2025-04-09
La piccola e storica enclave in Messico che parla ancora veneto
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A Chipilo, nel Messico centro-meridionale, ancora oggi si parla un dialetto simile al trevigiano. La storia di una colonia di italiani che nel 1917 respinse da sola gli assalti degli uomini di Emiliano Zapata.Il Messico di Claudia Sheinbaum: considerata una «dura» da Trump, ha ottenuto risultati nelle trattative sui dazi. Sul fronte immigrazione ha schierato 10mila soldati al confine con gli Usa per porre un freno al flusso. La sfida più importante del prossimo futuro sarà però quella ai cartelli della droga.Lo speciale contiene due articoli.Quando Enzo Bearzot, ct della Nazionale italiana di calcio durante i mondiali del 1986, fece il suo ingresso nella cittadina di Chipilo assieme agli Azzurri, gli abitanti della piccola cittadina esultarono in dialetto veneto, circondati da un tripudio di bandiere tricolori. Ad accogliere l’allenatore e i campioni del 1982 c’era il sindaco, il signor Bepi Pillon. Poi tutta la cittadinanza, in quel maggio di quasi 40 anni fa, si unì alla Nazionale in una grande tavolata dove protagonista era la polenta, bagnata da vino rosso come quello dei vigneti del Piave. Senza riferimenti geografici, questa storia potrebbe sembrare tranquillamente ambientata in una cittadina del trevigiano. Invece si svolse nel Messico centro-meridionale, nella provincia di Puebla, a migliaia di chilometri dai colli del Veneto.Per capire la particolarità che la storia ha riservato a Chipilo, bisogna tornare indietro nel tempo, nell’ultimo ventennio dell’Ottocento, quando il generale messicano Manuel Gonzalez, presidente tra i due mandati di Porfirio Diaz, si recò in Italia in diversi viaggi tra il 1881 e il 1884 in cerca di mano d’opera per la riforma agraria, secondo requisiti che trovarono nell’Italia del Nord il connubio perfetto: gli emigranti dovevano essere abili contadini e soprattutto di religione cattolica. Gonzalez trovò un ottimo serbatoio in Veneto, dove la crisi agricola degli anni Ottanta del secolo XIX prostrò i contadini nel Nordest, falcidiati dalla fame e dalla pellagra. Dal trevigiano nel 1882 partirono i primi emigranti veneti. Le aree interessate alla colonizzazione delle terre messicane furono quelle dei comuni di Segusino, di Volpago e Selva del Montello, oltre a famiglie provenienti dalle province di Verona, Padova, Belluno e Venezia. Gli italiani giunsero in Messico dopo una lunga traversata a bordo del piroscafo «Atlantico» da Genova a Veracruz, per approdare in una terra inospitale e arida. Tuttavia, nella colonia fondata nella zona detta di «Chipiloc» nella lingua indigena, riuscirono in pochi anni a rendere fertile la terra e a attenuare l’iniziale ostilità delle popolazioni, creando in breve tempo un fiorente commercio di prodotti agricoli e dell’allevamento. All’inizio del Ventesimo secolo da Chipilo a Puebla venivano latte, burro, formaggi in grandi quantità, tanto che la colonia dei veneti cominciò a offrire lavoro ai messicani. Nel 1910 le prime turbolenze politiche e sociali che investirono il Messico, giunsero anche nella zona colonizzata dagli italiani. In quell’anno Francisco Madero, oppositore di Porfirio Diaz esiliato da quest’ultimo negli Stati Uniti dopo le elezioni in cui Madero denunciò brogli, invitò la popolazione messicana alla rivolta. Alla sollevazione partecipò anche Pancho Villa e in breve tempo le orde di ribelli giunsero anche nella zona di Puebla, passando da Chipilo che si trovava nei pressi del Camino Real, importante nodo stradale che collegava il Nord con il Sud del Messico. I contadini veneti non risposero alla chiamata alle armi. Erano ormai padroni delle terre che avevano reso produttive dopo anni di durissimo lavoro e avevano un buon rapporto con Diaz, che era stato l’artefice della concessione dei terreni. In risposta, i ribelli più volte si produssero in saccheggi del paese agricolo e dei suoi prodotti e in altrettante occasioni cercarono di rapire le giovani donne italo-messicane alte e bionde, dai caratteri tipici del Nordest italiano. Nel febbraio 1912 Chipilo fu nuovamente presa di mira dai ribelli, questa volta seguaci di Emiliano Zapata, il rivoluzionario che spodestò Madero accusandolo di non avere reso la terra ai contadini messicani. Questa volta l’aggressione fu dura e gli abitanti di Chipilo decisero di ricorrere alla protezione del ministero degli Affari Esteri, che rispose con la distribuzione di fucili e munizioni. Fu da quel momento che la colonia veneta organizzò la prima forma di difesa comunitaria, in cui tutti gli abitanti erano coinvolti e che fu messa a dura prova negli anni successivi quando le incursioni dei rivoluzionari si ripeterono in forme sempre più violente come l’assalto del 22 agosto del 1914 quando gli zapatisti riuscirono a forzare le difese e a mettere in atto un saccheggio così grave da fare intervenire l’ambasciatore italiano in Messico Silvio Cambiagio.Nel maggio del 1915 l’Italia entrava in guerra contro l’Austria-Ungheria. Il Veneto, regione natale degli abitanti di Chipilo, era a poca distanza dal fronte. Da quel 24 maggio i veneti della colonia messicana seguirono con apprensione le vicende belliche che coinvolsero Segusino e gli altri paesi dai quali erano emigrate le loro famiglie, seguendo tramite la stampa (erano alfabetizzati) e le voci arrivate dall’Italia gli sviluppi del conflitto. Ma la Grande Guerra fu per loro anche una fonte di ispirazione per sviluppare nuove tecniche di difesa dagli assalti sempre più violenti dei rivoluzionari, a cui i caparbi veneti erano decisi a sbarrare le porte della loro florida comunità basata sul lavoro. I coloni italiani presero ispirazione dai loro connazionali che combattevano al fronte a 15mila chilometri di distanza e iniziarono a scavare trincee attorno all’abitato, costruire torrette di vedetta e ad organizzare una difesa strutturata contro le incursioni degli uomini di Zapata.La battaglia di Chipilo e il Monte Grappa. 25 gennaio 1917Il trinceramento della colonia di Chipilo fu messo alla prova poco dopo la sua realizzazione. All’inizio del 1917 il Messico era nel pieno dell’instabilità politica. Retto da Venustiano Carranza in lotta con i ribelli di Zapata, il Paese affrontava allora una delle fasi più cruente della rivolta. La zona di Puebla non fu risparmiata, e neppure la colonia italiana di Chipilo. Il 25 gennaio 1917 4.000 uomini la cinsero d’assedio, pronti a saccheggiarla e ad occuparne le terre coltivate dai veneti. Ma le orde di Zapata non si aspettavano una reazione come quella che avevano riservato loro i difensori. Oltre alle difese passive, infatti, gli italiani avevano fatto scattare un piano molto articolato, fatto di arroccamenti, postazioni avanzate, trincee. Oltre ai fucili e alle munizioni ottenute dal governo, si erano ingegnati ed erano riusciti a costruire un cannone artigianale con tubi di ferro, legno e ruote di carro. Quel giorno lo usarono contro gli assalitori, di molto superiori a loro per numero.La battaglia del 25 gennaio è raccontata da Agustín Zago, sindaco di Chipilo negli anni Novanta, con dettagli tratti dalla memoria orale dei suoi concittadini:All'alba del 25 si notarono i primi movimenti del nemico, che cercò di spostare un gruppo di attaccanti verso l'oriente del paese [...]. Ma furono fermati sul colpo, perché tuonò per la prima volta il cannone, seguito da una raffica di colpi di carabina. Con quei colpi iniziò formalmente la battaglia, che durò tutto il giorno con un'alternanza continua di attacchi e ritirate, poiché ogni volta che il nemico organizzava un attacco veniva immediatamente respinto dai colpi provenienti dalla collina, che causavano un numero allarmante di vittime tra i morti e i feriti. Il cannone si scaldò a tal punto che, dopo aver sparato alcuni colpi, divenne inutilizzabile per il blocco del meccanismo [...]. Ma anche i fucili si scaldavano, quindi bisognava lasciarli riposare a turno mentre i tiratori prendevano acqua e cibo per sfruttare le pause. Con il passare del pomeriggio diminuì la frequenza degli attacchi e l'intensità dello scontro. Prima del tramonto, videro come il nemico si ritirava lentamente, portando via i suoi morti e feriti. E la notte tornò al silenzio e il paese alla sua pace abituale [...]. Il giorno successivo, il paese celebrò con gioia la vittoria.A capo dei difensori si era distinto Giacomo Berra, emigrato da egusino all’età di 6 anni, che aveva organizzato la difesa dalla collina nel cuore del paese da allora ribattezzata «Monte Grappa», toponimo che ancora oggi conserva, sulla cui sommità è un monumento ai caduti italiani della Grande Guerra e un memoriale dell’impresa di Chipilo.Negli anni successivi, attorno alla colonia veneta si creò la leggenda, un’eco che fece presa anche in Italia dove agli albori del ventennio la celebrazione della vittoria nella Grande Guerra vide il proprio apice. Nel 1924 una delegazione italiana visitò il Messico, facendo tappa anche a Chipilo. Tra le autorità italiane che furono accolte trionfalmente, c’era anche Giovanni Giuriati, futuro ministro, che consegnò agli italo-messicani una pietra proveniente dalle trincee del «vero» Monte Grappa. Nella piccola comunità dove fu sempre mantenuto l’idioma veneto, il tempo trascorse lontano da un’altra guerra che vide la tragedia del paese d’origine che i cittadini della colonia avevano mitizzato a partire dall’epica della Grande Guerra. Nonostante tutto, la piccola comunità italo messicana, enclave di lingua e tradizioni venete in Centroamerica, riprese il lavoro agricolo e l’allevamento, mantenendo un florido commercio di prodotti derivati. Negi anni Ottanta, quando la Nazionale e Bearzot passarono a salutare la popolazione, era una cittadina di 3.000 abitanti dove le tradizioni culinarie e la lingua chipilese (un trevigiano contaminato dallo spagnolo) erano più vive che mai, e i legami con la terra natale tenuti vivi da scambi e gemellaggi frequenti. Ancora oggi le vie e le piazze della cittadina, dominata dal piccolo «Monte Grappa», portano nomi italiani. Il prodotto di punta è lo s-cech, il formaggio tipico di Segusino, che da un secolo e mezzo è conosciuto in tutto il Messico. Un traguardo conquistato con il duro lavoro quotidiano di una comunità che aveva lasciato la propria terra per fame, e che ne aveva trovata una inospitale. Tutto ciò è contenuto in una filastrocca in chipilese, che ancora oggi viene tramandata tra le famiglie di origini venete, che recita: «Nel Mèsico sémo rivati/ no g’avemo trovato né paja né fieno/ Abiamo dormito sul proprio teréno/come le bestie che va a reposàr».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/messico-storia-attualita-2671726776.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-messico-di-claudia-scheinbaum-tra-i-dazi-di-trump-immigrazione-in-usa-e-cartelli-della-droga" data-post-id="2671726776" data-published-at="1744209240" data-use-pagination="False"> Il Messico di Claudia Scheinbaum. Tra i dazi di Trump, immigrazione in Usa e cartelli della droga Dopo settimane di schermaglie e minacce alla fine il Messico ( ed il Canada) si sono ritrovati fuori dalla lista di paesi colpiti dai dazi che il presidente americano Donald Trump ha stilato in un accorato messaggio al mondo. L’amministrazione statunitense ha spiegato che i prodotti messicani sono stati esclusi da questa nuova misura perché sono già soggetti alla tariffa generale del 25%, imposta loro a causa della scarsa cooperazione in materia di traffico di droga e immigrazione. Ma la dogana statunitense si è detta pronta a continuare a rinunciare anche a questa tariffa se il Messico rispetterà le norme del United States Mexico and Canada Agreement (Usmca). La presidente messicana Claudia Sheinbaum Pardo non ha nascosto la soddisfazione per aver evitato l’imposizione di nuovi e più pesanti dazi ed ha dichiarato che stanno andando avanti i colloqui con Washington per rafforzare il dialogo e la cooperazione. Il governo messicano sta già lavorando ad una strategia per rafforzare l’industria del paese, mentre nei prossimi giorni è prevista una visita ufficiale del ministro dell’Economia Marcelo Ebrard negli Stati Uniti per trovare un accordo commerciale funzionale ai due stati confinanti. Messico e Canada restano i due principali partner di Washington e la presidente Sheinbaum resta convinta che con Donald Trump la trattativa per lavorare insieme resti aperta. Il nuovo presidente statunitense ha definito la collega messicana “una dura” e allo stesso tempo una donna meravigliosa, ma è apparsa soprattutto un’abile mediatrice internazionale. Con Trump la Presidenta, come ama farsi chiamare, ha infatti scelto una linea più morbida rispetto ai premier canadesi Justin Trudeau e Mark Carney, e si cominciano già a vedere i primi risultati. Claudia Sheinbaum ha inviato 10mila soldati al confine con gli Stati Uniti per mettere un freno all’immigrazione ed ha estradato alcuni boss del narcotraffico scavalcando le leggi messicane e consegnandoli alle autorità al di la del confine. La popolarità della Presidenta è alle stelle e stando agli ultimi sondaggi supera l’80% del consenso e lo ha dimostrato riempiendo la spianata dello Zocalo a Città del Messico dove mezzo milione di cittadini erano arrivati per sostenerla e rilanciare un’idea di unità nazionale. Claudia Sheinbaum ha toccato le corde del nazionalismo messicano rifiutando il ruolo di colonia e accettando di cooperare con gli Usa, ma senza nessuna subordinazione. Furbescamente ha evitato di raccogliere qualche provocazione come quella di voler cambiare il nome del Golfo del Messico in Golfo d'America ed ha basato il rapporto su telefonate e contatti diretti con Donald Trump. In realtà, nonostante i buoni rapporti, i dazi su acciaio e alluminio pesano sull’economia messicana, che vede anche molti altri beni esclusi dall’accordo continentale che coinvolge anche il Canada. Internamente la Sheinbaum sta portando avanti una politica di sinistra, come da programma del suo partito Morena ( Movimento Rigenerazione Nazionale) populista e socialista, e sta nazionalizzando diversi settori chiave dell’economia messicana come la produzione petrolifera e quella elettrica. Ma allo stesso tempo sta riformando il sistema giudiziario, con l’elezione diretta della magistratura e la loro subordinazione al governo. Il «Plan Mexico», il programma economico della nuova presidente, punta alla creazione di un milione e mezzo di posti di lavoro e ad una crescita del Pil nazionale del 4,5%. Il Messico dopo anni di crescita continua nel 2024 ha rallentato fermandosi al 1,8% rispetto al 2,4% del resto dell’America latina. Il rilancio passa da importanti investimenti pubblici in settori strategici e da una forte riduzione delle imposte per le aziende che investono in progetti innovativi. Il piano vuole abbattere la pachidermica burocrazia messicana e facilitare l’accesso al credito per gli imprenditori, ma vuole soprattutto sviluppare attività industriali. Negli ultimi 20 anni il Messico ha puntato fortemente agli investimenti dall’estero, trasformandosi in una potenza manifatturiera e nel più importante esportatore dell’America latina. Ma il primo problema che Claudia Sheinbaum deve risolvere resta quello della sicurezza interna, perché intere aree del paese sono sotto il controllo dei cartelli della droga. Il governo messicano ha dichiarato guerra ai narcotrafficanti aprendosi ad operazioni congiunte con le forze speciali statunitensi. Donald Trump ha accusato il Messico di connivenza con i cartelli ed ha chiesto misure più incisive per fermare il traffico di fentanyl oltreconfine. Negli ultimi mesi le operazioni militari contro i narcotrafficanti sono aumentate così come i sequestri, che hanno raggiunto nuovi record. Ma nonostante gli sforzi la guerra ai cartelli della droga sembra molto lontana dall’essere vinta e l’esercito messicano si è spesso dimostrato inadeguato ad uno scontro di questa portata. Flussi migratori e lotta alla droga restano i due argomenti principali di ogni tavolo che mette Messico e Stati Uniti uno di fronte all’altro, due temi caldissimi che la Sheinbaum dovrà dimostrare di saper gestire per continuare a far crescere la propria nazione.
Manifestazione a Roma di Ultima Generazione (Ansa)