2025-10-29
La competenza diventa dogma solo se la nomina non arriva da sinistra
Venezi inadeguata? Eppure il merito è ignorato quando si tratta di dicasteri, film, cultura, Ong...Contrariamente a quanto poteva apparire a prima vista, la polemica sulla nomina di Beatrice Venezi a direttore musicale del Teatro La Fenice di Venezia non solo non si spegne, ma il piccolo mondo antico di quelli che alle quattro del pomeriggio di mercoledì possono andare a fare i sit-in rilancia la propria lotta contro il Fascismo rappresentato dalla nomina di una incompetente, favorita unicamente dalla propria presunta amicizia con il presidente del Consiglio. Gli orchestrali de La Fenice si rifiutano di farsi dirigere da una non all’altezza e visto che loro rivendicano il diritto di definire chi è all’altezza e chi no - declassando implicitamente tutti quelli che fino ad ora hanno detto che la Venezi era perfettamente all’altezza al rango di incompetenti, oppure di pavidi, oppure di fascisti - non cadremo certo noi nell’errore di dire che gli orchestrali de La Fenice non possono giudicare. Sgombriamo dunque il campo dalle polemiche e schieriamoci tutti con l’idea anni Settanta di «orchestra-collettivo» la quale, come in Prova d’orchestra di Fellini, definisce da sé chi sia adatto a dirigerla sino eventualmente a dichiarare il direttore inutile e sostituirlo con un metronomo. Fatto sta però che la vicenda Venezi ha ricordato, nella sua singolarità, una questione molto più ampia, una questione relativa all’idea stessa di «merito», di «fama» e di «nomina». Non è certo un caso se l’idea di «chiara fama» sia ancora così viva nell’ambito della musica classica, non solo perché la musica è la più esigente delle arti in quanto, a differenza di un vernissage, obbliga chi la fruisce a stare seduto per varie ore anche senza niente da bere in mano, ma perché l’altro ambito d’elezione del concetto di «chiara fama» - l’accademia - potrebbe a oggi eventualmente mostrare qualche piccola criticità. Benedetta dunque la polemica su Beatrice Venezi che ci interroga tutti su come, quanto, dove e perché la competenza debba essere il criterio decisivo per attribuire a qualcuno un incarico. Tuttavia non possiamo non notare come questo criterio non valga affatto per la politica: lì vale solo la volontà popolare che sceglie liberamente e inappellabilmente chi vuole per farsi rappresentare. Certo però viene da chiedersi se lo stesso criterio debba valere per i ministri e, se così fosse, perché allora essi non vengano scelti per votazione popolare. Per i ministri il confine del merito si sposta e se per un rappresentante del popolo la competenza è secondaria e si può anche concretizzare nella propensione, tra le altre qualità, ad occupare immobili, per un ministro occorre contemperare la rappresentanza democratica con le sue competenze personali. Ma non proprio sempre però: per Roberto Speranza, Beatrice Lorenzin e Valeria Fedeli, ad esempio, si poteva ritenere predominante la capacità di rappresentanza democratica sulle strette competenze di settore ministeriale, mentre per Paolo Savona no e per Alessandro Giuli, invece, i meriti o le competenze potevano anche passare in secondo piano a fronte di una mancata elezione. Quindi se per un direttore d’orchestra vale sempre e comunque la pura competenza - presumiamo curriculare - e mai le sue amicizie, in molti altri casi vediamo che criteri che esulano dalla competenza possono valere eccome. Peccato però lasciare che lo spirito dimostrato dagli orchestrali de La Fenice si manifesti invano: perché non estendere la stessa sensibilità in altri ambiti, certo non alti come la musica classica e i teatri storici, ma comunque ampiamente meritevoli di fondi e sostegni di Stato? Perché non fare della vicenda Venezi uno sprone e applicare lo stesso criterio valutativo per tutti i fondi al cinema, per le ospitate in Rai o, in particolare, per le numerosissime manifestazioni culturali, festival e fiere dedicate al mondo dell’arte e della cultura sparse per l’Italia? Perché non andare a capire esattamente e nel dettaglio in base a quali criteri una Regione, per puro e astratto esempio, stanzi mezzo milione di euro per un festival della letteratura di eco anche forse non grandissima? Certo si aprirebbe il problema dei criteri in base ai quali stabilire chi merita e chi no, chi va chiamato e chi no, chi pagato e chi no, a quali società od Ong affidare gli aspetti logistici e a quali no. E mentre il Teatro Colon di Buenos Aires, dove diressero Toscanini, Erich Kleiber, Von Karajan, Bernstein, Furtwängler, Richard Strauss, Igor Stravinskij e dove Beatrice Venezi è stata Direttore ospite principale, fa sapere all’Italia e al mondo che a loro sono sfuggiti i motivi per impedire alla Venezi di dirigere, a noi non resta che affrontare la grande questione sullo sfondo, quella del gramscismo inteso come astratto ubi consistam di un mondo privilegiato. Antonio Gramsci diceva che l’egemonia culturale va ottenuta per giungere alla rivoluzione, ma se la rivoluzione non si ha più voglia di farla qualcuno potrebbe chiedersi a cosa serva, a questo punto, continuare a detenere con tutte le proprie forze e con così tanti sforzi anche l’egemonia culturale. Il fatto è che tutti sanno la risposta alla domanda che le Venezi ogni tanto pongono.
Benjamin Netanyahu (Ansa)
Andrea Sempio e Luciano Garofano (Ansa)