Dura vita quella del Renzemolino, prezzemolino al sapor di Matteo Renzi. Voi mettetevi nei panni del leader di Italia (quasi) viva: è il 29 dicembre e tocca anche oggi trovare un modo per finire sui giornali. Che fare? Nonna Maria che compie 106 anni ce la siamo già giocata per Natale, il dibattito sulla manovra langue, le polemiche sul ceto medio non si confanno al post panettone, figuriamoci quelle sul campo largo o larghetto. E dunque? Nei giorni scorsi Renzemolino ha provato a lanciare una nuova parola d’ordine contro Giorgialand, ma la trovata (assai lessa) non ha fatto presa. Un po’ meglio la battuta sul dibattito in Senato «durato meno del concerto di Baglioni». Ma ci vuol altro per guadagnarsi un titolo mentre l’Italia prepara i botti di Capodanno. E così ecco il colpo di genio: aggrapparsi all’uomo dei miracoli, al comico che muove le folle, al re del botteghino e della visibilità. Aggrapparsi a Checco Zalone. Alle 10.55 di lunedì 29 dicembre arriva il post. E così, anche per oggi, Renzemolino è salvo.
Ora, però, che cosa dire di Checco Zalone? Lodarlo? Criticarlo? Il rischio della banalità incombe, e poi, si sa, bisogna fare polemica per fare discutere. Così quel genio del Renzemolino ne escogita una delle sue: non interviene direttamente sul film di Checco Zalone, ma se la prende con «il tentativo della destra meloniana di intestarsi Checco Zalone scagliandolo contro l’opposizione». Un tentativo che viene definito «IMBARAZZANTE» (in maiuscolo nel post). Con aggiunta al veleno: «Ma dico almeno a Natale si può andare al cinema senza che persino i film diventino ossessioni per Fratelli d’Italia? Ma dai: occupatevi delle tasse e della legge di bilancio. E giù le mani almeno da Checco Zalone». E in effetti, come dargli torto: giù le mani almeno da Checco Zalone. Non fosse che l’unico ad aver messo le mani su Checco Zalone in queste ore è, per l’appunto, il medesimo Renzemolino.
Non esiste in rete, infatti, una sola dichiarazione di esponenti di Fratelli d’Italia sul film. Nessuno ha parlato. Non la premier, non la sorella, non i capigruppo, non un deputato, non un senatore, non un nome di prima linea, nemmeno di seconda, di terza e nemmeno di quarta linea, nemmeno un consigliere regionale e nemmeno un consigliere comunale, a dirla tutta. Non c’è praticamente nessuno che abbia messo le mani su Checco Zalone (salvo rare e insignificanti eccezioni), oltre a Renzi medesimo che per altro non risulta rappresentare la destra meloniana. L’unica dichiarazione che si riscontra è un breve video di Italo Bocchino in cui il direttore del Secolo d’Italia dice che il film di Zalone manda in crisi la sinistra. Un video del 27 dicembre, per altro, passato piuttosto inosservato (482 mi piace, 328 commenti). Ma poi, anche fosse, si può forse identificare tutta «la destra meloniana» con un modesto video di Italo Bocchino? E che senso ha invitare Italo Bocchino a tagliare le tasse, dal momento che egli non siede al governo e neppure in Parlamento?
È evidente che Italo Bocchino non c’entra. Quel video neppure. Qui siamo di fronte a un puro colpo di genio. O, meglio, di invenzione. Ancora una volta, infatti, la fantasia dell’ex premier supera la realtà: pur di attaccarsi al fenomeno Zalone per godere un po’ della sua visibilità riflessa, Renzemolino s’inventa la cattiva destra meloniana che mette le mani sul film (ma come osa? Ma come si permette?), anziché occuparsi dei problemi degli italiani (perché non parlate di tasse?). Con il risultato, per l’appunto, che l’unico a mettere davvero le mani sul film, anziché parlare di tasse, è colui che accusa gli altri di farlo. Non è fantastico? Chi ha visto Buen Camino sa che, alla faccia dei giornaloni e dei loro critici, Checco Zalone fa sempre ridere molto. Ma Renzemolino di più.
Anche perché basta andare un po’ a ritroso nel tempo per capire che cosa faceva lui quand’era premier. Anno 2016, ricordate? Uscì Quo Vado? e lui, a differenza di Giorgia Meloni, il fenomeno Zalone lo cavalcò eccome. Lanciò addirittura una campagna per sostenere il suo jobs act, contro i fanatici del «posto fisso», dicendo che bisognava uscire dalla «filosofia checcozeloniana» e irridendo i suoi critici («Ora l’hanno capito anche i radical chic»). Lo stesso Zalone parlò di telefonate e sms con cui Renzi lo ha inseguito per mesi. Eppure nessuno allora lo accusò («ma dico, Renzi, almeno a Natale si può andare al cinema senza che persino i film diventino un’ossessione per te? IMBARAZZANTE Ma dai, occupati delle tasse e della legge di bilancio. E giù le mani da Checco Zalone»). Anche se, a differenza di oggi, ci sarebbe stato ben ragione di farlo…
Che ci volete fare? Ci vuole faccia tosta per fare il Renzemolino. Ma alla fine, vedete, ancora una volta ha vinto lui. Lui che con un partito al 2% riesce a stare sempre in tv, lui che ha ottenuto nel 2025 73 interviste (dato del Fatto quotidiano), una ogni cinque giorni, più di chiunque altro (eccezion fatta per il ministro Tajani), lui che scrive libri a manetta, che compare in ogni talk, che spara sentenze dal pulpito dei suoi fallimenti, lui che fatica ormai a raccogliere i voti dei parenti ma si ritiene un fenomeno, lui che si doveva ritirare dalla politica ma continua a imperversare nelle nostre vite, ebbene lui, il re dei ballisti ha vinto anche stavolta. Perché ha sparato una minchiata senza senso su destra meloniana e Checco Zalone, sapendo benissimo che non stava né in cielo né in terra, ma che avrebbe attirato un po’ di attenzione su di lui. E ha ottenuto il suo scopo. Infatti ci è toccato scrivere quest’articolo.







