2019-05-29
Vaticano accecato dall’opposizione contro la Lega
Ma una Chiesa il cui Papa, durante un incontro ufficiale, si sia fatto mettere al collo da un capo di Stato cocalero una croce con la falce e martello, può indignarsi se un politico si rifà alla tradizione cattolica e, dopo un successo elettorale, ringrazia Dio e la Madonna baciando il crocifisso? A noi pare di no, ma di questi tempi succede anche questo.E capita anche che il Pontefice preferisca ricevere chi non è cristiano, come per esempio una delegazione islamica, piuttosto che un leader di un partito che difende la famiglia, la croce e le tradizioni della Chiesa. In Vaticano si dialoga con tutti, con i rappresentanti di una dittatura comunista come quella venezuelana e perfino con i funzionari cinesi, ovvero con le avanguardie di un regime che i cattolici li interna nei campi di rieducazione come pericolosi terroristi. Tuttavia, l'unico che con cui non sia possibile parlare, neppure per una benedizione o una raccomandazione papale, è Matteo Salvini.Del curioso paradosso si è fatto interprete il cardinale tedesco Gerhard Müller, il quale in un'intervista al Corriere della Sera (messa a fondo pagina, affinché non disturbasse troppo il Santo uffizio) segnalava ieri che sostenere, come hanno fatto il direttore della Civiltà Cattolica o il presidente della Cei, Gualtiero Bassetti, che Salvini non è cristiano perché il leader della Lega non sposa la linea della piena accoglienza degli immigrati, è un errore. Per l'alto prelato, in questo modo la Chiesa dimostra di occuparsi troppo di politica e troppo poco di fede. Secondo Müller infatti, le dichiarazioni a pochi giorni dal voto danno un senso dilettantesco di trattare questioni teologiche da parte di un'autorità ecclesiastica. Infine, per il cardinale, quando ci sono un Parlamento e un governo legittimamente e democraticamente eletti, come in Italia, sarebbe meglio non immischiarsi.Parole di cui chiunque sia un testimone della fede dovrebbe fare tesoro, evitando le polemiche e soprattutto tenendosi alla larga da questioni che appaiono fortemente politiche e dunque ad altissimo rischio di essere strumentalizzate. E invece no, i pasdaran in tonaca che si ritengono i custodi del nuovo pensiero apostolico insistono. È di questi giorni l'intervista a Tg2000, il telegiornale dei vescovi, di padre Francesco Occhetta, politologo in servizio presso La Civiltà Cattolica. Anche lui, come il suo direttore, ferocemente antisalviniano. Alla domanda sulla croce in mano al capo della Lega durante il comizio di fine campagna elettorale, Occhetta non si è tirato indietro e anzi, rispetto al suo capo, ha alzato il tiro definendo l'uso del rosario una dimensione sacrale legata al politeismo. Sì, avete letto bene. Un ministro dell'Interno con in mano la croce non è un vero cristiano, ma una specie di eretico che crede in più divinità, senza però avere una vera dimensione della fede. Per Occhetta, il battesimo con l'acqua del Po, ma soprattutto i presepi, il rosario, fino all'uso del Vangelo sono una profanazione del cattolicesimo. Ci manca poco che l'autorevole commentatore definisca i gesti di Salvini una bestemmia, ma il senso si capisce. Per Occhetta, il cattolico è colui che non mostra la croce, ma la nasconde. È probabile che l'autorevole politologo sia favorevole a togliere i crocifissi nelle aule e a rinunciare al presepe a Natale. Non sappiamo se sia disponibile ad accogliere la proposta di quel sindaco che intendeva oscurare i simboli religiosi cristiani in un cimitero per non offendere le persone di altre religioni, ma è probabile che non la trovi sacrilega.Del resto, le parole dell'opinionista della Civiltà Cattolica rientrano perfettamente in un pensiero che nella Chiesa sembra fare proseliti più di quanto faccia l'apostolato. In un mondo che si va secolarizzando, la Chiesa si secolarizza a sua volta. Anzi, si adegua, rinunciando di volta in volta alla propria identità e ai propri simboli. Via la croce, dimenticata la liturgia, siamo tutti fratelli e tutti, anche quelli che vogliono estirpare il cristianesimo, vanno accolti. Di fronte a una Chiesa che non guarda ai cattolici, ma ai non cattolici, che non cura le anime, ma si cura delle faccende politiche, che non si occupa degli italiani ma solo degli immigrati e definisce non cristiano chi lo fa, si capisce dunque perché impugnando una croce e difendendo la famiglia naturale Salvini faccia il pieno di voti. È il pastore a lasciare sole le sue pecorelle, che prive di guida cercano altri che le aiutino.Ho letto che Alessandra Ghisleri, la principessa dei sondaggisti, una signora che per anni ha anticipato le tendenze politiche, ha visto schizzare i consensi per la Lega il giorno in cui l'Elemosiniere del Papa si è calato nel pozzetto dell'azienda elettrica romana per ridare la luce agli abusivi. Centinaia di migliaia di persone che pagano con fatica la bolletta hanno visto in quel gesto un segnale politico, ossia l'aiuto della Chiesa a chi compie un abuso. Quello non è un gesto cristiano. E quello dovrebbe preoccupare di più il Papa e i suoi consiglieri del rosario in mano a Salvini.
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
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Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Giorgetti ha poi escluso la possibilità di una manovra correttiva: «Non c'è bisogno di correggere una rotta che già gli arbitri ci dicono essere quella rotta giusta» e sottolinea l'obiettivo di tutelare e andare incontro alle famiglie e ai lavoratori con uno sguardo alle famiglie numerose». Per quanto riguarda l'ipotesi di un intervento in manovra sulle banche ha detto: «Io penso che chiunque faccia l'amministratore pubblico debba valutare con attenzione ogni euro speso dalla pubblica amministrazione. Però queste sono valutazioni politiche, ribadisco che saranno fatte solo quando il quadro di priorità sarà definito e basta aspettare due settimane».
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