2025-07-10
Il vitalizio non è un diritto acquisito ma un privilegio che va meritato
Paolo Guzzanti (Imagoeconomica)
Garantire una rendita a chi si spende in politica lasciando il proprio lavoro è un principio giusto, voluto per consentire anche a chi non è ricco di candidarsi. Ma con l’aumento degli stipendi è sfuggito di mano.Conosco da lungo tempo Paolo Guzzanti: lo assunsi quando ero direttore del Giornale e del periodo in cui lavorammo fianco a fianco ho un ricordo eccellente. Dunque, ho letto con interesse il suo grido di dolore, da ex parlamentare colpito dal taglio del vitalizio. Paolo ritiene che la misura disposta ai tempi in cui i grillini erano maggioranza sia una vera e propria ingiustizia. «Il principio del vitalizio come è stato concepito dai padri fondatori (della Repubblica, ndr) era sacrosanto: se sei un cittadino che svolge un lavoro - che sia l’avvocato, il medico, il giornalista -, che a un certo punto si sacrifica e va in Parlamento e non fa il suo mestiere per un certo periodo, deve esserti riconosciuto un vitalizio».Forse stupirò qualche lettore, ma io sono d’accordo con Guzzanti. Se hai un negozio e decidi di candidarti tirando giù la serranda, non solo è giusto che nel caso tu venga eletto lo Stato ti corrisponda uno stipendio, ma è altrettanto scontato che per quel periodo siano accantonati i contributi al fine di corrisponderti in futuro una pensione. Altrimenti nessuno sceglierebbe di farsi eleggere se questo significasse restare senza un mensile e, a 67 anni, senza neppure un assegno previdenziale. I padri costituenti, che Guzzanti cita, introdussero i vitalizi proprio per evitare che solo gli esponenti dei cosiddetti ceti abbienti si potessero candidare. Un operaio lascia il posto retribuito per entrare in Parlamento, ma ha bisogno di poter continuare a mantenere la famiglia e una volta ritiratosi non può essere penalizzato rispetto a chi è rimasto in fabbrica.Fin qui credo che tutti siano d’accordo: chi si candida sceglie di fare il servitore della patria, non il fesso. Il problema, rispetto a ciò che concordarono i padri costituenti, è però ciò che è venuto dopo, non solo con gli aumenti che hanno reso l’appannaggio parlamentare uno stipendio di lusso, che nulla ha a che fare con le retribuzioni medie, ma anche con tutte le norme che hanno trasformato i compensi degli onorevoli in privilegio di una Casta. Anni fa pubblicai un’inchiesta in cui misi a confronto i contributi versati da deputati e senatori e i soldi ricevuti sotto forma di pensione. Ricordo che nel caso di Eugenio Scalfari, che ballò in parlamento per una sola legislatura, la differenza era a sei zeri. E lo stesso si poteva dire di Stefano Rodotà. Non solo: agli onorevoli era consentito ciò che ai comuni mortali era negato. Ovvero ricevere il vitalizio anche con soli cinque anni di versamenti e pure in largo anticipo sull’età pensionabile, prova ne sia che Scalfari e Rodotà incassarono molto prima della data stabilita per il resto dei lavoratori. Inoltre, deputati e senatori, mentre sedevano in Parlamento potevano continuare a svolgere l’attività precedente, mantenendo quindi il reddito iniziale e anzi aumentandolo grazie all’appannaggio parlamentare. Fino a un certo punto questo era consentito anche ai dipendenti pubblici. Prova ne sia che Oscar Luigi Scalfaro, il quale prima di essere eletto aveva fatto il giudice a Novara per pochi mesi, maturò la pensione da magistrato pur avendo fatto il parlamentare tutta la vita e non avendo più messo piede in un’aula di tribunale. Qualcuno, come Anna Finocchiaro, altra onorevole di lungo corso, è andata in pensione con la toga avendola indossata per soli sei anni, ma con la qualifica di magistrato di Cassazione.Il discorso non vale solo per i dipendenti pubblici, bensì anche per i liberi professionisti. Anzi, più per i liberi professionisti, in quanto un dipendente pubblico deve essere collocato in aspettativa e dunque non percepisce lo stipendio (ma percepirà la pensione), mentre un avvocato, un medico che faccia la libera professione o un giornalista può continuare tranquillamente a fare il proprio mestiere e ricevere il relativo compenso perché non ha un obbligo di presenza, né un vincolo di orario, in parlamento o in ufficio.Quando tu fosti eletto, caro Paolo, hai continuato a fare il tuo lavoro come prima e per questo sei stato retribuito. Perché dunque lo Stato dovrebbe corrisponderti una seconda pensione come se quella da onorevole fosse in sostituzione della prima? Tu dirai, ma io ho lavorato doppio, per il Giornale e al Senato («in Parlamento ho sputato sangue»). In tanti lavorano il doppio e spesso non soltanto non riescono a portare a casa una seconda pensione, ma a volte nemmeno la prima. Dunque, caro Guzzanti, te lo dico da amico, metti da parte le rivendicazioni: ci sono privilegi della Casta che sono insopportabili, soprattutto di fronte alle difficoltà delle famiglie. La pensione da giornalista non ti basta? Tu che hai la possibilità di lavorare, perché il giornalista non va mai in pensione, puoi integrare il reddito senza bussare alla porta dello Stato per ricevere quattrini. Puoi scrivere e andare in tv. Lo hai sempre fatto nel migliore dei modi e puoi continuare a farlo. Oltretutto, come ci hanno insegnato Montanelli, Biagi e perfino il tuo amico Scalfari, scrivere aiuta. A mantenersi giovani. Auguri, dunque.