2018-08-06
Abbronzatissimi. Per ogni pelle ci vuole una crema, ma lo sapete di che fototipo siete?
Prendere il sole fa bene, ma attenti: i raggi Uv fanno 60.000 vittime l'anno. L'Oms ha identificato nove patologie. Ecco le regole per non ammalarsi. Crema solare: non basta controllare la data di scadenza. Non cedete alla tentazione di utilizzare le rimanenze dell'anno precedente. Prima di usare un prodotto già aperto osservate la consistenza del prodotto e, soprattutto, fate attenzione all'odore. L'abbronzatura oggi è di moda, così come lo sono le vacanze estive al mare. Fan del biancore simile ai vampiri di Twilight? Non preoccupatevi. Fino al XIX secolo i ricchi erano pallidi. Anche gli occhi vanno protetti dal sole. Lo sanno bene gli Inuit che hanno creato occhiali con le ossa di tricheco per proteggersi dal riflessi della luce solare sulla neve. Lo speciale contiene quattro articoli. La conquista della tintarella è uno dei riti estivi più amati. Tanto che ormai ci si mette in costume e ci si sottopone ai bagni di sole non solo in spiaggia, ma perfino in città. No, non nelle piscine cittadine, proprio in strada. Qualche giorno fa, tre turiste nordeuropee sono state fotografate distese in costume sul marciapiede del binario della stazione di Lecco: avevano pensato di ottimizzare l'attesa del treno facendosi un bagno di sole. E, a fine aprile, una signora si era piazzata in bikini addirittura sul Monumento ai caduti, sempre a Lecco. Ma esporsi con tanta ostinazione ai raggi della nana gialla la cui temperatura superficiale è di ben 5.504 gradi centigradi, con l'obiettivo di diventare scuri come l'ebano fa davvero così bene? Trasformarsi, cioè, in «a-a-abbronzatissimi / sotto i raggi del sole» (per citare Edoardo Vianello, che nel 1963 ebbe uno straordinario successo con la canzone Abbronzatissima) è un'idea così felice? Non troppo. Prendere il sole è sì benefico per alcuni versi, ma può avere effetti catastrofici sulla salute se non lo si «assume» con le dovute precauzioni. L'esposizione al sole è importante innanzitutto per la produzione di vitamina D, che acquisiamo in dosi molto basse tramite il cibo (solo nell'olio di fegato di merluzzo se ne trova in quantità degna di nota). La vitamina D è un ormone composto da 5 pro-ormoni (D1, D2, D3, D4, D5) che si attivano con la luce solare. In genere poco nominata, è invece assai importante: aiuta ad assimilare calcio e fosforo; stimola la leptina coadiuvando il metabolismo dei grassi (negli individui normopeso i livelli di vitamina D sono generalmente alti, mentre sono bassi negli obesi); riduce la formazione di citochine, molecole proteiche che formano il grasso, soprattutto dell'addome; aiuta il buon funzionamento del sistema cardiocircolatorio, con funzione preventiva di infarto e ictus; aumenta le difese del sistema immunitario ed è importante anche per il corretto assetto del sistema nervoso. Una sua carenza è collegata con molte patologie, dalla debolezza muscolare o di unghie e capelli all'ansia e alla depressione, passando per il sovrappeso, la steatosi epatica (il cosiddetto fegato grasso) e la fragilità ossea. Ma anche con diverse malattie autoimmuni come il diabete mellito, la sclerosi multipla, il lupus eritematoso sistemico e l'artrite reumatoide. Vivendo per lo più chiusi in ufficio, casa, locali e auto, come impone la vita contemporanea, siamo automaticamente indotti a produrne poca. Perciò l'alternativa più naturale all'assunzione di quella sintetica è esporsi al sole, scoperti. Bastano 10-15 minuti al giorno. Il sole, poi, fa bene anche all'umore. Stimola, infatti, la produzione di serotonina, il neurotrasmettitore che regola il ciclo sonno/ veglia, il corretto senso di sazietà, la motilità intestinale, la memoria, il desiderio sessuale e il tono dell'umore. Allo stesso tempo, posizionarsi sotto i raggi del sole per ore e ore senza protezione solare è una pessima abitudine. Occorre conoscere i raggi solari prima di affidarvisi: si tratta di un abbraccio ambivalente, che può anche presentarci un conto molto salato. I raggi ultravioletti sono radiazioni che coprono l'intervallo dello spettro elettromagnetico con lunghezza d'onda tra 100 e 400 nanometri. I raggi Uv-c (lunghezza d'onda tra 100 e 280 millimetri), che per noi sarebbero ustionanti senza nemmeno scurire la pelle, sono bloccati dall'atmosfera. Ma i raggi ultravioletti Uv-b e Uv-a giungono fino a noi. Analizziamoli. I raggi Uv-a sono circa il 95% dei raggi ultravioletti che raggiungono la Terra e penetrano attraverso le nuvole, i vetri e l'epidermide: giunti sulla cute sono in grado di passare attraverso l'epidermide e giungere fino al derma, lo strato sottostante l'epidermide. I raggi Uv-a sono emessi anche dalle lampade per l'abbronzatura e dalle lampade per l'asciugatura dello smalto semipermanente e in gel (non sono pochi gli allarmi sull'insalubrità dell'esposizione massiccia a entrambe). I raggi Uv-b, invece, sono il restante 5% degli ultravioletti che ci arrivano addosso. L'abbronzatura deriva dalla pigmentazione della pelle attivata dai raggi Uv. I melanociti producono melanina e la riversano all'esterno nel tentativo di proteggere il derma. La produzione di melanina è il meccanismo con cui la pelle si difende. Sarebbe a dire che l'abbronzatura è più una «cicatrice della guerra» che la pelle e i suoi strati intrattengono coi raggi ultravioletti che un innocuo indicatore di bellezza estetica. Per intenderci su quale sia l'effetto del sole lasciato agire sul corpo idratato senza alcuna protezione per lungo tempo, basti pensare che una volta si seccava la frutta lasciandola a rinsecchire sotto il sole: si ponevano, per esempio, i fichi freschi e verdissimi su appositi vassoi di vimini, girandoli spesso perché entrambi i lati subissero il potente trattamento rovente e prosciugante del sole, e dopo qualche giorno diventavano marroni, secchi e duri. Non vi diciamo di fare la prova empirica della potenza solare esponendovi al sole a mo' di fichi, ma vi diciamo, con energia, il contrario: proteggetevi, proteggetevi, proteggetevi. I possibili danni da esposizione prolungata e senza protezione non sono scherzi, soprattutto per i fototipi di pelle chiara che regnano in Occidente (la pelle nera, proprio per la sua presenza costitutiva di melanina, è ben più autoprotetta della nostra). L'Oms ha identificato nove patologie: melanoma cutaneo (un tumore dei melanociti); carcinoma squamoso della pelle (tumore più lento e meno mortale del melanoma); carcinoma basocellulare (tumore della pelle con comparsa in età per lo più avanzata); carcinoma squamoso di cornea o congiuntiva (è un raro tumore oculare); cheratosi, che possono generare lesioni pretumorali; scottature; cataratta corticale; pterigio; riattivazione dell'herpes labiale. La sovraesposizione ai raggi Uv uccide ogni anno circa 60.000 persone, 48.000 per melanoma e 12.000 per carcinoma. E anche solo una scottatura solare, che può essere talmente forte da diventare un'ustione o un colpo di sole, non sono passeggiate. Proteggersi, quindi, mentre ci si abbronza, è fondamentale. Come? Con le creme solari. Nessuna crema è in grado di bloccare il 100% dei raggi Uv. In più la crema agisce solo sulle porzioni di pelle dove è spalmata (dunque distribuitela ovunque arrivi il sole, anche sulle e dietro e nelle orecchie, sulla parte posteriore del collo e sui palmi di mani e piedi). Quindi, prima di addentrarci nell'universo delle creme, ricordiamoci la premessa della difesa dal sole in spiaggia (ma anche in montagna, ogni 1.000 metri in più di altitudine i raggi Uv aumentano del 10-12%). Proteggere sempre il capo dall'insolazione diretta, tramite l'ombra dell'ombrellone - che comunque riduce solo della metà le radiazioni, a meno che non sia realizzato con tessuto con filtro UV - o un cappello o un foulard. Indossare anche gli occhiali da sole (certo, non nuotando!), perché il sole diretto, come abbiamo visto danneggia anche gli occhi. Mai esporsi nelle ore più calde, dalle 11 alle 16. Incremarsi sempre. Non lesinate e non siate troppo veloci quando acquistate le creme di protezione solare. Esaminatele. Badate innanzitutto che siano water resistant, cioè che non vengano completamente liquefatte dal bagno in acqua (a mezzo metro di profondità le radiazioni Uv sono ridotte solo del 40% rispetto alla superficie, l'acqua non ci protegge completamente dal sole e in più diluisce e consuma la crema protettiva). Stendetele di nuovo dopo il bagno, perché water resistant significa che si dissolve in più tempo, non che non si dissolve mai: è una crema, non una vernice bicomponente epossidica. Il principio basico per scegliere la protezione di cui abbiamo bisogno è il nostro fototipo. I fototipi sono sei e, per quanto ad ognuno sia associato un colore di occhi e capelli, bisogna guardare la carnagione. Il fototipo I (carnagione lattea) e II (carnagione molto chiara) nelle prime esposizioni devono usare una crema con Spf 50. Spf 30 per il fototipo III (carnagione abbastanza chiara), 20/15 per il fototipo IV (carnagione leggermente scura), 10 per il fototipo V (carnagione scura) e 6 per il fototipo VI (carnagione scurissima o nera). A pelle già abbronzata si può diminuire un po' l'indice Spf. Un po': da 50 si passerà a 30, non a 6. L'indice Spf, acronimo di «Sun protection factor», indica il fattore per cui moltiplicare una dose di esposizione solare prima di sviluppare almeno l'eritema solare. Con la protezione 50, posso procurarmi dopo 100 ore di esposizione lo stesso eritema che, senza protezione, mi procurerei in appena 2 ore. Secondo altri, l'Spf indica anche la percentuale di radiazione bloccata: Spf 50 vuol dire 1/50, cioè se ne blocca il 98%. Ma come fa il filtro solare a schermare la pelle? Esistono filtri chimici e filtri fisici, composti da particelle minerali. Il filtro fisico riflette la radiazione a mo' di specchio, quello chimico assorbe e converte la radiazione. In molti preferiscono i filtri fisici, perché non penetrano nella pelle e non sono inquinanti per l'ambiente marino e gli organismi acquatici (le creme certificate eco-bio possono utilizzare solo questi). Un altro elemento importante è che la crema protegga dai raggi Uv-a e Uv-b. Solo negli ultimi anni sono state messe a punto creme di questo tipo, dette «ad ampio spettro»: in passato si tendeva a proteggere solo dagli Uv-b. Le creme solari non andrebbero utilizzate dopo un anno dall'apertura e occorre fare attenzione a riapplicarle ogni due, massimo tre ore, anche se non si fa il bagno perché l'attività dei filtri viene diminuita sia dal sudore, sia dallo stesso effetto «distruttivo» della luce solare. Non sono poche le persone che ormai utilizzano creme o cosmetici con filtro solare per viso, braccia e gambe anche per la normale vita in città, per tutelarsi dai rischi importanti dell'esposizione agli Uv e anche dal fotoinvecchiamento. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/abbronzatissimi-per-ogni-pelle-ci-vuole-una-crema-ma-lo-sapete-di-che-fototipo-siete-2593012948.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="non-basta-controllare-la-data-di-scadenza" data-post-id="2593012948" data-published-at="1758013220" data-use-pagination="False"> Non basta controllare la data di scadenza Siete in procinto di partire per le vacanze, state ultimando i preparativi e avete le valigie aperte sul letto. A un certo punto, su una mensola in bagno, trovate un flacone di crema solare. È quello che vi siete portati al mare l'anno scorso, durante l'ultima visita sulla spiaggia. La tentazione, ovviamente, è quella di infilare la crema in valigia: così si risparmia un po' e si finisce di utilizzare la rimanenza. Ma forse non è una grande idea. A spiegare perché, sul sito della Fondazione Veronesi (www.fondazioneveronesi.it) è Giovanni Leone, direttore del servizio di Fotodermatologia presso l'Istituto dermatologico San Gallicano di Roma. Intervistato da Donatella Barus, il medico spiega che è meglio stare molto attenti prima di utilizzare creme vecchie. Come fare, dunque, a capire se la crema è ancora utilizzabile, magari a un anno di distanza dall'apertura? Non è sufficiente, purtroppo, guardare la data di scadenza. «Le creme solari non vanno mai usate dopo più di un anno dall'apertura», dice Leone. Che aggiunge: «È importante considerare anche la fotostabilità del prodotto, ovvero la capacità della crema di rimanere attiva sulla pelle anche sotto l'azione della luce solare». Dunque, dopo aver verificato la data di scadenza, dovete effettuare un ulteriore controllo sulla confezione, per controllare il fattore di fotostabilità. «Non è obbligatorio, ma alcune aziende indicano questo fattore sull'etichetta». Se per caso non riuscite a verificare la data di scadenza, dovete fare attenzione a odore e consistenza del prodotto. «È molto importante non prendere sotto gamba la data di scadenza», spiega il dottor Mervyn Patterson, esperto inglese del Woodford Medical, «perché il passare del tempo degrada i componenti chimici che compongono la crema e questa perde l'efficacia protettiva. Se vi sembra cambiata in termini di consistenza o odore da quando l'avete comprata, è il caso di buttarla». Meglio spendere un po' di più che rovinarsi la pelle. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/abbronzatissimi-per-ogni-pelle-ci-vuole-una-crema-ma-lo-sapete-di-che-fototipo-siete-2593012948.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="ma-fino-al-xix-secolo-i-ricchi-erano-pallidi" data-post-id="2593012948" data-published-at="1758013220" data-use-pagination="False"> Ma fino al XIX secolo i ricchi erano pallidi L'abbronzatura è diventata una moda e uno status symbol soltanto da quando lo è diventata anche la vacanza estiva al mare. Oggi, chi in estate non sfoggia una pelle almeno color Pantone 16-341 Butterum (marrone chiaro) durante l'estate viene considerato alla stregua di Edward Cullen o Bella Swan, la coppia di vampiri di Twilight (Bella lo diventa nel quarto volume della saga di Stephenie Meyer). Il pallore è fuori moda, l'abbronzatura è di tendenza perché non andare in vacanza d'estate, più che altro al mare, vuol dire essere poveri. L'abbronzatura viene poi associata anche ad uno stato di buona salute. Le gote rosse di una volta sono state sostituite dall'abbronzatura e non sono poche le persone che anche in inverno si sottopongono a docce solari per cancellare il biancore dell'incarnato. Fino alla fine del diciannovesimo secolo era il perfetto contrario. La pelle scurita dal sole era prerogativa di persone appartenenti al ceto sociale umile, che dovevano lavorare, e all'esterno, per vivere, come contadini e muratori. I ricchi, invece, stavano ben attenti a non abbronzarsi nemmeno per sbaglio, era infatti molto comune che le donne utilizzassero cappellini e ombrellini estivi per evitare che il sole le dorasse. Gli abiti, poi, erano ancora soggetti ad una concezione di pudicizia ormai scomparsa. Anche quando si incominciò a concepire la vacanza estiva al mare, i costumi da uomo e da donna erano lunghi, una sorta di tute che coprivano pressoché l'intero corpo. Si usavano addirittura le calze e, anche in spiaggia, dominavano cappellini e ombrellini: la «pelle di luna» era garantita. Pare che sia stata Coco Chanel a portare in voga la pelle abbronzata, quando mostrò la sua pelle ambrata al ritorno da una vacanza a Juan-les-Pins in Costa Azzurra. Erano gli anni Venti, e si iniziava a parlare di elioterapia, nudismo, cultura del corpo libero: il progressivo rimpicciolirsi delle dimensioni dei costumi fu la logica conseguenza. Ci si scopriva non soltanto per ribadire il diritto a farlo, soprattutto da parte femminile, ma anche per abbronzarsi meglio. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/abbronzatissimi-per-ogni-pelle-ci-vuole-una-crema-ma-lo-sapete-di-che-fototipo-siete-2593012948.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="gli-occhiali-inuit-con-ossa-di-tricheco" data-post-id="2593012948" data-published-at="1758013220" data-use-pagination="False"> Gli occhiali Inuit con ossa di tricheco La storia ci regala curiosi esempi di protezione solare utilizzate nei secoli. L'uomo non è di certo nato vestito e i vestiti sono stati ideati per proteggersi dal freddo, ma anche dal caldo e dal sole. Lo dimostrano i copricapo. Anche gli occhi si proteggevano, con rudimentali equivalenti dei nostri occhiali da sole. Se Plinio il Vecchio riportava che l'imperatore Nerone fosse aduso guardare i gladiatori attraverso un grosso smeraldo, non è possibile stabilire, però, se lo facesse per correggere, ingrandendo, un difetto di vista, per mitigare la visione del sangue o nel tentativo di «filtrare» cromaticamente il sole. I primi veri occhiali da sole sono di origine cinese. Nell'undicesimo secolo si cominciarono ad utilizzare piccole lastre di quarzo affumicato tenute sul naso da una montatura naturalmente molto grossolana rispetto alle attuali. Non proteggevano dai raggi Uv, di cui si ignorava l'esistenza, ma dalla troppa luminosità, per via della tonalità fumé. Sempre di origine cinese erano i veneziane «vetri da gondola», occhiali da sole che i ricchi utilizzavano negli spostamenti in gondola per mitigare il riverbero del sole sull'acqua quando utilizzavano tipiche imbarcazioni lagunari. Ma gli occhiali da sole più sorprendenti sono sicuramente quelli eschimesi. Gli Inuit lavoravano osso di tricheco o legno a forma di mascherina (che veniva annodata dietro la nuca) su cui praticavano delle strette e lunghe fessure attraverso le quali guardavano e proteggevano gli occhi dal riflesso della luce solare sulla neve. Li replicò, modificandone un po' il design, il leggendario stilista André Courrèges a metà degli anni Sessanta, si chiamavano Lunettes Eskimo. Quanto alle creme solari, parti di pelle esposta al sole venivano fisicamente coperte con quello che la natura offriva: fango, olio di oliva o polveri come gesso, farina di riso o di lupino. Se dall'uomo antico abbiamo delle cose da imparare e forse da recuperare, questa volta non è il caso: meglio una crema solare dei nostri tempi che manciate di fango spalmato addosso.
Antonella Bundu (Imagoeconomica)
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 16 settembre con Carlo Cambi
Il killer di Charlie Kirk, Tyler Robinson (Ansa)