo islamico che agisce sul territorio. La settimana scorsa abbiamo liberato 30 studentesse rapite da una scuola, arrestando gli uomini che le avevano prese. Il governo federale e quello locale stanno anche portando avanti una serie di azioni di reintegro per tutti quelli che abbandonano i gruppi armati. Nel Sahel ci sono province in mano ai terroristi che vogliono occupare anche il nord della Nigeria. Per questo motivo collaboriamo con diversi stati confinanti in operazioni militari congiunte e siamo felici che gli Stati Uniti ci vogliono aiutare, ma sempre nel rispetto delle decisioni del governo di Abuja».
Nell’attacco alle posizioni dello Stato Islamico in Siria Washington ha colpito 70 obiettivi, neutralizzando la cellula che agiva nella provincia orientale siriana di Deir Ezzor. Questi miliziani dell’Isis erano i responsabili dell’attacco di Palmira dove avevano perso la vita tre americani, due militari e un interprete civile ed erano noti per le continue offensive con droni in questa area. L’operazione, denominata Occhio di falco, si è estesa a diverse località della Siria centrale utilizzando caccia, elicotteri d'attacco e artiglieria e agendo insieme all’aviazione della Giordania. Amman ha confermato la sua partecipazione a questa azione militare ribadendo la propria volontà di sradicare lo Stato Islamico dal Medio Oriente. Ayman Safadi è vice primo ministro e ministro degli Esteri del Regno di Giordania da quasi 9 anni ed è un diplomatico di grande esperienza.
Ministro Safadi, la partecipazione delle vostre forze aeree all’operazione degli Usa dimostra il vostro interesse ad essere protagonisti in Medio Oriente.
«Abbiamo deciso di affiancare gli statunitensi del Centcom perché riteniamo l’Isis un pericolo per tutta la nostra area e soprattutto per la Giordania. Questi terroristi hanno già cercato di infiltrare la nostra nazione, ma la loro propaganda non ha mai attecchito. La Giordania è uno dei 90 paesi che compongono la coalizione globale contro l'Isis, a cui la Siria ha recentemente aderito e questa operazione è l’attuazione pratica dei nostri principi. La nostra aviazione ha agito per impedire ai gruppi estremisti come questo di sfruttare questa regione come una rampa di lancio allo scopo di minacciare la sicurezza dei paesi vicini alla Siria e del Medio Oriente in generale, soprattutto dopo che l'Isis si è riorganizzato e ha ricostruito le sue capacità nella Siria meridionale. In troppi hanno sottovalutato la rinascita di questo network del terrorismo che è proliferato in Africa, dove gestisce traffici di armi, droga e migranti. Con i guadagni di queste attività criminali vogliono ricostituire lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, quella creatura nefasta che aveva conquistato il nord dell’Iraq e tutta la Siria orientale».
Il Medio Oriente è una regione complessa per le diversità culturali e religiose. In Giordania la convivenza sembra funzionare: come vive la sua comunità drusa questo equilibrio?
«Noi drusi siamo un gruppo etno-religioso con una lunga storia e abbiamo sempre lottato per le nazioni dove viviamo. In Giordania la comunità è piccola, ma siamo fieri di essere giordani. In Siria la situazione è complicata per i drusi che sono stati attaccati dai beduini e probabilmente anche da elementi dello Stato Islamico, il nuovo governo di Damasco deve fare di più per difendere le minoranze. Il presidente siriano Ahmed al Shara ha pubblicamente dichiarato di combattere lo Stato Islamico, ma ci sono intere province del sud e dell’est che sono fuori controllo e ci sono ancora troppe armi in Siria».
Il governo israeliano ha dichiarato di non fidarsi del nuovo regime di Damasco, qual è la posizione di Amman?
«Il presidente statunitense Donald Trump ha voluto togliere tutte le sanzioni alla Siria, aprendo un grande credito al nuovo corso. Adesso al Shara deve dimostrare di meritare questa fiducia e lo deve fare pacificando la sua nazione, la Siria è un paese con tante anime: sunniti, sciiti, cristiani e drusi. Washington sta dedicando una grande attenzione al Medio Oriente e questo è positivo. Soltanto il presidente Trump può ottenere una pace duratura e un futuro per la Striscia, la Giordania segue con estrema attenzione ciò che accade a Gaza perché circa il 50% della nostra popolazione è di origine palestinese. Noi siamo totalmente contrari a una divisione della Striscia, il territorio dei palestinese non deve essere toccato ed i confini devono restare gli stessi. La cosa più importante è garantire la sicurezza di tutti, dei palestinesi, degli israeliani ed anche delle nazioni vicine. La Giordania ha sempre represso la presenza di Hamas sul suo territorio, chiudendone gli uffici ed esiliandone i funzionari nel 1999. Negli ultimi anni abbiamo aumentato la sicurezza alle frontiere per ostacolare il contrabbando di armi, collegato ad Hamas che nel passato ha tentato di destabilizzare la Giordania».
Quale futuro per la Striscia di Gaza?
«Dobbiamo difendere la pace e ricostruire un posto dove gli abitanti di Gaza possano vivere. Il nostro sovrano ed il nostro governo hanno più volte dichiarato di essere favorevoli ad un maggior impegno degli europei nella Striscia. La Giordania ha relazioni eccellenti con l’Italia. Sua Maestà il Re Abdullah II di Giordania a marzo ha incontrato Giorgia Meloni e ha espresso apprezzamento per la solida cooperazione tra le due nazioni nell’assistenza umanitaria a Gaza. Il presidente del Consiglio italiano ha voluto sottolineare ancora una volta il ruolo svolto dalla Giordania, come una forza di pace e di dialogo determinante per il futuro di tutta l’area».
Muwaffaq Tarif, leader dei drusi israeliani, parla dei legami transnazionali della comunità, della lealtà agli Stati in cui vivono e ringrazia Israele per l’intervento militare a protezione dei drusi in Siria.
I drusi sono una comunità etno-religiosa distribuita in tutto il Medio Oriente fra Siria, Libano, Israele e anche Giordania. Vivono spesso in villaggi rurali e tendono a concentrarsi nelle aree di confine e nonostante il loro forte legame transnazionale sono cittadini leali delle nazioni che li ospitano.
Il gruppo numericamente più importante è in Siria, dove si stima che vivano circa 700.000 drusi, soprattutto nel Governatorato di Suwayda e nei sobborghi meridionali della capitale Damasco. In Libano rappresentano il 5% del totale degli abitanti e per una consolidata consuetudine del Paese dei Cedri uno dei comandanti delle forze dell’ordine è di etnia drusa. In Giordania sono soltanto 20.000 su una popolazione di 11 milioni, ma l’attuale vice-primo ministro e ministro degli Esteri Ayman Safadi è un druso. In Israele sono membri attivi della società e combattono nelle Forze di difesa israeliane (Idf) in una brigata drusa. Sono circa 150.000 distribuiti nel nNord di Israele fra la Galilea e le Alture del Golan, ma abitano anche in alcuni quartieri di Tel Aviv.
Lo sceicco Muwaffaq Tarif è il leader religioso della comunità drusa israeliana e la sua famiglia guida la comunità dal 1753, sotto il dominio ottomano. Muwaffaq Tarif ha ereditato il ruolo di guida spirituale alla morte del nonno Amin Tarif, una figura fondamentale per i drusi tanto che la sua tomba è meta di pellegrinaggio.
Sceicco quali sono i rapporti con le comunità druse sparpagliate in tutto il Medio Oriente?
«Siamo fratelli nella fede e nell’ideale, ci unisce qualcosa di profondo e radicato che nessuno potrà mai scalfire. Viviamo in nazioni diverse ed anche con modalità di vita differenti, ma restiamo drusi e questo influisce su ogni nostra scelta. Nella storia recente non sempre siamo stati tutti d’accordo, ma resta il rispetto. Per noi è fondamentale che passi il concetto che non abbiamo nessuna rivendicazione territoriale o secessionista, nessuno vuole creare una “nazione drusa”, non siamo come i curdi, noi siamo cittadini delle nazioni in cui viviamo, siamo israeliani, siriani, libanesi e giordani».
I drusi israeliani combattono nell’esercito di Tel Aviv, mentre importanti leader libanesi come Walid Jumblatt si sono sempre schierati dalla parte dei palestinesi.
«Walid Jumblatt è un politico che vuole soltanto accumulare ricchezze e potere e non fare il bene della sua gente. Durante la guerra civile libanese è stato fra quelli che appoggiavano Assad e la Siria che voleva annettere il Libano e quindi ogni sua mossa mira soltanto ad accrescere la sua posizione. Fu mio nonno ha decidere che il nostro rapporto con Israele doveva essere totale e noi siamo fedeli e rispettosi. La fratellanza con le altre comunità non ci impone un pensiero unico e quindi c’è molta libertà, anche politica nelle nostre scelte».
In Siria c’è un nuovo governo, un gruppo di ex qaedisti che hanno rovesciato Assad in 11 giorni e che adesso si stanno presentando al mondo come moderati. Nei mesi scorsi però i drusi siriani sono stati pesantemente attaccati dalle tribù beduine e Israele ha reagito militarmente per difendere la sua comunità.
«Israele è l’unica nazione che si è mossa per aiutare i drusi siriani massacrati. Oltre 2000 morti, stupri ed incendi hanno insanguinato la provincia di Suwayda, tutto nell’indifferenza della comunità internazionale. Il governo di Damasco è un regime islamista e violento che vuole distruggere tutte le minoranze, prima gli Alawiti ed adesso i drusi. Utilizzano le milizie beduine, ma sono loro ad armarle e permettergli di uccidere senza pietà gente pacifica. Siamo felici che l’aviazione di Tel Aviv sia intervenuta per fermare il genocidio dei drusi, volevamo intervenire personalmente in sostegno ai fratelli siriani, ma il governo israeliano ha chiuso la frontiera. Al Shara è un assassino sanguinario che ci considera degli infedeli da eliminare, non bisogna credere a ciò che racconta all’estero. La Siria è una nazione importante ed in tanti vogliono destabilizzarla per colpire tutto il Medio Oriente. Siamo gente semplice e povera, ma voglio comunque fare un appello al presidente statunitense Donald Trump di non credere alle bugie dei tagliagole di Damasco e di proteggere i drusi della Siria».





