2025-07-25
Ira degli Usa su Hamas: via dal tavolo di Doha
Benjamin Netanyahu e Steve Witkoff ritirano le delegazioni. L’americano: «Una vergogna che gli islamisti agiscano in modo così egoistico». Un ministro israeliano minaccia: «Gaza diventerà tutta nostra». Oggi chiamata di emergenza tra Londra, Parigi e Berlino.In Asia, all’origine degli scontri violenze sui soldati di Bangkok. Usa e Cina puntano a mediare.«Tutta Gaza sarà ebraica». Queste le parole del ministro di estrema destra, Amihai Eliyahu, titolare del patrimonio culturale dello Stato di Israele. «Il governo sta spingendo affinché Gaza venga cancellata. Grazie a Dio, stiamo estirpando questo male di una popolazione che si è istruita sul Mein Kampf». E l’indignazione è subito esplosa, dentro e fuori Israele.Il leader dell’opposizione ebraica, Yair Lapid, ha condannato le dichiarazioni. «Israele non convincerà mai il mondo della giustezza della nostra guerra contro il terrorismo finché saremo guidati da un governo di minoranza estremista con ministri che santificano il sangue e la morte», ha affermato, aggiungendo che i soldati israeliani non «combattono, muoiono e vengono feriti per sterminare una popolazione civile». Il parlamentare Ayman Odeh, capo dell’alleanza politica israeliana di sinistra Hadash-Ta’al, ha twittato che quanto affermato da Eliyahu «è esattamente ciò che dicevano in Germania» al tempo del nazismo.Anche in Italia non sono mancate critiche da ambo le parti dell’emiciclo politico. E l’Università di Pisa ha annunciato la sospensione di due accordi con le università israeliane Reichman e Hebrew, come gesto politico di protesta contro le operazioni militari nella Striscia. «Non è un attacco all’accademia israeliana, ma un atto di responsabilità etica», ha chiarito il rettore dell’ateneo, Riccardo Zucchi.È saltata, invece, la trattativa sui colloqui indiretti tra Israele e Hamas su una possibile tregua a Gaza. Ieri, l’inviato speciale della Casa Bianca per il Medio Oriente, Steve Witkoff, era su uno yacht a Olbia per un incontro con il ministro israeliano per gli Affari strategici, Ron Dermer, e il premier del Qatar, Mohammed Al Thani. L’obiettivo era valutare la proposta di Hamas e cercare un’intesa definitiva per il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi. Tuttavia, in serata, lo stesso Witkoff ha annunciato «il ritiro del team negoziale statunitense dopo l’ultima risposta di Hamas, che dimostra chiaramente una mancanza di volontà di raggiungere un cessate il fuoco a Gaza». Su X, Witkoff accusa Hamas di «non agire in buona fede, nonostante i mediatori abbiano compiuto grandi sforzi». «Valuteremo ora opzioni alternative per riportare a casa gli ostaggi e cercare di creare un ambiente più stabile per la popolazione di Gaza. È una vergogna che Hamas abbia agito in modo così egoistico. Siamo determinati a porre fine a questo conflitto e a raggiungere una pace duratura a Gaza», ha sentenziato il braccio destro di Donald Trump nella regione mediorientale. E il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, lo ha seguito a ruota, decidendo di richiamare in patria i negoziatori israeliani. I palestinesi avrebbero incluso una clausola che impedisce a Israele di riprendere la guerra se non si raggiunge un accordo entro la fine del periodo di tregua di 60 giorni. Hamas punta il dito contro Israele affermando che il governo Netanyahu sta temporeggiando. Tra le richieste avanzate dal gruppo militante palestinese, anche un nuovo meccanismo per il rilascio degli ostaggi in cambio di prigionieri palestinesi. Secondo fonti israeliane, Hamas ha chiesto il rilascio di 2.200 detenuti, tra cui 200 condannati all’ergastolo, invece dei 1.325 presenti nella proposta originaria. Se i colloqui avessero prodotto progressi significativi, Witkoff avrebbe potuto recarsi a Doha (Qatar) entro il fine settimana per finalizzare l’accordo. Eventualità ora non attuabile. «Se Hamas interpreta la nostra disponibilità a raggiungere un accordo come una debolezza, come un’opportunità per imporci condizioni di resa che metterebbero in pericolo Israele, commette un grave errore», ha dichiarato Netanyahu. Il primo ministro ha poi aggiunto che Israele «non abbandonerà nemmeno i fratelli drusi nel Sud della Siria. Faremo in modo che il territorio lungo il nostro confine sia libero da armi e faremo tutto il necessario per aiutare e proteggere i drusi», ha spiegato. Intanto, Gran Bretagna, Francia e Germania hanno reso noto che oggi terranno una «chiamata di emergenza» su Gaza. Ad annunciarlo è stato il premier britannico Keir Starmer , dichiarando che la decisione è stata presa dopo che Usa e Israele hanno ritirato da Doha le rispettive squadre negoziali.Né va meglio con la diplomazia vaticana. I media dello Stato pontifico riportano la notizia della chiusura dell’inchiesta sull’attacco israeliano di giovedì scorso alla chiesa della Sacra Famiglia di Gaza rilevando, tuttavia, delle «perplessità» sulle conclusioni e anche su quelle riguardanti gli incendi in Cisgiordania che assolverebbero i coloni.La tensione interna in Israele si è poi manifestata attraverso episodi di cronaca nera. Otto persone (soldati, a quanto è dato sapere) sono rimaste ferite a Kfar Yona, vicino Netanya, in un sospetto attacco con un’auto lanciata contro una fermata del pullman. Il servizio di sicurezza dello Shin Bet ha arrestato un uomo, sospettato di essere coinvolto nell’attacco: gli indizi fanno pensare che abbia aiutato il terrorista responsabile del gesto o che fosse a conoscenza delle sue intenzioni.In un altro episodio, una donna israeliana è stata incriminata con l’accusa di aver pianificato l’assassinio di Netanyahu. Secondo l’atto della Procura, la donna, malata terminale e coinvolta in proteste antigovernative, avrebbe cercato di procurarsi una granata per compiere l’attacco. Le forze di sicurezza hanno sventato tempestivamente il piano, prima che potesse essere attuato.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/usa-israele-negoziato-doha-hamas-2673756547.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="dodici-morti-e-un-tempio-bombardato-thailandia-e-cambogia-ai-ferri-corti" data-post-id="2673756547" data-published-at="1753429538" data-use-pagination="False"> Dodici morti e un tempio bombardato. Thailandia e Cambogia ai ferri corti È crisi tra Thailandia e Cambogia. Ieri, si sono registrati degli scontri al confine tra i due Paesi. La Cambogia ha lanciato razzi contro il suolo thailandese, mentre Bangkok ha condotto degli attacchi aerei su alcuni obiettivi in territorio cambogiano. Oltre a chiudere i valichi di frontiera con il suo vicino, la Thailandia ha anche riferito che undici civili e un soldato sono rimasti uccisi. Dal canto suo, la Cambogia ha tacciato Bangkok di aver inferto «danni significativi» all’antico tempio di Preah Vihear, che è patrimonio mondiale dell’Unesco. Entrambi i contendenti si sono accusati reciprocamente di aver dato inizio ai combattimenti. Tutto questo, mentre il primo ministro cambogiano, Hun Manet, ha chiesto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite la convocazione di una «riunione urgente».Per capire le ragioni di quanto accaduto, bisogna risalire a maggio scorso, quando, durante una scaramuccia tra le truppe thailandesi e cambogiane in un’area di frontiera contesa, un soldato cambogiano era rimasto ucciso. L’episodio aveva fatto salire significativamente la tensione tra i due Paesi. Mercoledì scorso, invece, un militare thailandese ha perso una gamba a causa di una mina antiuomo collocata in una zona di confine. In conseguenza di ciò, il governo di Bangkok ha espulso l’ambasciatore cambogiano, mentre Phnom Penh ha ritirato il proprio personale diplomatico dalla Thailandia. Tutto questo ha contribuito all’escalation divampata ieri, anche se, in realtà, il problema ha radici molto più profonde. I due Paesi condividono infatti un confine di oltre 800 chilometri, che fu tracciato nel 1907 dalla Francia, durante il dominio coloniale della Cambogia (durato dal 1863 al 1953). La Thailandia contestò tuttavia la mappatura delle frontiere, visto che il tempio di Preah Vihear era stato collocato in territorio cambogiano. Il nodo sfociò quindi in varie dispute legali. Né sono mancati scontri tra i due Paesi (soprattutto nel 2011).Tornando alla crisi esplosa ieri, è utile una rapida comparazione delle forze militari di cui attualmente dispongono entrambi i belligeranti. L’esercito cambogiano conta circa 124.000 militari effettivi, quello thailandese 360.000. Nel 2024, Bangkok ha speso quasi 6 miliardi di dollari in difesa, mentre Phnom Penh si è attestata a 1,3 miliardi.Nel pomeriggio italiano di ieri si è registrato un timidissimo segnale di distensione tra i due contendenti. Il primo ministro della Malaysia, Anwar Ibrahim, ha reso noto di aver sentito sia il primo ministro cambogiano, Hun Manet, sia quello thailandese, Phumtham Wechayachai, «affinché attuassero immediatamente un cessate il fuoco». «Accolgo con favore i segnali positivi e la disponibilità dimostrati da Bangkok e Phnom Penh nell’affrontare la questione», ha continuato. Ibrahim ricopre attualmente anche l’incarico di presidente dell’Asean, il blocco dei Paesi del Sudest asiatico di cui fanno parte anche Cambogia e Thailandia. Un blocco che, oltre a dover fare i conti con la guerra civile in Myanmar, si ritrova adesso con un conflitto armato tra due suoi membri. Ricordiamo che l’Asean rappresenta la quinta maggiore economia al mondo, per un Pil combinato di quasi quattro trilioni di dollari. Senza poi trascurare la strategicità geopolitica di alcuni suoi membri, a partire dalle Filippine.La crisi scoppiata ieri ha quindi una sua indubbia rilevanza geopolitica, visto che Washington e Pechino si contendono da tempo l’influenza sull’Asean. Non a caso, Donald Trump ha recentemente annunciato accordi commerciali con tre Paesi del blocco: Vietnam, Indonesia e Filippine. Non è un mistero che, per l’attuale presidente americano, il commercio vada principalmente letto attraverso le lenti della geopolitica e della sicurezza nazionale. E infatti ieri, nella serata italiana, il il portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Tommy Pigott, ha dichiarato che «gli Stati Uniti sollecitano l'immediata cessazione delle ostilità, la protezione dei civili e una risoluzione pacifica del conflitto». Trump sta quindi cercando di creare una sorta di «cordone sanitario» ai danni di Pechino nel Sudest asiatico: un’area in cui la Cina sta al contempo tentando di preservare e di ampliare la propria influenza economico-politica. È anche in questo senso che ieri Pechino ha auspicato «dialogo» tra Thailandia e Cambogia. E sempre in questo senso, a metà luglio, il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, si era proposto di mediare una distensione tra i due belligeranti. Stando al Green finance and development center, entrambi i Paesi sono del resto coinvolti nella Belt and Road Initiative. Inoltre, come sottolineato dal Guardian, gli Usa classificano la Thailandia come «come un importante alleato non della Nato». Di contro, a febbraio scorso, il ministero della Difesa cinese ha definito «indistruttibili» i legami tra Phnom Penh e Pechino nel settore militare.Tutto questo significa che, con ogni probabilità, Washington e il Dragone entreranno in competizione per cercare di intestarsi la mediazione di un eventuale cessate il fuoco tra Cambogia e Thailandia. Come abbiamo visto, il Sudest asiatico rappresenta un’area cruciale in termini geopolitici ed economici. Il duello tra Stati Uniti e Cina passa soprattutto da lì.
Little Tony con la figlia in una foto d'archivio (Getty Images). Nel riquadro, Cristiana Ciacci in una immagine recente
«Las Muertas» (Netflix)
Disponibile dal 10 settembre, Las Muertas ricostruisce in sei episodi la vicenda delle Las Poquianchis, quattro donne che tra il 1945 e il 1964 gestirono un bordello di coercizione e morte, trasformato dalla serie in una narrazione romanzata.