2024-08-17
Quel «pranzetto» prima di Zosia cadavere
Lorenzo, Federico, Sergio, Roberta e la futura vittima si ritrovano per il fine settimana nella villa al mare di Andrea e Bruna. A tavola si mangia cibo polacco e si conversa: «Qui sul litorale c’è meno ressa e campo libero, per tutto». Anche per un omicidio?La matematica vale anche per gli esseri umani. Ciascuno di noi è la somma di variabili non infinite. E si può sempre elaborare un teorema per spiegare come siamo fatti.Specialmente se si comincia con un aperitivo e si finisce con un cadavere.Io, che a scuola non capivo i numeri, avevo imparato a usarli per la mia professione. Ora mi sentivo abbastanza ferrato.Il giorno prima che Zosia venisse straziata dai gabbiani sulla spiaggia, lei era meno scomposta. Ma non per questo più viva. Anzi, ritta controluce sulla soglia della balconata, aveva una fissità che anticipava il rigor mortis sfoggiato poi, distesa all’obitorio.Era l’unica di spalle al panorama. Espresso in numeri: una su cinque.Gli altri si assiepavano sulla balconata intorno agli aperitivi con versi e risate da cani che si disputavano avanzi.Io, all’interno, cercavo di posare le chiavi, l’orologio e il portafoglio. Tre elementi, nuovi numeri. Teorema su di me: lo faccio sempre in una casa non estranea.Quella di Andrea e Bruna aveva la peculiarità di tutte le ville al mare. La sala sviava verso la balconata, per evitare assembramenti su una superficie piuttosto ridotta. L’arredo rustico era incongruo. Il caminetto non serviva a granché d’inverno, se non a portare dentro l’aria umida del maestrale.Lasciati i miei averi portatili su una cassapanca, sollevai il sacchetto di plastica sul quale campeggiava una bandiera nazionale.«Bruna», chiamai.Lei, anziché rispondermi, alzò nella mia direzione un bicchiere in cui spumeggiava qualcosa di giallo.Per andare da lei, mi toccò sfiorare Zosia, sulla soglia: «Scusa».«Sergio», il coro smozzicato di voci. «Lui è un cammello», mi canzonò Federico, avvinghiando Zosia e trascinandola sulla balconata. «Regge senza bere per chilometri e chilometri».Numeri anche questi.«Un pensiero». Porsi a Bruna la busta con la bandiera nazionale.«Dall’altro capo del mondo», interloquì Lorenzo.«No. Da molto più vicino», lo corressi, indicando la bandiera.Lorenzo la identificò: «È di là che venivi, quando mi hai risposto al cellulare dall’aeroporto?».«Una tappa», precisai.Bruna accettò il regalo con un sorriso incrinato e tirò fuori dalla busta l’involto che conteneva. C’era da disfarlo, senza spargere i trucioli di polistirolo dell’imbottitura. Lei ci riuscì, con il sorriso che si incrinava sempre di più, per lasciarle sul viso frammenti di apprensione. Dall’unità ai numeri decimali. Altra matematica.Il quadro di legno che venne allo scoperto era una replica costosa dell’originale, con la firma di un celebre realizzatore di icone.«La Madonna Nera», svelò Andrea, prendendo la moglie per un braccio.«Tutte le Madonne dovrebbero essere nere, come quella autentica», precisai. «Nigra sum, sed formosa». In Palestina, il colore della pelle non era quello anemico delle donne medioevali cui si ispiravano i pittori nostrani.«Il pozzo di scienza sta per traboccare», mi omaggiò Federico, stringendosi Zosia che contrasse le labbra in una smorfia di fastidio.Lorenzo e Roberta rimirarono la Madonna Nera tra le mani di Bruna e annuirono con approvazione.«Questo è un regalo», convenne Andrea, liberando il braccio della moglie.«Un pensiero», ripetei.«Lo so già che abbiamo creato un allineamento magico, con questa giornata», decretò Federico, mollando Zosia. «È stata un’idea da premiare».In realtà, nessuno ricordava più chi l’aveva avuta. Con gli anni, le chiacchiere ai cellulari sostituivano quasi del tutto le nostre frequentazioni. Ogni tanto, però, bisognava stare insieme. Fisicamente. Almeno per tornare a fiutarci gli uni con gli altri, per non scordare i nostri odori.Zosia ne aveva uno molto più recente. Sentito per la prima volta cinque anni prima, al ritorno di Federico dalla Polonia. Ci era andato per un viaggio di nozze al contrario, che lui chiamava «luna di bile», con cui festeggiare il suo divorzio da Carla. Federico aveva giocato troppo a calcio e tendeva a risolvere tutto con i piedi. Così aveva sbattuto fuori di casa una moglie che lui considerava ormai complicata solo perché non era più la bellona di paese corteggiata e sposata venticinque anni prima. Paradosso di un’epoca che trasformava molti in imbecilli e aiutava una donna vistosa ad accorgersi di se stessa, oltre il suo corpo. Federico non poteva sopportare l’ex bambola di carne divenuta problematica e in cerca di spazi più vasti del letto da scaldare al marito. Gli era bastato cambiare modello e cilindrata. Aveva optato per la produzione dell’est. E anche il rapporto fra Carla e Zosia comportava dei numeri. La polacca ne aveva parecchi in più.Bruna sparecchiò il tavolo dagli aperitivi e Andrea preparò per il pranzo. Che non nasceva sul posto. Lorenzo e Roberta avevano portato la teglia del timballo e Zosia il resto. Specialità polacche, dall’originario e radicato «bigos», stufato di carne, cavoli e crauti, aromatizzato con prugne secche e spezie, ai «golabki», involtini di cavolo (ancora) ripieni riso, e per completare i «pyzy», gnocchi extralarge di patate. Non esattamente il migliore menù per un pranzo di agosto, anche se in coda al mese. Volevano compensare in anticipo per la tavolata natalizia cui sapevamo di non poterci ritrovare. E comunque, era escluso un giudizio di Alain Ducasse o di altri chef della sua caratura. «Le altre ville sono vuote», constatai, intaccando la mia porzione di timballo con una voracità rimasta anche quella all’adolescenza.«Dopo il ferragosto, se ne vanno tutti. Ma ormai sono sempre di meno», mi aggiornò Bruna, definitivamente incrinata. «Molti vorrebbero vendere».«Il mondo è diventato più grande», si rallegrò Federico. «O più piccolo, dipende». Assestò un’occhiata in tralice a Zosia.«Noi non vendiamo», ci rassicurò Andrea.«D’altronde, c’è meno ressa, più intimità», opinò Lorenzo.«Ma sì. In pochi, si ha il campo libero». Ancora un residuo calcistico nel parlare di Federico.«Il campo libero per cosa?», domandai.«Per tutto», mi liquidò Federico.Anche per uccidere Zosia.Quel tratto della conversazione a tavola, avvenuta neanche ventiquattro ore prima, mi scorreva a ripetizione nella testa mentre osservavo il cadavere finalmente sgombrato degli uccelli.2. Continua
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
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