2025-01-22
Il Dragone si prepara a una guerra fredda
Xi Jinping (Getty Images)
Xi Jinping sente Vladimir Putin e a Davos difende la globalizzazione. I cinesi sono sotto attacco e temono di perdere il dominio dei commerci via mare. Sfrutteranno l’influenza su Europa e Africa. Per noi tenere i piedi in due scarpe non sarà più possibile. A partire dal dossier porti.Sono bastati pochi secondi alla Cina per capire che le promesse e le minacce di Donald Trump non erano solo slogan elettorali. Tra i 100 ordini esecutivi firmati quasi in contemporanea con l’insediamento una dozzina mira a stravolgere gli attuali equilibri commerciali. Sia sul fronte delle materie prime, sia su quello della trasformazione e dell’approvvigionamento energetico e, infine, ancor più impattante, anche sul fronte delle infrastrutture e della mobilità globale. Risultato, a una decina di ore dall’insediamento il primo rivale degli Usa, la Cina, ha diffuso una raffica di comunicati e organizzato una telefonata tra il presidente Xi Jinping e l’omologo russo, Vladimir Putin. Il rappresentante cinese a Davos ha espresso preoccupazione per l’addio dell’America all’accordo sul clima di Parigi. «Conseguenze enormi», ha detto il diplomatico, «se verranno cambiate le regole globali». Riferendosi all’imminente arrivo dei dazi che Trump ha promesso di mettere a terra con l’intenzione di evitare il dumping cinese e riempire le fabbriche Usa sul fronte dei prodotti e dei lavoratori. «Il protezionismo non porta da nessuna parte, le guerre commerciali non hanno vincitori», ha detto il vicepremier della Repubblica popolare cinese Ding XueXiang durante il suo discorso al Forum economico mondiale. Nel suo discorso, Ding ha più volte rievocato l’intervento che il presidente cinese Xi Jinping tenne a Davos nel 2017 a favore della globalizzazione. «Dobbiamo promuovere insieme una globalizzazione economica inclusiva e risolvere con la cooperazione il disaccordo. La globalizzazione non è un meccanismo a somma zero dove una parte vince e l’altra perde», ha concluso Ding. Omettendo una lunga serie di motivi per i quali i cinesi si trovano proprio bene a Davos in mezzo a quel modello di globalizzazione. Motivi che possiamo riassumere in uno solo ed enorme. La filiera lunga produttiva imposta dal modello globale che ha caratterizzato gli ultimi 20 anni favorisce la Cina. Esattamente da quando 22 anni fa è entrata a far parte del Wto invitata dai partiti e dalle élite socialiste europee. Fu Romano Prodi da Commissario a imbastire la tavola nella quale noi europei non eravamo commensali ma o camerieri o peggio ancora portate da consumare. Dunque, adesso la Cina teme una vera America forte in grado di spaccare in due l’Europa. Certo i momenti storici economicamente violenti come quello che ci aspetta sono difficili da gestire e per l’Ue sarà comunque l’equivalente di uno tsunami. Dal quale potremmo riemerge migliori. Ma per i cinesi è in ogni caso sinonimo di perdita di potere. Durante il discorso di insediamento l’altra sera, Trump ha detto espressamente: «La mia elezione permette di cambiare tanti tradimenti». Il riferimento è a tutti coloro che pur girando con il bigliettino da visita con la scritta atlantista hanno fatto affari in settori sensibili con i cinesi. È grazie a queste collusioni che Pechino è riuscita a diventare leader del trasporto marittimo. Ecco, questo Trump non lo vuole più e Xi Jinping sa che stavolta l’approccio Usa è cambiato davvero. Vale per il Centramerica, per il Sudamerica e per tutti i Paesi lungo la Via della Seta. Italia compresa. Non a caso ieri l’unica dichiarazione di Trump che non è stata commentata dal Dragone è quella relativa al canale di Panama. «Ora è controllato dai cinesi», ha detto il neo presidente Usa, «lo riprenderemo». Il governo panamense ha reagito avviando un audit su Hutchison Ports, società con sede a Hong Kong, che gestisce i porti alle due estremità del Canale. Una mossa formale che poco cambia rispetto alle preoccupazioni di Washington per la crescente influenza cinese nell’area. Oltre a Panama, Pechino ha stanziato 1,3 miliardi tramite Cosco per un porto in Perù. Discorsi simili avvengono in Brasile e nei Caraibi. Infatti se fino a cinque anni fa la strategia era mirata esclusivamente alle materie prime, adesso l’obiettivo cinese è operare direttamente con il Sudamerica per trasformarlo in un mercato di consumo. Collegandolo all’Asia sia sul lato del Pacifico che su quello dell’Atlantico passando per il Mediterraneo. Per questo con Trump i porti italiani torneranno sotto i fari. E si scopriranno molti altarini con tanto di connessioni tra la politica locale e Pechino. La Verità ne ha scritto più e più volte. Ma se il tema diventa parte integrante dell’agenda Trump c’è da aspettarsi i fuochi d’artificio. È chiaro che alla Cina non resta che rivedere i perimetri. Ad esempio cercherà di sfruttare al massimo il potere che esercita sull’Europa e sull’Africa. Sul fronte della transizione energetica, dell’automotive e tutti quei dossier per cui Pechino si è dimostrata tecnologicamente dominante. Una guerra fredda tra gli Usa e la Cina non sarebbe poi così campata per aria. E chi sta in mezzo dovrà allinearsi.
Simona Marchini (Getty Images)