2025-11-26
Roccella: «C’è la tendenza a vedere la famiglia solo come un luogo di sopraffazione»
Il ministro delle Pari opportunità: «Siamo perplessi di fronte alla decisione di spostare quei bambini fuori dal loro nucleo. La mancanza di socialità fa danni? Certo, ma anche l’essere strappati via da casa».Le carte del Tribunale dell’Aquila sono attualmente al vaglio del ministero della Giustizia, che ne valuterà il contenuto e deciderà se prendere provvedimenti. Ma anche al ministero delle Pari opportunità e della famiglia (di fronte al quale, il 6 dicembre, si dovrebbe tenere una manifestazione di solidarietà a Nathan Trevallion e ai suoi cari) si guarda con attenzione al caso dei cosiddetti bambini del bosco. Eugenia Roccella, parlando con La Verità, si esprime con la dovuta prudenza, ma le sue parole sono piuttosto chiare. Ministro, che idea si è fatta di questa vicenda che indubbiamente ha suscitato un notevole coinvolgimento emotivo di molti italiani?«Mi rendo conto che abbia coinvolto emotivamente tanti italiani e penso che sottrarre i bambini ai genitori è sempre un atto traumatico, traumatico per i genitori e traumatico per i figli. E quindi deve avere motivazioni estremamente robuste, estremamente forti. E da quello che è uscito sui giornali, dalle notizie che sono state diffuse, in questo caso sembra che siano prevalenti motivazioni non così legate a un pericolo immediato e veramente devastante. Ripeto: per arrivare all’allontanamento dei minori ci deve essere un pericolo davvero importante, un pericolo a cui il bambino va assolutamente sottratto. Parliamo dunque di un pericolo di vita, un pericolo di salute importante. Parliamo di maltrattamenti, abusi, insomma questioni che conosciamo e che devono avere una gravità obiettiva».E qui invece?«In questo caso siamo molto perplessi di fronte alla decisione di spostare i bambini fuori dal nucleo familiare. Non sappiamo in realtà fino in fondo quale sia la situazione e su questo bisogna dire che il ministero della Giustizia ha chiesto di avere tutti gli atti fin qui prodotti e la relazione della presidente del Tribunale per fare una valutazione più articolata del caso e poi decidere se eventualmente inviare un’ispezione. Noi parliamo soltanto a partire dalle notizie di stampa e dall’ordinanza che è stata emessa. Esprimiamo perplessità che non possono essere taciute perché riguardano le motivazioni che sono state date, che da quello che si legge nell’ordinanza vertono soprattutto sulla questione della socializzazione dei minori. Va infatti evidenziato che l’ordinanza cautelare non è fondata sul pericolo di lesione del diritto dei minori all’istruzione ma sul pericolo di lesione del diritto alla vita di relazione. Il tribunale spiega che la deprivazione del confronto tra pari in età da scuola elementare, circa 6-11 anni, può avere effetti significativi sullo sviluppo del bambino che si manifestano sia in ambito scolastico che non scolastico. E aggiunge che il gruppo dei pari è un contesto fondamentale di socializzazione e di sviluppo cognitivo e emotivo che offre opportunità uniche rispetto all’interazione con gli adulti».Sembra condivisibile, in linea generale. «E siamo d’accordo, il gruppo dei pari è sicuramente uno degli elementi fondamentali della crescita armoniosa del bambino. Ma il rapporto con i genitori, con la famiglia, è secondario rispetto al gruppo dei pari? Io penso che oggi il problema sia in generale - non mi riferisco qui allo specifico del caso - un po’ l’inverso. I ragazzi di oggi hanno un riferimento fin troppo prevalente nei confronti del gruppo dei pari e sempre meno invece si riferiscono agli adulti, ai genitori». Il punto è: anche qualora ci fosse l’assenza di socializzazione - e i genitori sostengono che non sia vero - sarebbe sufficiente per intervenire e separare un bambino, anzi tre bambini in questo caso, dai genitori?«L’ho detto fin dall’inizio: per sottrarre un bambino alla famiglia, al nucleo familiare, agli affetti più cari, agli affetti su cui si è costruita la sua personalità e la sua sicurezza, la sua fiducia nel mondo, ci devono essere elementi di grave pericolo. Ricordiamoci che è in famiglia, soprattutto nei primi anni di vita, che nasce la personalità di ciascuno di noi e che si struttura quel rapporto di fiducia in sé stessi e anche nelle relazioni che poi ci consente di andare avanti e di sviluppare pienamente la nostra personalità. Io penso che per sottrarre un bambino alla famiglia ci sia bisogno di motivazioni non forti, ma veramente fortissime. Insisto: motivazioni che riguardano il pericolo di vita, l’incolumità fisica, la mancanza di cibo... Cioè rischi veramente fondamentali. Mi sembra che non si consideri a sufficienza il trauma dovuto alla separazione dai genitori e dall’ambiente in cui si è vissuto, dall’ambiente familiare e dal suo calore. Essere privati del gruppo dei pari è un elemento fondamentale anche quello. Ma mi lascia molto perplessa l’idea di non tenere conto del trauma che viene prodotto dalla separazione in così giovane età dai genitori, dalla mamma, dal papà e dall’ambiente familiare». Proviamo ad allargare il discorso. Al di là di questo caso, lei pensa che oggi ci sia di fondo una sfiducia dell’istituzione familiare?«Credo che ci sia da molti decenni una tendenza a considerare la famiglia non più come la definì Christopher Lasch…»...Rifugio in un mondo senza cuore.«Esatto. Ed è in qualche modo sempre così, la famiglia è il rifugio più caldo, il rifugio in cui possiamo riprendere forza per poi affrontare le difficoltà del mondo, le mille difficoltà quotidiane. C’è una tendenza a considerare invece la famiglia un luogo di sopraffazione, di esclusione, di incapacità, di impossibilità di sviluppare le proprie potenzialità liberamente, un luogo in cui gli individui vengono schiacciati da logiche gerarchiche o comunque da logiche che ne impediscono la libera espressione della personalità e così via. Poi un luogo di egoismo, un luogo di chiusura. Ricordo per esempio una vecchia analisi di uno studioso americano in in cui si parlava delle famiglie italiane degli anni Cinquanta come di luoghi in cui si sviluppava una chiusura rispetto alla cittadinanza, all’essere cittadini capaci di senso civico, di solidarietà e così via. Edward C. Banfield parlava di familismo amorale, di un riferimento esclusivo ai membri della famiglia che lasciava fuori tutto il resto».Analisi come questa hanno lasciato il segno. «Sì. E negli anni seguenti si sono sviluppata altre analisi diciamo sessantottine sul fatto che la famiglia fosse un luogo di repressione sessuale, di sopraffazione nei confronti della donna. La realtà è che non abbiamo trovato delle alternative alla famiglia. Tutta questa cultura della critica alla famiglia e al familismo non ha poi trovato sostituzioni, aggregati sostitutivi. Penso penso alle comuni degli anni Settanta, ma anche alle ultime teorizzazioni sulle famiglie queer...».
Il ministro Roccella sul caso dei “bambini del bosco”: togliere tre figli ai genitori è un atto estremo che richiede pericoli reali, non dubbi educativi. La socializzazione conta, ma non più della famiglia. Servono trasparenza, criteri chiari e meno sospetto verso i genitori.