2023-02-21
La Consulta si contraddice e boccia i vaccini forzati. Ma soltanto per i soldati
La Corte silura un comma del codice militare pro punture coatte. Peccato che sulla popolazione sia stato applicato un altro criterio.Se non è per il Covid, un vaccino non può essere sempre obbligatorio. Con la sentenza n. 25 del 2023, la Consulta ieri ha stabilito l’incostituzionalità delle punture coatte, imposte ai soldati da impiegare in particolari condizioni operative, senza che le autorità indichino neppure le malattie dalle quali dovrebbe proteggere la profilassi farmacologica. Bocciato, dunque, l’articolo 206 bis del Codice dell’ordinamento militare, secondo il quale si possono prescrivere alle reclute vaccini non previamente individuati per via legislativa, bensì rimessi alle indicazioni di fonti secondarie, quindi ad atti amministrativi.Il caso è stato sollevato da un’udienza preliminare, svoltasi presso il tribunale militare di Napoli. Il gup, Andrea Cruciani, aveva ipotizzato che la disposizione del Com fosse in contrasto con l’articolo 32 della Carta fondamentale, oltre che con l’orientamento della Consulta sulle condizioni alle quali un obbligo vaccinale è legittimo: se la somministrazione del farmaco preserva sia lo stato di salute del singolo, sia quello degli altri; se non incide negativamente sull’incolumità di chi viene sottoposto alla puntura; e se, nell’ipotesi di effetti collaterali, sia comunque prevista un’indennità per il danneggiato. L’ultima sentenza della Corte costituzionale chiarisce che, se si pretende di obbligare un individuo a sottoporsi a un’iniezione, non si può soltanto definire in modo generico il tipo di trattamento richiesto per lo svolgimento di una mansione - il dispiegamento sul campo delle truppe. Si devono specificare le patologie che verrebbero contrastate tramite il vaccino.Tra l’altro, il giudice militare cita esplicitamente i medicinali anti Covid e i vaccini non approvati in via definitiva dai regolatori, ricordando che l’articolo 206 bis del Com ammette che, «in condizioni di emergenza sanitaria, a carattere nazionale o internazionale, potranno essere usati anche presidi profilattici non registrati ma idonei e di provata sicurezza ed efficacia». Insomma, gli uomini in tuta mimetica potevano essere costretti a farsi iniettare un farmaco non definitivamente validato da Ema e Aifa, com’era quello contro il coronavirus: Comirnaty, il rimedio di Pfizer, ha ricevuto l’ok finale dalla nostra agenzia nazionale solo a gennaio 2023.Ma c’è di più. Nel testo diffuso dalla Consulta, infatti, si legge che lo «scopo» dell’obbligo vaccinale, che andrebbe specificato, coincide con «l’infezione» che il medicinale dovrebbe prevenire. Se manca questo dettaglio, il «trattamento sanitario imposto» è da considerarsi «indeterminato» e, quindi illegittimo, essendo stato «vanificato quel carattere di precisione che la stessa Assemblea costituente ha inteso imprimere nella riserva di legge» contenuta nell’articolo 32 della Carta. Nel quale si stabilisce che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge» e che quest’ultima «non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana».Cosa se ne può dedurre? A rigor di logica, che quella per salvare il decreto del governo Draghi sulle inoculazioni forzate a medici e infermieri è stata una vera arrampicata sugli specchi. La norma di aprile 2021, infatti, parlava di «prevenzione del contagio da Sars-Cov-2» e dichiarava che la «vaccinazione gratuita» era finalizzata alla «prevenzione dell’infezione» da coronavirus. Poiché il farmaco si è presto rivelato inidoneo allo scopo determinato, l’obbligo andava fatto saltare. Invece, è stato mantenuto, di rinnovo in rinnovo, finché Orazio Schillaci, ministro dell’esecutivo di Giorgia Meloni, non ha anticipato di un mese la scadenza naturale dell’ultima proroga.Stride, pertanto, il paragrafo in cui la Consulta argomenta che «l’assoggettamento di alcune categorie professionali, compreso il personale del comparto Difesa, e degli ultracinquantenni, alla vaccinazione obbligatoria contro l’infezione da Covid-19», sia stato giudicato lecito, in quanto il legislatore aveva individuato il «vaccino relativo alla patologia» da contrastare. La «vaccinazione obbligatoria», appunto, doveva servire a impedire «l’infezione». Intanto, alle persone sottoposte all’inoculazione coatta, il farmaco è stato rifilato seguendo criteri piuttosto caotici: miscugli di dosi eterogenee; richiami prescritti a prescindere dal fatto che, nel frattempo, si fosse guariti; nessuna considerazione per il rapporto rischi-benefici, in rapporto alle diverse fasce d’età di insegnanti, forze dell’ordine e dottori. Resta un dato politico: il redattore della sentenza di ieri è stato Nicolò Zanon, giurista che, per formazione, non è allineato all’orientamento dominante nel collegio, attualmente capitanato da Silvana Sciarra, che era stata nominata in quota Pd. Quella sensibilità culturale, all’interno della Corte, è stata schiacciata e marginalizzata, ma può ancora parlare a colpi di prudenti, calibrate, benché eloquenti sentenze. Ai buoni intenditori toccherà tradurre i segnali di fumo.