2025-11-15
Ennesima giravolta di Renzi. Fa il supporter dei giornalisti e poi riprova a imbavagliarci
Matteo Renzi (Imagoeconomica)
L’ex premier ci ha accusato di diffamazione ma ha perso anche in Appello: il giudice ha escluso mistificazioni e offese. Il fan della libertà di stampa voleva scucire 2 milioni.Matteo Renzi è il campione mondiale delle giravolte, il primatista assoluto dei voltafaccia. Nel 2016 voleva la riforma della giustizia che piaceva a Silvio Berlusconi ma, ora che Carlo Nordio ha separato le carriere dei magistrati, pur di far dispetto a Giorgia Meloni fa il tifo per il «No» al referendum. Nel 2018, dopo la sconfitta alle elezioni, provò a restare attaccato alla poltrona di segretario del Pd, dicendo di voler impedire l’alleanza con i 5 stelle, salvo proporre, un anno dopo, un governo con Giuseppe Conte, per poi farlo cadere nel febbraio nel 2021 intestandosi la fine del governo Conte. Quando fu eletta, liquidò Elly Schlein con frasi sprezzanti, definendola un petardo che avrebbe perso pure le condominiali, ma ora abbraccia Elly nella speranza che lo salvi dall’irrilevanza e gli consenta di tornare in Parlamento alle prossime elezioni.Il meglio, tuttavia, Renzi lo dà quando parla di giornalismo e libertà di stampa. In passato Alessandro Sallusti raccontò che, da presidente del Consiglio, minacciò di spezzargli le gambe per alcuni articoli non graditi e Ferruccio de Bortoli, invece, rivelò che un giornalista del Corriere venne intimidito dal caposcorta del premier per aver osato prendere una stanza nello stesso albergo. E Renzi si lamentò con De Bortoli per la violazione della privacy, invece di scusarsi. Per non parlare poi di quando, per essere stato ripreso da una professoressa all’Autogrilli in compagnia di un agente dei servizi segreti, accusò Report di averlo pedinato (evitando, così, di spiegare perché, mentre l’Italia era chiusa a chiave da Conte e compagni, lui incontrasse uno 007). Adesso che, però, non sta più a Palazzo Chigi, il fondatore di Italia viva ha abbracciato la causa della libertà di stampa. E, dunque, eccolo difendere i cronisti che sarebbero stati spiati con un software israeliano. «Ci rendiamo conto che è in ballo la tenuta istituzionale di questo Paese e la libertà di stampa?», ha tuonato invocando un intervento del Parlamento.Ma mentre ora difende i giornalisti minacciati, a suo dire, da Giorgia Meloni, in passato è giunto a querelare, ottenendo condanne e risarcimenti per decine di migliaia di euro, sia Il Fatto quotidiano sia Dagospia. La colpa del giornale di Marco Travaglio e del sito di Roberto D’Agostino? Averlo chiamato bullo e cazzaro. Con noi ha fatto anche peggio, citandoci in giudizio per 543 articoli e 134 prime pagine della Verità, ovvero quasi dieci anni di pubblicazioni a suo dire diffamatorie, e chiedendo un risarcimento di 2 milioni di euro. Il tribunale di Firenze in primo grado gli diede torto, condannandolo a pagare le spese di lite, quantificate in 38.000 euro. Secondo il giudice, le notizie erano di pubblico interesse e le vicende giudiziarie riguardanti esponenti della famiglia dell’ex premier erano vere, anche se non coinvolgevano lo stesso Renzi. A parere del giudice, che respinse la richiesta di risarcimento e lo condannò a pagare le spese, il fondatore di Italia viva «fondamentalmente vorrebbe impedire al libero giornalismo di informare la popolazione di questi fatti, solamente perché egli non era iscritto nel registro degli indagati».Lo smacco non ha, però, fermato l’ex presidente del Consiglio, che ha deciso di ricorrere in appello e, pochi giorni fa, i giudici della quarta sezione civile del tribunale di Firenze hanno emesso una nuova sentenza, respingendo ancora una volta le pretese risarcitorie di Renzi e condannandolo a pagare altre 28.000 euro di spese di lite. Per i giudici, a prescindere dallo stile usato, gli articoli partono da «un nucleo di verità» ed è escluso che siano diffamatori e va respinta l’ipotesi che La Verità avesse accreditato responsabilità di Renzi nelle indagini che riguardavano i suoi familiari. «L’accostamento a tali vicende di Matteo Renzi», scrivono i giudici, «è giustificato dal fatto che esse riguardavano persone a lui vicine ed è legittimo che, quando un soggetto si trova in posizioni apicali e di potere, si faccia luce su ciò che è contiguo ad esso, per un principio di trasparenza». Quanto al numero degli articoli, «la pur massiccia e costante critica» nei confronti di Renzi «resta una manifestazione di giudizio politico […], condotta senza mistificare i fatti di partenza, né proferendo gratuite offese personali».Insomma, ciò che Renzi ha cercato di fare è tapparci la bocca. Da vero campione della libertà di stampa e da numero uno dei voltafaccia. Alla prossima puntata, dunque, con la prossima giravolta.