2025-08-07
        «I giudici tendono a esondare dal loro ruolo»
    
 
        Nel riquadro, il costituzionalista Carlo Iannello (Imagoeconomica)
    
Il costituzionalista Carlo Iannello: «Da Maastricht in poi neutralizzati i poteri statali. Ma così si erode la democrazia».Carlo Iannello, professore di Diritto costituzionale presso l’università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli, condirettore del Laboratoire Méditerranéen de Droit Public, interviene sulla vicenda «liberazione del torturatore libico» che sa di assedio giudiziario all’esecutivo. Il caso Almasri è una faccenda tutta politica, dichiarava ieri il direttore Belpietro nel suo editoriale. Ne conviene?«Da giurista potrei rispondere che siamo di fronte alle contraddizioni del formalismo giuridico. Assistiamo a un controllo giudiziario su atti che avrebbero potuto essere secretati - era una opzione del tutto possibile - e su atti che comunque hanno alla base una ragione di Stato. Cioè tutelare la sicurezza dei cittadini italiani in Libia. In casi eccezionali, quando ci sono preminenti ragioni di interesse pubblico e proprio a garanzia della separazione dei poteri, alcuni atti sono qualificati come politici. Lo dice per esempio l’articolo 7 del codice del processo amministrativo, secondo il quale “non sono impugnabili gli atti emanati dal governo nell’esercizio del potere politico”. È chiaro che in casi come questo l’intervento del giudice rischia di diventare scivoloso, perché se alla base c’è l’interesse pubblico è difficile individuare dei reati».Sarebbe stato opportuno, dunque, utilizzare il segreto di Stato?«Avrebbe eliminato ogni questione».Se, come risulta evidente, l’unico interesse è creare un caso politico-giudiziario, è altrettanto palese l’intento di togliere sempre più potere alla politica per lasciarlo a chi? Alla magistratura?«La magistratura è un potere diffuso e anche i magistrati vivono un clima in cui il potere politico viene sempre più malvisto, emarginato. In alcuni casi adottano delle sentenze che si prestano a critiche, come la Corte di Cassazione che dà ragione ai cittadini che combattono il cambiamento climatico facendo causa all’Eni. Ma come fa un giudice a prevedere una “misura” relativa a un problema così enorme che richiede una pluralità di scelte politiche? Non è propriamente suo campo. In alcuni casi c’è un’esondazione della magistratura dal suo ruolo».Come arginarla?«Bisognerebbe ritornare ad avere un dominio della politica, quindi degli organi democratico-rappresentativi, altrimenti il potere decisionale si sposta altrove. O sale verso l’alto, verso la governance globale, o si alloca nei poteri diffusi della magistratura che, però, non è un organo istituito per adottare scelte politiche. Pensiamo a sentenze della Consulta che a volte invadono il campo del legislatore, per esempio quella sulle “due madri”. Questione di carattere politico, è una scelta che dovrebbe fare il Parlamento: la Costituzione rende possibile un’ampia gamma di scelte, non impone le “due madri”. Prima la Corte Costituzionale era molto prudente nei confronti del Parlamento, adesso si vedono alcuni giudici che seguono il vento e utilizzano il potere discrezionale dando delle soluzioni».Questo, a suo avviso, perché accade?«C’è una tendenza in atto, graduale e sistematica, ad erodere quanto più possibile potere agli organi democratico rappresentativi, quindi a quella che noi definiamo politica. Pensiamo alle autorità amministrative indipendenti, create all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso. Sono in realtà dei giudici che fanno la “legge”, l’applicano e governano i settori strategici per l’economia del Paese, dall’elettricità ai trasporti, alle telecomunicazioni, violando il principio di separazione di poteri. Sono autorità indipendenti dal potere politico: è stata tolta al governo l’autorità di intervenire per contrastare le leggi di mercato. Questo è in rotta di collisione con il programma costituzionale, come scrivo nel mio libro Lo Stato del potere (Meltemi editore). La politica deve ricreare un sistema normativo in grado di consentire al governo e al Parlamento degli interventi per far valere gli interessi sociali dei cittadini».Giudici nostrani, giudici europei. La sentenza del 1° agosto della Corte di giustizia Ue sui Paesi sicuri vuole rivendicare il primato del diritto dell’Unione su quello dei singoli Stati membri, comprimendo l’autonomia del governo e del Parlamento. In questo caso, nell’indirizzo normativo e amministrativo del fenomeno migratorio.«La Corte di giustizia ha detto che il governo e il Parlamento italiano hanno fatto bene a individuare i Paesi sicuri attraverso l’atto legislativo, ma al punto 84 della sentenza afferma che la questione non deve necessariamente vertere sull’esame del merito delle esigenze di protezione internazionale. Può anche riguardare gli aspetti procedurali dell’accoglimento di una domanda, tra i quali figura la designazione di un Paese terzo come di origine sicura. Finché si dice che il giudice può contestare che, in un caso specifico, quel Paese sia sicuro, nulla da obiettare perché è tutela di un diritto individuale. Invece la Corte di giustizia attribuisce al giudice un potere di carattere discrezionale che non è tra i suoi compiti. Altro indice di compressione delle prerogative di un governo e del suo Parlamento. È un vento che ritroviamo nella costruzione europea, che da Maastricht in poi neutralizza i poteri statali».
        Francesca Albanese (Ansa)
    
        Emanuele Fiano (Getty Images)
    
        Emanuele Fiano (Imagoeconomica)