2025-01-16
Zelensky si impunta: «Dateci soldati». La Nato chiede soldi e meno welfare
Volodymyr Zelensky (Ansa)
Nuove voci sull’attendismo di Trump per i negoziati in Ucraina. Invece la tregua a Gaza può spingere il tycoon ad accelerare.Ce lo hanno ripetuto parecchie volte, da quando è scoppiato il conflitto in Ucraina. Ma il nuovo segretario generale della Nato, Mark Rutte, sembra pronto a un salto di qualità. Ieri, aprendo la due giorni del Comitato militare dell’Alleanza atlantica, l’ex premier olandese ha invitato i Paesi membri a «passare a una mentalità da tempo di guerra». «Abbiamo piani militari solidi», ha notato, «la prontezza delle nostre forze è aumentata, le esercitazioni sono più grandi e più frequenti. Tutto questo è essenziale, ma non è sufficiente per affrontare i pericoli che ci attendono nei prossimi quattro o cinque anni. Per prevenire la guerra dobbiamo prepararci». Gli antichi romani concorderebbero: si vis pacem, para bellum. L’idea di investire nella Difesa è buona per almeno due motivi: primo, perché è un settore ad alto valore aggiunto, che genera occupazione di qualità, cioè ottimi salari; secondo, perché uno Stato o una confederazione di Stati, quale vorrebbe diventare l’Ue, non possono portare avanti un progetto geopolitico senza una proiezione militare. Certo, il cambio di paradigma non deve passare inosservato: sarà colpa di Vladimir Putin se ci tocca mettere mano alla fondina, però la crisi internazionale comprova la debolezza di un’Europa che esibiva, tra i propri traguardi, l’aver garantito settant’anni di pace. Adesso la pace è finita. Bruxelles, in realtà, è rimasta sempre a guardare. Oggetto, mai protagonista, del risiko delle grandi potenze. Rutte può aver ragione. Prende atto che la morsa di Washington sugli alleati, con Donald Trump, si stringerà: il prossimo presidente pretende che essi stanzino il 5% del Pil per la Difesa comune. Al solito, chiede cento per avere dieci, ma la convinzione che il 2%, traguardo già storico, in realtà non basti affatto, ormai serpeggia ovunque. Il problema è dove prendere i soldi. E nel caso in cui la strada diventasse quella indicata da Rutte, qualche interrogativo, legittimamente, sorgerebbe.Un mese fa, il numero uno della Nato dichiarava: «I Paesi europei spendono il 25% in media in welfare, ma abbiamo bisogno di una piccola parte per la Difesa». Se certi sassi si lanciano per vedere l’effetto che fa, è preoccupante che in pochi abbiano notato quella frase. E che nessuno abbia reagito. Come per l’austerità imposta in nome dell’emergenza debito pubblico, l’austerità con l’elmetto si regge sulla disattivazione dei meccanismi democratici, giustificata da una minaccia esistenziale. Il ritornello recita grosso modo così: Putin alzerà il tiro, alla fine ci aggredirà, se non saremo pronti verremo travolti. A quel punto, la giustizia sociale diverrà un miraggio. Sacrifichiamo il welfare oggi per conservarlo domani. Tipo gli abbracci in era Covid…C’è però una variabile capace di sconvolgere il calcolo: la tregua tra Mosca e Kiev. È per questo che puzzano di bruciato le indiscrezioni di stampa, da cui emergono presunte frenate di Donald Trump sul negoziato con i russi. Mentre lui conferma di voler parlare presto con lo zar, prima il Financial Times e poi, ieri, Reuters, svelano che, secondo i suoi consiglieri, ci vorranno mesi per un cessate il fuoco. L’inviato del tycoon, Keith Kellogg, aveva provato a fissare una scadenza: armistizio in 100 giorni. Qualcuno si aspettava che Trump trovasse sul serio una soluzione «in 24 ore»? Ora, o il suo staff si sta davvero ricalibrando sul lungo periodo, oppure, nel deep State, ci sono ambienti che premono affinché il conflitto prosegua. È il potere del famigerato complesso militare-industriale, denunciato esattamente 64 anni fa dal presidente Usa dell’epoca, Dwight D. Eisenhower. Aleggia lo spettro cinese: calarsi le braghe con la Russia incoraggerebbe i disegni espansionistici di Xi Jinping. Ne ha parlato ieri, al Senato americano, Marco Rubio, all’udienza di conferma come prossimo segretario di Stato: o gli Usa convincono la Cina che pagherebbe un prezzo troppo alto invadendo Taiwan, oppure, ha previsto il repubblicano, occuperà l’isola «prima della fine di questo decennio». E se, invece, la fine delle ostilità a Gaza desse a The Donald un’ulteriore spinta a chiudere subito il dossier ucraino? Volodymyr Zelensky non ha interesse ad accelerare: l’Ucraina ha bisogno di riguadagnare una posizione di forza. Ospite ieri a Varsavia del premier polacco, Donald Tusk, il leader in mimetica ha ribadito che il suo team e quello del tycoon stanno lavorando a un incontro, che si svolgerà dopo la cerimonia d’insediamento alla Casa Bianca. Zelensky si è detto di nuovo favorevole a una missione europea nel suo Paese, purché essa rientri in un sistema di garanzie difensive. Della questione, egli sta discutendo, oltre che con Tusk, con i baltici, la Gran Bretagna e con Emmanuel Macron, uno dei primi a mettere il cappello sull’iniziativa. «Non vorremmo un contingente simbolico, bensì una forza reale», ha spiegato Zelensky. La differenza la faranno le circostanze: un conto è il peacekeeping, un conto sono le forze d’interposizione a battaglie ancora in corso. Mettere gli stivali sul terreno senza un trattato firmato sarebbe un rischio enorme per le nazioni coinvolte. Prepararsi al peggio è una buona abitudine. Attrezzarsi per prevenire una potenziale minaccia è saggio. Ma non si devono trascurare la lezione dei «cannoni d’agosto» e il dilemma della sicurezza. Immaginate: noi passiamo alla «mentalità di guerra» per paura del nemico; il nemico ci vede e pensa che sia tutto un pretesto per colpirlo; quindi, decide di attaccarci prima che lo facciamo noi, anche se noi non ne avevamo alcuna intenzione. La guerra mondiale si tramuta in una specie di profezia che si autoavvera. In fondo, se uno ha tante armi, può venirgli voglia di usarle.
il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi (Ansa)
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa del 14 ottobre con Flaminia Camilletti
Donald Trump (Getty Images)
Donald Trump (Getty Images)