2025-11-26
Le falle dei servizi sociali, tra documenti mancanti e criticità mai verificate
La famiglia Trevallion (Ansa)
Le difficoltà nello sviluppo dei piccoli Trevallion e la non abitabilità della loro casa non sono state certificate. E la relazione sull’homeschooling non è arrivata al giudice.Nella struttura che li accoglie, leggono e giocano. La mamma presente ai pasti, il papà per pochi minuti.Lo speciale contiene due articoliDalla storia dei tre bambini di Palmoli, la cosiddetta «famiglia del bosco», comincia a emergere una ingarbugliata sequenza di defaillance della cinghia di trasmissione tra Comune di Monteodorisio, servizi sociali, Procura per i minorenni e Tribunale. A partire da tre elementi fondamentali rispetto a una decisione come quella presa dai giudici (ovvero affidare i bimbi a una casa famiglia): la «carenza dello sviluppo psicofisico»; i «problemi comportamentali» e i «disturbi dell’area relazionale, affettiva ed emotiva. Accanto a tutte e tre le voci, citate in un documento del municipio che la Verità ha potuto consultare, è stato annotato in stampatello con una penna «da verificare». Verifiche che non sembrerebbero essere state eseguite. O, almeno, al momento, non farebbero parte del fascicolo. E questa non è l’unica carenza. Negli atti del Tribunale per i minorenni dell’Aquila c’è scritto in modo chiaro che il problema principale era la casa. Il giudice delegato, si evince dal Decreto di fissazione dell’udienza del 23 aprile scorso, aveva chiesto una «relazione tecnica sulla sicurezza statica del rudere destinato ad abitazione dei minori». Perché senza quel documento nessuno poteva capire se i minori vivessero davvero in un luogo pericoloso o semplicemente in condizioni spartane. Quella relazione, però, non è mai stata depositata. Il giudice l’aveva considerata indispensabile: «Il servizio sociale», aveva scritto, «è invitato a collocare i minori in comunità o presso altre famiglie ove non vi sia una relazione tecnica sulla sicurezza statica dell’immobile o la stessa dia esito negativo». Ma nessuno l’ha prodotta. Anzi: i servizi sociali, nella loro relazione del 14 ottobre, scrivono di aver ricevuto una perizia privata dalla famiglia, firmata da un geometra, ma non di aver prodotto o richiesto la verifica tecnica dell’ente pubblico. I documenti agli atti mostrano uno scenario che appare paradossale: la perizia l’ha prodotta la famiglia, non il Comune, né il Tribunale. La relazione tecnica ufficiale, quella chiesta dal giudice, invece, non esiste. Ma non è l’unico buco. C’è il nodo della scuola. Sempre i servizi sociali, nella relazione del 14 ottobre, segnalano che la famiglia ha consegnato «il certificato di idoneità alla classe terza» di una delle bimbe «rilasciato» dalla scuola che frequentava. Quindi è la famiglia che ha consegnato il documento scolastico.Ma quel documento non risulta tra gli atti trasmessi al Tribunale dai servizi sociali nelle fasi precedenti al giudizio. E, soprattutto, gli stessi servizi sociali scrivono che i minori non frequentano la scuola, come premessa generale, senza distinguere tra obbligo scolastico, istruzione parentale e certificazioni già prodotte. Sono ancora i servizi sociali il 14 ottobre a scrivere che «è stato approvato un progetto di intervento che prevedesse degli obiettivi relativi ai minori, ovvero […] reperire un contesto abitativo adeguato, fornire la necessaria documentazione sanitaria e relativa all’obbligo scolastico». Il pm, nel ricorso per la limitazione o decadenza della responsabilità genitoriale, rappresenta che «i minori non frequentavano la scuola» e che non risultavano iscritti a nessun istituto. In realtà, però, c’era una certificazione che attestava, con tanto di firma del dirigente scolastico, che uno dei tre bimbi aveva superato gli esami di idoneità per l’anno successivo. Ma non si legge in alcun atto che i servizi sociali abbiano trasmesso la documentazione scolastica prima che fosse la famiglia a esibirla. In sostanza: la famiglia ha consegnato la documentazione, il Comune l'ha ricevuta, ma non il Tribunale. E mentre la burocrazia sembra inciampare nelle sue stesse incoerenze, le relazioni dei servizi sociali raccontano altro: i genitori che «hanno un atteggiamento difensivo», che non vogliono la visita a sorpresa, che non accettano la psicologa, che «non hanno interazioni sociali frequenti». E ci sono altre crepe. I servizi sociali scrivono che i minori non hanno contatti con coetanei, ma la famiglia ha replicato che invece frequentano amici, parchi e negozi. Infine, sempre i servizi sociali, annotano che per mesi il servizio non è riuscito a comunicare con la famiglia se non tramite avvocato e che si è reso necessario «un sopralluogo a sorpresa». Una dinamica che più che fotografare la vita dei minori sembra concentrata su una comunicazione complicata tra le parti. Eppure, quando interviene la presidente dell’Ordine nazionale degli assistenti sociali, il tono è completamente diverso. Barbara Rosina, intervistata dalla Stampa, afferma: «Dire che gli assistenti sociali strappano i figli significa ignorare che le decisioni non vengono mai prese da soli». Parole che, come quelle dell’Anm (che ha già stabilito che quello del Tribunale era un provvedimento motivato e inattaccabile), difendono la categoria, ma che non entrano nel merito di un caso in cui la cronologia delle criticità appare documentata. Nel caso della famiglia del bosco, gli assistenti sociali non sono il bersaglio dell’opinione pubblica: sono parte attiva di un procedimento in cui hanno svolto un ruolo preciso. E se il Tribunale scrive che serviva una relazione tecnica e quella relazione non c’è, è un fatto. Se la scuola certifica l’idoneità della minore e quel documento non arriva al giudice, è un buco nella procedura. Se si parla della necessità di una Ctu e nessuno la richiede, è un cortocircuito. E se si interviene sui bambini mentre ancora mancano atti fondamentali, la mano che dovrebbe proteggerli sembra trasformarsi in qualcos’altro.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/falle-servizi-sociali-famiglia-trevallion-2674343799.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="i-bimbi-frequentano-i-genitori-col-contagocce" data-post-id="2674343799" data-published-at="1764155081" data-use-pagination="False"> I bimbi frequentano i genitori col contagocce Gli abitanti della zona di Palmoli, il Comune in Provincia di Chieti dove vive la famiglia Trevallion si sono mobilitati per aiutare Catherine Birmingham e Nathan Trevallion a tornare a vivere con i loro tre figli, due gemelli di sei anni e uno di otto, affidati dal Tribunale dei minori dell’Aquila a una struttura. Alcune persone hanno già offerto ai Trevallion l’uso di abitazioni come sistemazione provvisoria in attesa dei lavori nel casolare di Palmoli per il quale è già pronto il progetto di ristrutturazione da presentare al Comune, che prevede la realizzazione di un bagno e una nuova suddivisione degli spazi interni, per ricavare una cameretta per i piccoli. Secondo quando risulta alla Verità, al momento gli slanci di generosità vengono valutati dai Trevallion con la massima prudenza, nel comprensibile timore di incappare in false promesse che complicherebbero ulteriormente il dialogo con il Tribunale e con i servizi sociali. E anche per questo Nathan Trevallion, comprensibilmente provato dalla vicenda, dopo aver pubblicamente ringraziato gli italiani per la vicinanza e il sostegno, ha deciso di non rilasciare ulteriori dichiarazioni o interviste. L’Ansa ha riferito che la decisione sul silenzio stampa è stata presa dopo un incontro con le altre famiglie neorurali che vivono nella zona. Si tratta di una trentina di nuclei familiari che hanno scelto di vivere nelle campagne e nei boschi abruzzesi, tra Palmoli, Tufillo e San Buono, in provincia di Chieti. La decisione di Trevallion è stata condivisa dagli altri neorurali, che si sono incontrati per parlare del caso e del clamore mediatico che ha provocato intorno all’intera comunità. Intanto il legale della famiglia, Giovanni Angelucci, continua a lavorare al ricorso contro il provvedimento del Tribunale aquilano, che deve essere presentato entro lunedì. La speranza della famiglia angloaustraliana è quella che la Corte d’Appello calendarizzi l’udienza il più velocemente possibile, visto che si tratta di questioni relative alla libertà delle persone, e ai diritti costituzionali dei minori. È quindi possibile che prima di Natale ci sia già una decisione. In tanto, i tre bambini Trevallion trascorrono le loro giornate nella struttura dove il Tribunale dei minori ha trasferito sia loro che la madre, ormai da una settimana. Un tempo che rende verosimile che le educatrici, la direttrice della casa famiglia e gli assistenti sociali che stanno seguendo il caso possano già formulare delle prime valutazioni rispetto alle criticità contestate dai giudici. E forse che le possano anche mettere nero su bianco. In particolare, potrebbero essersi già fatti un’idea riguardo alla capacità di socializzazione e lo stato di salute psicofisica dei bambini. Va ricordato che le educatrici che trascorrono le giornate con i piccoli Trevallion non possono fare valutazioni psicologiche in senso stretto, ma vedono costantemente le modalità con cui i tre «bambini del bosco» interagiscono con i loro coetanei ospitati dalla casa famiglia, e posso quindi evidenziare agli assistenti sociali eventuali comportamenti problematici o aggressivi. Al momento non risulta che per i piccoli Trevallion sia stata disposta la frequentazione di una scuola. E nemmeno che siano stati già svolti colloqui con psicologi o neuropsichiatri infantili. Secondo indiscrezioni, i tre bambini trascorrono le loro giornate leggendo libri con l’aiuto degli educatori e giocando insieme ai loro coetanei. A quanto risulta alla Verità la madre Catherine, anche lei ospite nella struttura, vedrebbe i tre figli durante la colazione, il pranzo e la cena. E sarebbe sempre lei ad accompagnare i bambini in camera, lavarli, fare indossare loro i pigiamini e metterli a letto. Di più al momento non è possibile, sarebbe necessario che il Tribunale, magari su istanza congiunta dei familiari e della curatrice speciale che ha in carico i bambini, autorizzi la madre a trascorrere più tempo insieme ai figli. Ma al momento l’eventualità di un dialogo per arrivare a presentare una richiesta del genere non trova conferme.Va detto che l’attuale routine tra la mamma e tre figli non è molto diversa da quella che vivono ogni giorno molti bambini che hanno mamme che lavorano, ma in questo caso avviene in un ambiente diverso da quello della casa di famiglia, nel quale i piccoli Trevallion si sono trovati letteralmente dalla sera alla mattina, dopo essere stati abituati ad avere entrambi i genitori presenti nel corso dell’intera giornata. Anche Nathan Trevallion, vede i figli tutti i giorni. Ma dal momento che la casa famiglia che li ospita insieme alla moglie accoglie solo donne e bambini, il tempo che l’uomo trascorre con i figli è limitato a pochi minuti al giorno, quando Trevallion passa dalla struttura a portare ai suoi familiari vestiti ed effetti personali rimasti nel casolare. È probabilmente questo il punto più doloroso dell’intera vicenda, ma anche in questo caso, una soluzione può essere trovata solo con un accordo tra la famiglia e le istituzioni.