
Il leader ucraino aspetta 2 miliardi da Parigi e 18 dai Sette. Ma ne vuole altri 20.Mentre Washington e Mosca stanno facendo i primi passi per arrivare alla pace in Ucraina, Parigi e Londra hanno deciso di remare in senso in contrario. Ne è prova il summit di ieri nella Capitale francese, dove Emmanuel Macron ha fatto gli onori di casa davanti ai cosiddetti «volenterosi». Non è chiaro che cosa abbiano in mente il presidente transalpino e il primo ministro britannico, Keir Starmer, i veri promotori di questa coalizione. Si parla di aiuti militari ed economici, di mantenere le sanzioni contro la Russia e di non meglio specificate «forze di rassicurazione». Tutto ancora molto fumoso.Al di là della concretezza di questi propositi, Volodymyr Zelensky non può che rallegrarsi delle manovre diplomatiche intraprese dal suo anfitrione francese. Macron, infatti, ha esteso l’invito anche al presidente ucraino, ricevendolo in pompa magna a Parigi già l’altro ieri. Prima dell’inizio del vertice all’Eliseo, inoltre, il presidente transalpino ha organizzato un incontro con Zelensky insieme a Starmer e a Mark Rutte, il segretario della Nato. L’ospite, ovviamente, ha gradito. Anche perché Macron ha annunciato che la Francia stanzierà altri 2 miliardi di euro in aiuti militari a Kiev. Durante il summit dei volenterosi, il presidente ucraino ha poi affermato che «la guerra è ancora in corso solo a causa della Russia, la cui posizione è semplice: continuare ad attaccare e ritardare la diplomazia». Stando a Zelensky, «in questo momento sono sul tavolo le proposte degli Stati Uniti, inclusa quella che prevede un cessate il fuoco completo e incondizionato. Noi siamo d’accordo. Ma ovviamente la Russia l’ha rifiutato e ha posto un mucchio di condizioni senza senso». In un’intervista al Figaro, peraltro, il presidente ucraino ha detto: «Posso confermare che Putin sta cercando di guadagnare tempo e si sta preparando per un’offensiva di primavera».Una volta ribadita la necessità di mantenere la sanzioni contro Mosca, Zelensky ha dichiarato che «abbiamo bisogno di sostegno per la nostra difesa e resilienza. Ecco perché tutte le decisioni concrete per rafforzare l’Ucraina sono così importanti, sia a livello nazionale sia attraverso aiuti militari ed economici congiunti, a livello Ue». Insomma, il presidente ucraino è tornato a battere cassa: in aggiunta ai 5 miliardi di euro in munizioni di artiglieria, previsti nel controverso piano Kallas, Zelensky ha anche parlato dell’urgenza di ricevere aiuti in «missili e sistemi di difesa aerea». Ma non è finita qui: se Ursula von der Leyen ha annunciato ieri che «anticiperemo la parte Ue dei prestiti del G7 per l’Ucraina» (si parla di circa 18 miliardi di euro), Zelensky ha specificato che, oltre alla produzione europea, «la nostra industria della difesa è sottofinanziata di circa 20 miliardi di euro. Crediamo che tale divario possa essere colmato utilizzando gli asset russi». Anche perché, ha specificato Zelensky, «dobbiamo costruire tutto attorno alle forze armate ucraine, al loro equipaggiamento, alla loro tecnologia, alla loro efficacia: questa è la base».Morale della favola: riarmare l’Europa significa riarmare l’Ucraina. Non è un caso che, nelle circa 20 pagine del «Libro bianco congiunto per la prontezza della difesa europea 2030» (altresì noto come Rearm Europe), l’Ucraina sia citata 51 volte contro le 39 dell’Europa. Ma ha senso tutto ciò? Conviene, cioè, dare un sostegno così consistente a uno Stato che non fa neanche parte dell’Ue? È una mossa logica armare uno dei due Stati belligeranti mentre si stanno approntando, a fatica, le tanto agognate trattative di pace? «Abbiamo bisogno di un piano chiaro», ha detto Zelensky all’Eliseo. E qui ha ragione. Anche perché di chiarezza - tra Londra, Parigi e Bruxelles - sembra essercene assai poca.
Zohran Mamdani (Ansa)
Dalle politiche sociali ai limiti dell’esproprio alla città come «santuario» per i gay Mamdani rappresenta la radicalizzazione dei dem. Ma anche una bella grana
Da più parti, la vittoria di Zohran Mamdani alle elezioni municipali di New York City è stata descritta (se non addirittura salutata) come uno «schiaffo» a Donald Trump. Ora, a prima vista, le cose sembrerebbero stare effettivamente così: il prossimo primo cittadino della Grande Mela, che entrerà in carica a gennaio, sembra quanto di più lontano possa esserci dal presidente americano. Tanto che, alla vigilia del voto, lo stesso Trump aveva dato il proprio endorsement al suo principale sfidante: il candidato indipendente, nonché ex governatore dem dello Stato di New York, Andrew Cuomo.
Rifugiati attraversano il confine dal Darfur, in Sudan, verso il Ciad (Getty Images)
Dopo 18 mesi d’assedio, i paramilitari di Hemeti hanno conquistato al Fasher, ultima roccaforte governativa del Darfur. Migliaia i civili uccisi e stupri di massa. L’Onu parla della peggior catastrofe umanitaria del pianeta.






