- Oggi la ratifica del trattato di estradizione con gli Emirati. Non solo Amedeo Matacena e Giancarlo Tulliani, ecco tutti i ricercati che si sono rintanati nel Paese arabo e potrebbero dover rientrare in patria. O meglio, in carcere. C'è pure un mafioso che vive con 400.000 euro al mese.
- Le mete preferite dai banditi in fuga Ma un porto sicuro per loro non c'è. L'assenza di accordi con Roma in materia penale non garantisce affatto l'impunità.
Oggi la ratifica del trattato di estradizione con gli Emirati. Non solo Amedeo Matacena e Giancarlo Tulliani, ecco tutti i ricercati che si sono rintanati nel Paese arabo e potrebbero dover rientrare in patria. O meglio, in carcere. C'è pure un mafioso che vive con 400.000 euro al mese.Le mete preferite dai banditi in fuga Ma un porto sicuro per loro non c'è. L'assenza di accordi con Roma in materia penale non garantisce affatto l'impunità.Lo speciale contiene due articoliIl grand hotel Dubai chiude. Le vacanze nel Golfo Persico degli italiani latitanti lì da anni sono finite: è prevista per oggi, salvo colpi di scena, la ratifica del trattato di estradizione tra Italia ed Emirati Arabi firmato nel 2015. Superato il passaggio normativo legato alla pena di morte (negli Emirati Arabi è prevista dalla legislazione) che ne impediva la completa approvazione da parte italiana, si va alla ratifica in Parlamento. Una pessima notizia per chi, criminale economico o padrino della mala, aveva scelto quel Paese perché si sentiva al sicuro. Potrebbero essere guai seri, ad esempio, per il potente armatore siciliano ed ex parlamentare Amedeo Matacena, condannato in via definitiva a tre anni per concorso esterno in associazione mafiosa e dal 2014 ricercato con un mandato di cattura internazionale per un'inchiesta su un trasferimento fraudolento di beni che vede tra gli indagati anche l'ex ministro Claudio Scajola. L'altro big a cui potrebbero tremare le gambe è il cognato dell'ex presidente della Camera Gianfranco Fini: Giancarlo Tulliani, fratello di Elisabetta, a Dubai già ci viveva prima che il gip di Roma Simonetta D'Alessandro disponesse per lui la privazione della libertà personale con l'accusa di aver riciclato i soldi del re del gioco d'azzardo legalizzato Francesco Corallo. Tulliani, nel mese di marzo dello scorso anno, al termine di inutili ricerche, è stato dichiarato latitante. Il 4 novembre, dopo essere stato inseguito da una troupe di giornalisti di La7, si rivolse alla polizia per protestare. Fu in quell'occasione che scoprì l'esistenza di un mandato di cattura internazionale che pendeva sulla sua testa e che ora potrebbe riportarlo in Italia. Dubai è la meta scelta, sin dal 2010, anche dal famigerato manager in bancarotta Samuele Landi, ex amministratore delegato di Eutelia, il quale porta sulle spalle due condanne che sommate fanno un totale di 15 anni di detenzione. Negli Emirati ha ripreso a fare affari e ha avviato un'azienda che sta sperimentando sistemi di telecomunicazione non intercettabili. Stessa spiaggia e stesso mare per Andrea Nucera, costruttore fallito, ricercato per la bancarotta fraudolenta nata dal crac della società Geo, dopo la lottizzazione abusiva della zona diventata il più grande cantiere edile del Ponente ligure. Nucera, che nel suo esilio arabo si è portato dietro la nonnina ultranovantenne, ha avviato nuove attività imprenditoriali, aprendo ristoranti e negozi. Anche Claudio Cirinnà, fratello della Signora delle unioni civili, fu cercato dai carabinieri inutilmente a Dubai, meta scelta per sottrarsi a un'indagine su una brutta faccenda legata a un traffico illecito di carburante tra l'Italia e la Repubblica Ceca. Nelle intercettazioni lo definivano «il matematico» e, infatti, con precisione matematica, sparì proprio il giorno delle perquisizioni. Da anni si godono una insolente vacanza nel Golfo Persico due capibastone della camorra: Tano Schettino, considerato dalla Procura antimafia napoletana il broker della droga del clan degli scissionisti di Scampia (nel 2016 fu arrestato e liberato a Dubai nel giro di 40 giorni) e il suo socio in affari Raffaele Imperiale, al secolo Lelluccio Ferrarelle, perché passò con successo dalla distribuzione delle acque minerali alla grande distribuzione della cocaina. Anche Imperiale ha scelto Dubai, dove vive spendendo ogni mese 400.000 euro, almeno secondo le stime tracciate fino al 2016, anno dell'inchiesta che ha disposto il suo arresto.A Dubai c'è anche Mazinga, nomignolo usato da Massimiliano Alfano, giovane salernitano, romano d'adozione, che ordinò la gambizzazione di un'estetista sessantenne nel quartiere Ardeatino. Si era trasferito sul Golfo già prima dell'arresto anche Anton Giulio Alberico Cetti Serbelloni, rampollo di una famiglia nobile di Milano che nell'albero genealogico vanta anche un papa, Pio IV, e che ha costruito un impero nel campo immobiliare e dell'arte. È finito a Dubai per un'evasione fiscale da un miliardo di euro. In Italia è atteso per un ordine di esecuzione per l'espiazione di una pena residua di poco più di otto anni di reclusione. L'ultimo nome della lista è quello dell'imprenditore piacentino Luigi Provini, ricercato con l'accusa di associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio per un giro di frodi fiscali nel quale sarebbero finite anche le sponsorizzazioni di team e piloti di Formula uno e rally. E ora che il trattato è quasi legge per loro potrebbe essere in preparazione un biglietto di sola andata per l'Italia. Potrebbe. Perché non è detto che l'estradizione sia automatica: la magistratura valuterà gli incartamenti giudiziari, ma è al governo emirato che spetterà comunque l'ultima parola.Fabio Amendolara<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/vacanza-finita-per-i-latitanti-italiani-a-dubai-2592169184.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="le-mete-preferite-dai-banditi-in-fuga-ma-un-porto-sicuro-per-loro-non-ce" data-post-id="2592169184" data-published-at="1757923551" data-use-pagination="False"> Le mete preferite dai banditi in fuga. Ma un porto sicuro per loro non c’è È un duro colpo per la criminalità perdere Dubai come città ideale per la propria latitanza. Da anni nell'avamposto degli Emirati Arabi Uniti non si rifugiavano solo gli italiani rincorsi da mandati di cattura internazionali, ma anche inglesi o francesi che avevano trovato nell'emirato il posto ideale dove potersi dare alla macchia. Del resto al giorno d'oggi non è facile trovare un Paese dove scappare e trovare rifugio per evitare le patrie galere. Lo sanno bene gli avvocati di diversi criminali che hanno imparato a diffidare dei consigli che i loro clienti ricevono per ottenere ospitalità. L'estradizione e i mandati di cattura sono regolati da trattati internazionali che vengono stipulati dai singoli Paesi. Ma spesso e volentieri c'è chi ribalta le carte in tavola, contrattando altri favori politici oppure anche commesse con importanti aziende di Stato. L'Italia, regno di mafia, 'ndrangheta e camorra, non ha al momento stipulato trattati di estradizione con l'Angola, l'Arabia Saudita, l'isola di Aruba, il Barhain, le Barbados, il Belize, le Bermuda, la Bierlorussia, il Botswana, il Bhutan, la Costa d'Avorio, la Dominica, l'Etiopia, le isole Fiji, le Filippine, il Gibuti, la Guinea Bissau, Capo Verde, la Guinea Equatoriale, Haiti, l'Indonesia, la Liberia, la Libia, la Malesia, la Mongolia, il Myanmar, la Namibia, il Mozambico, la Papua Nuova Guinea, la Repubblica Democratica del Congo, lo Swaziland, l'Uganda, lo Yemen, lo Zimbabwe e il Turkmenistan. Sono posti «sicuri»? A detta di alcuni legali contatti dalla Verità che vogliono mantenere l'anonimato, non troppo. Proprio perché spesso l'estradizione di un latitante può rientrare in un gioco politico interno al Paese che lo richiede, innescando così estradizioni lampo o mandati di arresto, oppure al contrario, fermando le procedure di espatrio. Per di più spesso i ricercati italiani all'estero fanno valere in giudizio la situazione malandata delle nostre carceri o anche il carcere duro del 41 bis, che spesso nel mondo non viene riconosciuto. Nel 2016 ci fu il caso di Stefano Marchi, considerato uno dei 100 più pericolosi latitanti italiani, trafficante internazionale di cocaina, scappato nel 2011 sull'isola di Capo Verde perché condannato a 20 anni di reclusione. La Procura di Genova riuscì a farlo arrestare solo nel 2014, ma non è mai riuscita a estradarlo. Tra i latitanti italiani più pericolosi, oltre a Mattia Messina Denaro, considerato l'ultimo capo della mafia, c'è Marco Di Lauro, un camorrista figlio di Paolo detto Ciruzzo o'milionario, protagonista delle faide di Scampia. È in fuga da 13 anni, c'è chi sostiene di averlo visto negli Emirati Arabi, ma l'Interpol e la mitica sezione Catturandi dei carabinieri, gli investigatori che inseguono i «fantasmi», continuano a cercarlo. Certo, c'è poi chi dice che possa essere ancora in Italia, ma sui super latitanti le voci sono incontrollate: lo stesso Messina Denaro è stato più volte accostato a tantissimi Paesi tra cui la stessa Capo Verde. Una delle latitanze più lunghe che si ricordino è stata quella di Vito Roberto Palazzolo, considerato dai magistrati palermitani il cassiere di Totò Riina, braccato solamente nel 2012 in Thailandia, dopo una vita dorata in Sudafrica. Ora Palazzolo si trova nel carcere di Opera, ma quando scappò all'inizio degli anni Novanta, ricercato dalle polizie di mezzo mondo, tra cui l'Fbi americana e persino quella svizzera, spesso faceva avanti e indietro tra Cape Town e lo Swaziland, territorio più sicuro. In quel caso le autorità sudafricane hanno protetto Palazzolo dalle richieste di estradizione in Italia, anche perché lui aveva costruito intorno a sé una forte rete politica che gli permetteva di restare al sicuro. Solo un avventato viaggio a Bangkok permise ai magistrati di Palermo di braccarlo e assicurarlo alla giustizia. Insomma, c'è chi può permettersi la latitanza e chi no. Alessandro Da Rold
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Oggi, a partire dalle 10.30, l’hotel Gallia di Milano ospiterà l’evento organizzato da La Verità per fare il punto sulle prospettive della transizione energetica. Una giornata di confronto che si potrà seguire anche in diretta streaming sul sito e sui canali social del giornale.
Clicca qui sotto per consultare il programma completo dell'evento con tutti gli ospiti che interverranno sul palco.
Evento La Verità Lunedì 15 settembre 2025.pdf
Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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