2025-11-26
La Corte Ue sfrutta il «cavallo dei Trojan» e impone le nozze gay a tutti i Paesi membri
Si usa il caso polacco per stabilire che pure lo Stato che esclude le unioni arcobaleno deve accettare le trascrizioni dall’estero.I signori Kuprik Trojan, due uomini polacchi che si erano sposati in Germania e si erano visti respingere la trascrizione del loro matrimonio in Polonia, hanno ottenuto dalla Corte di Giustizia europea una sentenza che può segnare un punto fondamentale a favore del matrimonio gay in tutta Europa. Per i giudici di Strasburgo, anche se le norme di un Paese non prevedono l’unione tra persone dello stesso sesso, questo stesso Paese non può opporsi alla trascrizione dell’atto estero perché questo andrebbe contro la libera circolazione delle persone nell’Ue, il loro pieno diritto di stabilirsi e vivere dove vogliono, e di mantenere «una vita familiare consolidata».Le autorità polacche hanno dichiarato che erano preoccupate di introdurre il matrimonio gay nel loro ordinamento, che non lo prevede, e che la stessa Corte di Giustizia Ue ha dovuto ammettere che non può essere imposto a nessuno Stato, e alla fine hanno ricavato una sentenza erga omnes che sancisce il riconoscimento dei matrimoni all’estero in virtù della libera circolazione delle persone. Ripercorrere la storia aiuta a capire come una sassolino ha prodotto un valanga. Il 6 giugno del 2018, a Berlino, il signor Cupriak Trojan, che ha doppia cittadinanza tedesca e polacca, si sposa con il signor Trojan, cittadino polacco. Ad agosto del 2019 decidono di rientrare in Polonia, ma l’ufficio dello stato civile di Varsavia respinge la domanda di trascrizione perché in questa nazione il matrimonio omosessuale non è previsto e questa trascrizione avrebbe violato «i principi fondamentali della Polonia». La coppia impugna il provvedimento dal giudice amministrativo, sostenendo che anche la Costituzione polacca tutela il matrimonio, contratto anche all’estero, ma il tribunale (a luglio 2020) respinge il ricorso e aggiunge un elemento a suo dire insormontabile: non si possono trascrivere atti di matrimonio con due diciture «uomo» e neppure cambiarle, perché la legge impone la trascrizione «fedele» degli atti esteri A questo punto, i signori Trojan si rivolgono alla Corte suprema amministrativa, sostenendo che il mancato riconoscimento del loro matrimonio costituisca una restrizione sproporzionata alla loro libertà di circolazione e di soggiorno nel territorio degli Stati membri. Il «Consiglio di Stato» polacco rinvia la questione a Strasburgo, che risponde con questa sentenza di martedì scorso.La Corte Ue parte dalle norme richiamate dai cittadini polacchi e le «delimita» per tutti: si tratta dell’articolo 20 (paragrafo 2) e dell’articolo 21 (paragrafo 1), della Carta dei diritti fondamentali e dell’articolo 2 (punto 2) della direttiva Ue del 2004 sul diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.Il ragionamento dei giudici europei è che nessuno può imporre a uno Stato di introdurre il matrimonio gay, ma neppure si può impedire a una coppia di cittadini Ue di circolare liberamente e stabilirsi dove ritiene. Questo diritto comprende anche i familiari e «una normale vita con essi».Alla fine la Corte Ue scrive che le norme europee citate devono essere interpretate in questo senso: «Ostano alla normativa di uno Stato membro che, con la motivazione che il diritto di tale Stato membro non autorizza il matrimonio tra persone dello stesso sesso, non consente di riconoscere il matrimonio tra due cittadini dello stesso sesso di detto Stato membro, legalmente contratto durante l’esercizio della loro libertà di circolazione e di soggiorno in un altro Stato membro nel quale hanno sviluppato o consolidato una vita familiare». E le stesse norme impediscono che uno Stato non voglia trascrivere l’atto di matrimonio nel registro dello stato civile, «qualora tale trascrizione sia l’unico mezzo previsto» per il riconoscimento.Per i coniugi Trojan è una grande vittoria, ma la Corte ha tenuto a delimitare la concreta portata della sua decisione: «Le norme relative al matrimonio rientrano nella competenza degli Stati e il diritto dell’Unione non può pregiudicare tale competenza. Tali Stati sono quindi liberi di prevedere o meno il matrimonio per persone dello stesso sesso».Attualmente, il matrimonio gay è riconosciuto da Austria, Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Slovenia, Spagna e Svezia. L’Italia riconosce i matrimoni contratti all’estero come unioni civili. Alessandro Zan, europarlamentare del Pd, ha subito dichiarato: «La Corte di Giustizia abbatte un altro paletto: se due persone dello stesso sesso si sposano in un Paese europeo, quel matrimonio va riconosciuto anche nel loro Stato d’origine. È uno schiaffo ai governi che fanno guerra alle persone Lgbtqia+. Ora anche l’Italia introduca il matrimonio ugualitario». Chissà se ha letto la stessa sentenza. Invece Paolo Inselvini, del gruppo Fdi-Ecr, oltre a esprimere «sconcerto» per la pronuncia, segnala che «si rischia di forzare la mano agli ordinamenti nazionali su un tema - la famiglia - che i Trattati attribuiscono chiaramente alla competenza esclusiva degli Stati membri». E fa notare che «quando si chiede qualcosa all’Ue per la famiglia, la risposta è sempre che non è di loro competenza», salvo poi «imporre riconoscimenti e definizioni giuridiche su cosa sia una famiglia».
Il ministro Roccella sul caso dei “bambini del bosco”: togliere tre figli ai genitori è un atto estremo che richiede pericoli reali, non dubbi educativi. La socializzazione conta, ma non più della famiglia. Servono trasparenza, criteri chiari e meno sospetto verso i genitori.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa del 26 novembre con Carlo Cambi