2025-07-10
Primo semestre in rialzo soprattutto grazie al traino delle banche. Il listino Euronext growth però zoppica La discesa del dollaro attira i capitali stranieri in Europa. Bene Leonardo, Iveco e Lottomatica. Giù Stellantis.Piazza Affari ha chiuso il primo semestre con un rialzo vicino al 20%, posizionandosi tra le migliori Borse mondiali, trainata dal settore bancario, che ha segnato un +29%. L’andamento è stato simile a quello delle Borsa tedesca (sostenuta da un piano di investimenti) e spagnola, mentre Londra e Parigi sono rimaste più indietro.Nonostante una dinamica turbolenta, con un forte inizio anno, un calo del 15% dopo l’annuncio dei dazi americani e una successiva ripresa, la Borsa italiana ha retto bene anche in un contesto geopolitico difficile (tensioni Iran-Israele, bombardamenti Usa su siti nucleari). Il Ftse mib è stato trainato dalle banche - protagoniste di un’ondata di consolidamenti - e dal settore della Difesa, favorito dai piani di spesa europei e Nato.Tra i titoli più performanti da inizio anno figurano Leonardo (+78,92%), Iveco (+83,04%), Lottomatica (+81,12%), Telecom Italia (+67,44%), Avio (+65,61%), Unicredit (+53,39%), Unipol (+42,34%) e Banco Bpm (+55,40%). Bene anche società a larga capitalizzazione come Intesa Sanpaolo (+32,34%) ed Enel (+21,13%).Non tutti i settori però hanno brillato. Gli indici delle medie e piccole capitalizzazioni, in particolare l’Euronext growth market, hanno faticato. «Qui il termine “Growth” (crescita, ndr) appare più un auspicio», secondo Salvatore Gaziano, direttore investimenti di Soldiexpert scf, «complice anche il continuo fenomeno del delisting, nonostante i progetti di rilancio da parte dello Stato italiano».Sorprendentemente, la resilienza di Piazza Affari ha coinciso con un calo dello spread italiano rispetto a quello di altri Paesi europei, riflettendo un peggioramento della situazione economica e del debito pubblico di nazioni come Francia e Regno Unito. Intanto, flussi di capitale che negli anni scorsi si erano concentrati sugli Stati Uniti stanno tornando in Europa, favorendo mercati meno costosi come quello italiano, anche grazie all’indebolimento del dollaro e al calo di fiducia verso l’economia americana.Tra le note dolenti spicca Stellantis, in forte calo (-27,45% da inizio anno), che ha perso circa il 75% del proprio valore in poco più di un anno. La produzione di auto nel primo semestre è scesa del 33% rispetto al 2024; i veicoli commerciali sono calati del 16,3%. Secondo i sindacati, non si prevedono segnali di ripresa nel breve periodo. Il problema, in questo caso, è a livello di sistema, con l’Ue che spinge per l’auto elettrica, senza che quest’ultima sia veramente pronta in termini infrastrutturali e di gradimento della clientela. Il 23 giugno si è insediato il nuovo ad Antonio Filosa, che punta a riorganizzare il gruppo a partire dagli Stati Uniti, dove la redditività è maggiore e le difficoltà sono inferiori rispetto all’Europa. Alcuni analisti ipotizzano anche un possibile futuro scorporo dei marchi americani (Chrysler, Dodge, Jeep, Ram), ipotesi però smentita dalla società. Filosa avrà sede negli Stati Uniti, a differenza del suo predecessore Carlos Tavares, che guidava il gruppo dall’Europa.
I governi ricordino che il benessere è collegato all’aumento dell’energia utilizzata.
Quattro dritte ai politici per una sana politica energetica.
1 Più energia usiamo, maggiore è il nostro benessere.
Questo è cruciale comprenderlo. Qualunque cosa noi facciamo, senza eccezioni, usiamo energia. Coltivare vegetali, allevare animali, trasportare, conservare e preparare il cibo, curare la nostra salute, costruire le dimore dove abitiamo, riscaldarle d’inverno e rinfrescarle d’estate, spostarci da un posto all’altro, studiare fisica o violino, tutto richiede l’uso di energia. Se il nostro benessere consiste nella disponibilità di nutrirci, stare in salute, vivere in ambienti climatizzati, poterci spostare, realizzare le nostre inclinazioni, allora il nostro benessere dipende dalla disponibilità di energia abbondante e a buon mercato.
Stéphane Séjourné (Getty)
La Commissione vuole vincolare i fondi di Pechino all’uso di fornitori e lavoratori europei: «È la stessa agenda di Donald Trump». Obiettivo: evitare che il Dragone investa nascondendo il suo know how, come accade in Spagna.
Mai più un caso Saragozza. Sembra che quanto successo nella città spagnola, capoluogo dell’Aragona, rappresenti una sorta di spartiacque nella strategia masochistica europea verso la Cina. Il suicidio chiamato Green deal che sta sottomettendo Bruxelles a Pechino sia nella filiera di prodotto sia nella catena delle conoscenze tecnologiche si è concretizzato a pieno con il progetto per la realizzazione della nuova fabbrica di batterie per auto elettriche, che Stellantis in collaborazione con la cinese Catl costruirà in Spagna.
La Cop30 di Belém, Brasile (Ansa)
Il vertice ospitato da Luiz Inácio Lula da Silva nel caldo soffocante di Belém si chiude con impegni generici. Respinti i tentativi del commissario Wopke Hoekstra di forzare la mano per imporre più vincoli.
Dopo due settimane di acquazzoni, impianti di aria condizionata assenti e infuocati dibattiti sull’uso della cravatta, ha chiuso i battenti sabato scorso il caravanserraglio della Cop30. Il presidente del Brasile Luiz Inácio da Silva detto Lula ha voluto che l’adunata di 50.000 convenuti si tenesse nella poco ridente località di Belém, alle porte della foresta amazzonica, a un passo dall’Equatore. Si tratta di una città con 18.000 posti letto alberghieri mal contati, dove le piogge torrenziali sono la norma e dove il caldo umido è soffocante. Doveva essere un messaggio ai delegati: il mondo si scalda, provate l’esperienza. Insomma, le premesse non erano buone. E infatti la montagnola ha partorito uno squittìo, più che un topolino.





