- Allarme di Federcarrozzieri: malgrado servano meno ore di manodopera, aggiustare i veicoli green è un salasso. A pesare sul confronto coi mezzi tradizionali sono l’obbligo di patenti per la sicurezza, l’alto numero di componenti e le procedure più lunghe.
- Immatricolati in un mese meno di 1.400 scooter elettrici, inclusi quelli delle agenzie di noleggio.
Allarme di Federcarrozzieri: malgrado servano meno ore di manodopera, aggiustare i veicoli green è un salasso. A pesare sul confronto coi mezzi tradizionali sono l’obbligo di patenti per la sicurezza, l’alto numero di componenti e le procedure più lunghe.Immatricolati in un mese meno di 1.400 scooter elettrici, inclusi quelli delle agenzie di noleggio.Lo speciale contiene due articoli.Se ne vendono poche di auto elettriche, in Italia siamo intorno al 5% delle immatricolazioni attuali, e in questo numero la metà delle vendite è appannaggio di Tesla. Di più, le case automobilistiche europee non esportano neppure oltre l’Unione - in Cina il mercato è dominato da case autoctone come Byd, Alon, Nio e altre, in un mercato dove Tesla è comunque al secondo posto e Volkswagen, prima tra le case europee, in decima posizione con una quota del 2,69%. È l’effetto della corsa all’elettrificazione imposta dall’alto, che non tiene conto dei veri interessi nazionali e neppure della realtà industriale cinese e delle dimensioni del suo mercato, capace di abbassare i costi ma soprattutto di imporre la sua tecnologia con tempi troppo rapidi per le nostre filiere. Così, irrimediabilmente, ne cominciamo a vedere gli effetti, e una vettura elettrica, che sulla carta dovrebbe avere meno parti che si consumano, al tagliando, ma soprattutto in caso d’incidente, diventa un incubo per il portafogli. Federcarrozzieri, l’associazione di categoria delle carrozzerie italiane, ha calcolato l’aumento dei costi necessari per riparare una vettura elettrica rispetto a una con motore tradizionale. L’aumento calcolato varierebbe tra il 18% e il 30% e non a causa della manodopera prevista per la riparazione, che a rigor di logica dovrebbe, appunto, essere inferiore per la riduzione di organi meccanici usurabili e di parti in movimento delle Bev, bensì per motivi differenti e legati innanzi tutto alla messa in sicurezza di una vettura a batteria che arriva incidentata, prima ancora che i lavori di riparazione possano essere valutati con precisione e quindi cominciati.La causa è innanzitutto la presenza di tensioni elevate, anche 400 volt su alcuni modelli, con il pericolo di rimanere folgorati e i punti nei quali l’alta tensione è presente che sono diversi, come l’inverter, una delle «scatole elettroniche» che converte tensione e corrente in modo opportuno prima di inviare energia al motore. Se le parti sono integre nessun problema, ma se sono deformate dagli urti ogni caso fa a sé. A fare questa messa in sicurezza deve essere un tecnico abilitato mediante un patentino chiamato Pes-Pav previsto dalla normativa Cei 11-27 come aggiornata nell’ottobre 2021, che si consegue dopo un breve corso destinato a formare «persone esperte» (Pes) e «persone avvertite «Pav». E soltanto dopo l’intervento del tecnico si può cominciare a lavorare sul mezzo per capire che cosa è necessario smontare, riparare o sostituire. Ad allungare i tempi e a far salire i costi è quindi anche l’esigenza di saper verificare, programmare e collaudare, conoscere dove poter eseguire le misurazioni dei parametri che possono indicare quale sia il reale problema. Non è infatti quasi mai sufficiente affidarsi alla sola diagnostica di primo livello, e ovviamente ogni costruttore applica componenti e apparati di sua scelta. Non ci sono soltanto i sensori destinati alla sicurezza, presenti ormai in modo numeroso su ogni veicolo, ma proprio le schede dedicate alla gestione dell’energia di bordo, alla regolazione della ricarica, parti che spesso richiedono la calibratura del sistema, l’aggiornamento dei software e anche l’uso di materiali di consumo prima inesistenti in una officina. Banalmente, per cablare un connettore occorrono attrezzi specifici e ogni produttore ne usa di propri. Vero è che in genere sulle vetture elettriche il numero dei sistemi ausiliari alla guida (Adas) è maggiore, così tra radar, sensori, cablaggi, videocamere e connessioni, software, i grattacapi aumentano. Come è avvenuto per i componenti apparsi sulle vetture tra il 1980 e il 2000 (airbag, computer, navigatori), il tempo ha portato a una standardizzazione dei produttori e all’uso di parti comuni con conseguente abbassamento dei costi dei componenti, ma nel mercato delle auto elettriche questo deve ancora avvenire. E così, mettere mano a una riparazione simile, pur tra due vetture dello stesso produttore, ma con tecnologie diverse, porta al salasso, poiché su un mezzo elettrico contemporaneo si trova fino al 60% in più di elettronica. E non mancano i riparatori improvvisati. Il presidente di Federcarrozzieri Davide Galli ha spiegato all’Ansa: «La carrozzerie devono quindi evolversi e aggiornarsi continuamente per far fronte al cambiamento del mercato, ricorrendo a personale sempre più specializzato e a strumentazione sempre più complessa, con un incremento non indifferente dei costi a loro carico che determina, di conseguenza, un aumento esponenziale dei costi di riparazione delle autovetture; chiediamo al governo di intervenire per tutelare la categoria degli auto carrozzieri, anche attraverso interventi mirati tesi a combattere illegalità, abusivismo e attività improvvisate che, specie sulle auto elettriche, eseguono lavori a basso costo non a regola d’arte che mettono a rischio la sicurezza stradale e l’incolumità degli automobilisti». E questo nonostante il fatto che in media un veicolo elettrico è più lento di uno con motore termico, quindi la gravità dei danni da incidente dovrebbe essere inferiore. Ma come si è visto per i premi assicurativi, le operazioni di ripristino incidono enormemente e vanno ad aumentare l’elenco dei motivi per i quali le auto elettriche non vengono acquistate.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/crisi-auto-elettrica-costi-2665276518.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="moto-a-batteria-in-caduta-libera-a-luglio-vendite-giu-di-oltre-il-35" data-post-id="2665276518" data-published-at="1694524304" data-use-pagination="False"> Moto a batteria in caduta libera: a luglio vendite giù di oltre il 35% Se l’auto elettrica si muove a velocità di lumaca, per le moto la situazione è addirittura peggiore. In luglio il flop di vendita delle due ruote a spina (-35,59%) è stato pari alla grancassa ambientalista che da Bruxelles cerca di spingere, invano, gli italiani verso l’acquisto dei veicoli green. Tra l’altro il pessimo dato di luglio segue la voragine di giugno: -54,82 % di moto elettriche vendute rispetto allo stesso mese del 2022. Sta di fatto che in un mese le immatricolazioni sono state poco meno di 1.400, che portano il dato dei primi sette mesi dell’anno a 8.634 mezzi venduti . La frenata ha riguardato soprattutto gli scooter, che con 735 immatricolazioni hanno avuto un calo percentuale del 44,70. Una vera débâcle se si considera che, come avviene per le quattro ruote, ad acquistare i modelli elettrici sono le agenzie di noleggio o di bike sharing. Una situazione ancor più negativa se si pensa che il corto circuito delle moto green avviene proprio nel momento in cui si assiste invece ad una fortissima crescita dell’intero comparto delle due ruote. Dopo un primo semestre 2023, che aveva chiuso con +16,8% sul 2022, anche il mese di luglio infatti segna un ulteriore incremento di poco meno del 17%. Una impennata che fa dire a Paolo Magri, presidente di Confindustria Ancma (l’Associazione nazionale ciclo motociclo accessori) che siamo di fronte ad un «fortissimo desiderio di due ruote degli italiani». Ma perché i motociclisti fanno marameo, nonostante anche gli incentivi, a chi propone motorini, moto e scooter a spina? I motivi vanno a braccetto con quelli degli automobilisti: scarse prestazioni, prezzo elevato dei mezzi, insufficiente autonomia (con le case che spesso dichiarano chilometraggi calcolati «in piano» e dunque superiori al reale), una rete modesta (e in certe Regioni praticamente assente) dei punti di ricarica. Ma anche la volontà dei marchi più blasonati di puntare su nuovi modelli tradizionali, inseguendo più i desideri del grande pubblico di appassionati che i diktat imposti dall’ambientalismo ideologico Ue. Una posizione ben riassunta in una recente intervista a Bloomberg di Jason Chinnock, ceo di Ducati Nord America, il quale ha dichiarato che ci vorranno ancora diversi anni prima che Ducati produca un modello elettrico di serie. Il motivo? Secondo la casa, lo sviluppo tecnologico delle batterie non è ancora sufficiente per assicurare un livello di prestazione sufficiente in linea coi progetti del brand. Ma c’è di più. E lo spiega un manager di un grande gruppo nipponico. «Con l’elettrico rischiamo di perdere la nostra unica forza, che è quella del motore - ci rivela il dirigente. - Senza questa tecnologia diventiamo dei semplici assemblatori». «Un giorno, quando le moto elettriche saranno diffuse, il paradigma cambierà - prosegue il top manager che vuol mantenere l’anonimato. - Gli attori principali saranno i produttori di batterie. Saranno Samsung, LG, Panasonic e altri a creare i motori delle nostre moto. Tutto dipenderà dalla loro capacità di evolvere la tecnologia dei pacchi batterie. Cosa resterà quindi ai costruttori di moto che non hanno in casa una tecnologia elettrica? Poco o niente, se non il design e l’assemblaggio». Un ragionamento che non fa una piega: perché, ci chiediamo, una casa dovrebbe spingere per la transizione a una tecnologia che di fatto toglierebbe l’unico primato di cui dispone, ossia la tecnologia e il know how del motore termico? E se ciò è vero per il Giappone lo è ancora di più per il nostro Paese, che annovera storici e gloriosi marchi, che in questi anni se la sono giocata alla pari (anche vincendo) con i colossi Usa e del Sol Levante nel segno delle prestazioni e della qualità. Fortunatamente per ora il divieto imposto dall’Unione europea, che ha decretato lo stop alla vendita di veicoli diesel e benzina dal 2035 non riguarda le moto. Anche perché in fatto di emissioni i motocicli con nuova tecnologia sono ecologicamente inattaccabili.
Volodymyr Zelensky
Pronto un altro pacchetto di aiuti, ma la Lega frena: «Prima bisogna fare assoluta chiarezza sugli scandali di corruzione». E persino la Commissione europea adesso ha dubbi: «Rivalutare i fondi a Kiev, Volodymy Zelensky ci deve garantire trasparenza».
I nostri soldi all’Ucraina sono serviti anche per costruire i bagni d’oro dei corrotti nel cerchio magico di Volodymyr Zelensky. E mentre sia l’Ue sia l’Italia, non paghe di aver erogato oltre 187 miliardi la prima e tra i 3 e i 3 miliardi e mezzo la seconda, si ostinano a foraggiare gli alleati con aiuti economici e militari, sorge un interrogativo inquietante: se il denaro occidentale ha contribuito ad arricchire i profittatori di guerra, che fine potrebbero fare le armi che mandiamo alla resistenza?
2025-11-15
Ennesima giravolta di Renzi. Fa il supporter dei giornalisti e poi riprova a imbavagliarci
Matteo Renzi (Imagoeconomica)
L’ex premier ci ha accusato di diffamazione ma ha perso anche in Appello: il giudice ha escluso mistificazioni e offese. Il fan della libertà di stampa voleva scucire 2 milioni.
Matteo Renzi è il campione mondiale delle giravolte, il primatista assoluto dei voltafaccia. Nel 2016 voleva la riforma della giustizia che piaceva a Silvio Berlusconi ma, ora che Carlo Nordio ha separato le carriere dei magistrati, pur di far dispetto a Giorgia Meloni fa il tifo per il «No» al referendum. Nel 2018, dopo la sconfitta alle elezioni, provò a restare attaccato alla poltrona di segretario del Pd, dicendo di voler impedire l’alleanza con i 5 stelle, salvo proporre, un anno dopo, un governo con Giuseppe Conte, per poi farlo cadere nel febbraio nel 2021 intestandosi la fine del governo Conte. Quando fu eletta, liquidò Elly Schlein con frasi sprezzanti, definendola un petardo che avrebbe perso pure le condominiali, ma ora abbraccia Elly nella speranza che lo salvi dall’irrilevanza e gli consenta di tornare in Parlamento alle prossime elezioni.
Pierfrancesco Favino (Ansa)
Mentre il tennis diventa pop, il film di Andrea Di Stefano svela l’altro lato della medaglia. Un ragazzo che diventa adulto tra un coach cialtrone (Pierfrancesco Favino) e un padre invasato.
Ora che abbiamo in Jannik Sinner un campione nel quale possiamo riconoscerci checché ne dicano i rosiconi Schützen e Novak Djokovic, tutti abbiamo anche un figlio o un nipote che vorremmo proiettare ai vertici delle classifiche mondiali. Grazie alle soddisfazioni che regala, il tennis inizia a competere con il calcio come nuovo sport nazionale (giovedì su Rai 1 la nazionale di Rino Gattuso ha totalizzato 5,6 milioni di telespettatori mentre sommando Rai 2 e Sky Sport, il match di Musetti - non di Sinner - contro Alcaraz ha superato i 3,5 milioni). Così, dopo esser stati ct della nazionale ora stiamo diventando tutti coach di tennis. Tuttavia, ne Il Maestro, interpretato dall’ottimo Pierfrancesco Favino, Andrea Di Stefano (erano insieme anche in L’ultima notte di amore) raffredda le illusioni perché non avalla nessuna facile aspirazione di gloria. Anzi.
Keir Starmer (Ansa)
Il governo laburista britannico, molto ammirato dai progressisti nostrani, fa retromarcia sulla supertassa ai milionari per paura di una fuga di capitali. Sale così il debito che fa innervosire i mercati: Borse ko anche per i dubbi su un taglio di tassi della Fed.
Settimana negativa per i mercati globali, colpiti da un mix di tensioni macro, dubbi sulle mosse delle banche centrali e segnali di rallentamento dalla Cina. I listini europei hanno chiuso in rosso, mentre Piazza Affari si è distinta in negativo. A pesare: vendite diffuse su bancari e titoli ciclici, con pochi nomi capaci di resistere.






