2025-10-09
Ursula ricambia nome al riarmo e affibbia i droni anche al fianco Sud
Ursula von der Leyen (Ansa)
Il piano con cui Von der Leyen vuol sostenere l’economia (distrutta dal green) ora si chiamerà «Preservare la pace». «Alleanze tecnologiche in risposta alla guerra ibrida di Mosca». Ma per il Mediterraneo c’è aria fritta.In principio fu il ReArm. Poi, «Prontezza 2030». Adesso, forse, Ursula von der Leyen ha partorito la versione definitiva del crescendo orwelliano: «Preservare la pace - Roadmap Readiness 2030». La sostanza è sempre la stessa: la Russia ci attaccherà entro cinque anni e noi dobbiamo farci trovare pronti. Anzi, il nemico ci ha già attaccato: «Qualcosa di nuovo e pericoloso sta accadendo nei nostri cieli», ha detto ieri, alla plenaria del Parlamento Ue di Strasburgo, la presidente della Commissione. Mig, velivoli senza pilota, cavi sottomarini tagliati, «aeroporti e hub logistici paralizzati da attacchi informatici», «elezioni prese di mira da campagne di influenza maligne» - perché Mosca ancora si mette a diffondere bufale, anziché far ripetere le votazioni finite con il risultato sbagliato. Tutto concorre a delineare «un preoccupante schema di crescenti minacce». «Questa è guerra ibrida», ha sentenziato la Von der Leyen. «E l’Europa deve rispondere», possibilmente «in tempo reale» e con «una nuova mentalità» che la porti fuori dalla sua «zona di comfort». Un modo elegante per convincerci che la pace è finita. In compenso, abbiamo la «solidarietà in azione»: «Sono stati i piloti italiani della missione di polizia aerea della Nato a scortare i jet russi dai cieli estoni. Gli esperti ucraini stanno condividendo la loro esperienza in prima linea per aiutare gli Stati membri a contrastare le incursioni dei droni». Glorioso. Adesso però l’obiettivo è migliorare la deterrenza.I mantra della presidente dell’esecutivo comunitario rimangono i due «strumenti bandiera paneuropei», cioè il pattugliamento delle frontiere orientali e il famigerato muro di droni. In Polonia «abbiamo dovuto schierare sistemi molto costosi, caccia di ultima generazione, per abbattere armi relativamente economiche e prodotte in serie». Peraltro, uno dei missili lanciati dall’F-16 di Varsavia è piombato su una casa di campagna. «Questo non è sostenibile», ha ammesso la Von der Leyen, che suggerisce di non affidarsi a jet e batterie di Patriot. Semmai, è meglio investire nel progetto che sta a cuore a baltici e polacchi, gli oligopolisti di fatto della Nato. È «la nostra risposta alla realtà della guerra moderna», ha argomentato la tedesca. Ma è anche un programma sul quale l’Europa è tutt’altro che unita.Germania, Francia e Paesi mediterranei hanno avanzato parecchie riserve, in occasione del vertice informale di Copenaghen di inizio ottobre. L’Italia, in particolare, vorrebbe che l’Alleanza prestasse maggiore attenzione al fronte Sud, altrettanto fondamentale per garantire la sicurezza dell’area nordatlantica. La risposta del segretario generale Nato, Mark Rutte, è arrivata qualche giorno fa, dai microfoni del Tg1: le vere priorità sono a Est, perché Vladimir Putin è in grado di colpire pure Roma. La numero no della Commissione ha chiuso la questione ieri: il muro anti-droni «sarà uno scudo per tutta la nostra Unione, incluso il nostro fianco meridionale».Come si trasforma l’ossessione dei falchi antirussi di Varsavia, Tallin, Riga e Vilnius, in una panacea? Semplice: riempiendola di fuffa. Così, ha predicato la Von der Leyen, la barriera aerea sarà strutturata in modo da «affrontare un ampio spettro di sfide: dalla risposta alle catastrofi naturali alla lotta alla criminalità organizzata internazionale; dal monitoraggio delle migrazioni usate come armi al controllo della flotta ombra russa». Mancano solo le riprese dall’alto ai matrimoni.Dietro questa corsa verso la modernità, ovviamente, ci sono gli affari dei produttori: guarda caso, una startup tedesca, oltre alle fabbriche ucraine. È la strada per salvare dall’implosione l’industria europea. La Von der Leyen lo ha ammesso: il «più grande aumento della spesa per la difesa nella storia» dell’Ue serve per rinvigorire la «nostra base industriale, soprattutto in tempi di crisi». Gli investimenti saranno «un motore di crescita», un volano per «migliaia di lavoratori qualificati. E le ricadute si faranno sentire anche in altri settori». Si potrebbe pure concordare, eh. Peccato che il capo della Commissione abbia omesso un pezzo di verità. Ha evitato di ricordare, ad esempio, che tanta premura dipende dalla distruzione che stava lasciando dietro di sé il Green deal. Voluto sempre dalla Von der Leyen. Ursula 1 contro Ursula 2: la prima con il pollice verde, la seconda con la divisa mimetica. È per colpa delle picconate che sono state inferte all’automotive e ad altri settori strategici non abbastanza «puliti», se oggi, pur di giustificare la frenesia di riempire gli arsenali, facciamo finta che i tank dello zar puntino fino a Lisbona. Anche se non sono riusciti nemmeno a entrare a Kiev.Certo, per scongiurare la desertificazione industriale, i droni non basteranno. «L’Agenda Readiness 2030», ha rivendicato la presidente dell’Ue, «mobiliterà fino a 800 miliardi» in cinque anni. Occorrono, allora, un coordinamento con la Nato «su come procedere», una serie di «alleanze tecnologiche» tra gli operatori del settore militare, nonché un meccanismo di sorveglianza sugli Stati membri, per verificare che facciano i compitini a casa. «Solo ciò che viene misurato viene fatto», ha chiosato la Von der Leyen. Magari le sfugge che l’Italia rischia di rientrare in procedura d’infrazione proprio perché lei chiede di comprare armi. Per le classi dirigenti europee, il problema, più che preservare la pace, sarà preservare la faccia.
Antonio Tajani (Ansa)
Alla Triennale di Milano, Azione Contro la Fame ha presentato la Mappa delle emergenze alimentari del mondo, un report che fotografa le crisi più gravi del pianeta. Il ministro Tajani: «Italia in prima linea per garantire il diritto al cibo».
Durante le Giornate Contro la Fame, promosse da Azione Contro la Fame e inaugurate questa mattina alla Triennale di Milano, è stato presentato il report Mappa delle 10 (+3) principali emergenze alimentari globali, un documento che fotografa la drammatica realtà di milioni di persone colpite da fame e malnutrizione in tutto il mondo.
All’evento è intervenuto, con un messaggio, il vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha espresso «gratitudine per il lavoro prezioso svolto da Azione Contro la Fame nelle aree più colpite dalle emergenze alimentari». Il ministro ha ricordato come l’Italia sia «in prima linea nell’assistenza umanitaria», citando gli interventi a Gaza, dove dall’inizio del conflitto sono state inviate 2400 tonnellate di aiuti e trasferiti in Italia duecento bambini per ricevere cure mediche.
Tajani ha definito il messaggio «Fermare la fame è possibile» un obiettivo cruciale, sottolineando che l’insicurezza alimentare «ha raggiunto livelli senza precedenti a causa delle guerre, degli eventi meteorologici estremi, della desertificazione e dell’erosione del suolo». Ha inoltre ricordato che l’Italia è il primo Paese europeo ad aver avviato ricerche per creare piante più resistenti alla siccità e a sostenere progetti di rigenerazione agricola nei Paesi desertici. «Nessuna esitazione nello sforzo per costruire un futuro in cui il diritto al cibo sia garantito a tutti», ha concluso.
Il report elaborato da Azione Contro la Fame, che integra i dati dei rapporti SOFI 2025 e GRFC 2025, individua i dieci Paesi con il maggior numero di persone in condizione di insicurezza alimentare acuta: Nigeria, Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Bangladesh, Etiopia, Yemen, Afghanistan, Pakistan, Myanmar e Siria. In questi Paesi si concentra oltre il 65% della fame acuta globale, pari a 196 milioni di persone. A questi si aggiungono tre contesti considerati a rischio carestia – Gaza, Sud Sudan e Haiti – dove la situazione raggiunge i livelli massimi di gravità.
Dal documento emergono alcuni elementi comuni: la fame si concentra in un numero limitato di Paesi ma cresce in intensità; le cause principali restano i conflitti armati, le crisi climatiche, gli shock economici e la fragilità istituzionale. A complicare il quadro contribuiscono le difficoltà di accesso umanitario e gli attacchi agli operatori, che ostacolano la distribuzione di aiuti salvavita. Nei tredici contesti analizzati, quasi 30 milioni di bambini soffrono di malnutrizione acuta, di cui 8,5 milioni in forma grave.
«Non è il momento di tagliare i finanziamenti: servono risorse e accesso umanitario per non interrompere gli interventi salvavita», ha dichiarato Simone Garroni, direttore di Azione Contro la Fame Italia.
Il report raccoglie anche storie dal campo, come quella di Zuwaira Shehu, madre nigeriana che ha perso cinque figli per mancanza di cibo e cure, o la testimonianza di un residente sfollato nel nord di Gaza, che racconta la perdita della propria casa e dei propri cari.
Nel mese di novembre 2025, alla Camera dei Deputati, sarà presentato l’Atlante della Fame in Italia, realizzato con Percorsi di Secondo Welfare e Istat, che analizzerà l’insicurezza alimentare nel nostro Paese: oltre 1,5 milioni di persone hanno vissuto momenti di scarsità di risorse e quasi 5 milioni non hanno accesso a un’alimentazione adeguata.
Dal 16 ottobre al 31 dicembre partirà infine una campagna nazionale con testimonial come Miriam Candurro, Germano Lanzoni e Giorgio Pasotti, diffusa sui principali media, per sensibilizzare l’opinione pubblica e sostenere la mobilitazione di aziende, fondazioni e cittadini contro la fame nel mondo.
Continua a leggereRiduci
Giancarlo Giorgetti (Ansa)