2025-11-26
Pace made in Usa più vicina. L’Ue resta inerme
Donald Trump e Volodymyr Zelensky (Ansa)
Colloqui separati dei funzionari americani ad Abu Dhabi con delegati di Mosca e Kiev. Volodymyr Zelensky: «Pronti ad andare avanti». Gelo del Cremlino sul piano modificato. Intanto Bruxelles prende un altro schiaffo: Marco Rubio nega il bilaterale chiesto da Kaja Kallas.Keir Starmer ed Emmanuel Macron come dischi rotti: «Serve una forza multinazionale sul campo».Lo speciale contiene due articoliWashington continua a tessere la sua tela diplomatica per cercare di risolvere la crisi ucraina. Ieri e l’altro ieri, ad Abu Dhabi, il segretario all’Esercito americano, Dan Driscoll, ha avuto dei colloqui separati con alcuni delegati russi e con il capo dell’intelligence militare di Kiev, Kyrylo Budanov. «Nella tarda serata di lunedì e per tutto il resto di martedì, il segretario Driscoll e il suo team hanno discusso con la delegazione russa per raggiungere una pace duratura in Ucraina», ha dichiarato il portavoce dello stesso Driscoll, Jeff Tolbert. «I colloqui stanno procedendo bene e restiamo ottimisti», ha aggiunto. Gli incontri di Abu Dhabi hanno fatto seguito al vertice tenutosi domenica a Ginevra tra il segretario di Stato americano, Marco Rubio, e il team negoziale ucraino: vertice da cui è emerso un piano di pace modificato rispetto a quello di 28 punti, che era stato originariamente preparato dalla Casa Bianca.La nuova versione, di cui si conoscono ancora pochi dettagli, è stata ben accolta da Kiev, pur con qualche cautela: ieri, un funzionario ucraino ha riferito a Reuters che «l’Ucraina sostiene l’essenza del quadro dell’accordo di pace dopo i colloqui di Ginevra», mentre Volodymyr Zelensky, poco prima, aveva dichiarato: «Ci sono risultati concreti e molto lavoro c’è ancora da fare». Un certo ottimismo è trapelato anche da Washington. Un funzionario statunitense, sempre ieri, ha infatti affermato alla Cbs che «gli ucraini hanno accettato l’accordo di pace». «Ci sono alcuni dettagli minori da sistemare, ma hanno accettato un accordo di pace», ha poi precisato. Poco dopo, la Casa Bianca, pur sottolineando «enormi progressi», ha parlato dell’esistenza di «alcuni dettagli delicati, ma non insormontabili», che «richiederanno ulteriori colloqui tra Ucraina, Russia e Stati Uniti». «Penso che ci stiamo avvicinando molto a un accordo, lo scopriremo. Penso che stiamo facendo progressi», ha poi aggiunto, sempre ieri, Donald Trump in persona.In tutto questo, il consigliere per la sicurezza nazionale ucraino, Rustem Umerov, ha concretamente aperto alla possibilità che Zelensky si rechi negli Stati Uniti per incontrare il presidente americano entro la fine del mese (forse già domani): ci si attende che i due leader discutano delle questioni più delicate che non sembrano attualmente essere state inserite nella nuova versione del piano di pace. Sono tre i temi su cui si registra ancora lontananza tra le parti: l’adesione di Kiev alla Nato, le dimensioni delle sue forze armate e il nodo delle concessioni territoriali. «Spero che la visita del presidente Zelensky avvenga il prima possibile, perché aiuterà il presidente Trump a proseguire la sua missione storica per porre fine a questa guerra», ha affermato ad Axios il capo di gabinetto del presidente ucraino, Andriy Yermak. Non si conoscono invece ancora le reazioni della Russia alla nuova proposta statunitense: fino a ieri sera, quando La Verità è andata in stampa, Mosca non aveva ancora rilasciato molti commenti ufficiali sulla questione: il New York Post aveva comunque riferito che il Cremlino sarebbe pronto a respingere la nuova versione del piano statunitense e che la guerra potrebbe durare almeno fino a Natale. È tuttavia abbastanza evidente che, con i colloqui di Abu Dhabi, Washington abbia cercato di trovare un compromesso tra le posizioni russe e quelle ucraine. Sembra inoltre che Viktor Orbán si recherà a Mosca il prossimo 28 novembre per incontrare Vladimir Putin: non è escludibile che i due leader parleranno, nell’occasione, del piano di pace statunitense.Un aspetto sicuramente interessante risiede nella scelta del Paese che ha ospitato i colloqui di Driscoll con gli ucraini e i russi. Gli Emirati arabi uniti intrattengono buone relazioni tanto con Kiev quanto con Mosca. Ma la questione è ben più profonda. Trump sta infatti cercando di risolvere la crisi ucraina connettendola al dossier mediorientale. La Casa Bianca sa bene che Putin ha necessità di recuperare terreno in Siria e che sta, al contempo, cercando di ritagliarsi il ruolo di mediatore tra Washington e Teheran sul nucleare. Lo zar vuole inoltre essere coinvolto nella ricostruzione di Gaza e, più in generale, nel rilancio degli Accordi di Abramo: Accordi a cui gli Emirati hanno già aderito nel 2020. Non solo. Nella stesura del piano di pace statunitense hanno giocato un ruolo di primo piano l’inviato americano per il Medio Oriente, Steve Witkoff, e il genero di Trump, Jared Kushner: le due figure che tengono principalmente i rapporti della Casa Bianca con Israele e Arabia Saudita. Tra l’altro, entrambi, oltre allo stesso Driscoll, avevano accompagnato Rubio a Ginevra domenica scorsa. E così, mentre il Medio Oriente diventa sempre più centrale, Bruxelles è finita, ancora una volta, marginalizzata. Secondo Politico, Rubio avrebbe infatti rifiutato di accettare una richiesta di bilaterale da parte dell’Alto rappresentante Ue per gli affari esteri, Kaja Kallas. È quindi evidente come l’amministrazione Trump consideri l’Unione europea un interlocutore secondario nella crisi ucraina. Guarda caso, non risulta che ad Abu Dhabi ci fossero funzionari dell’Ue.Emerge infine il nodo cinese. Il presidente americano punta infatti a far leva su economia e commercio per cercare di sganciare il più possibile Mosca da Pechino. Non a caso, la bozza del piano di pace statunitense originario prevedeva un «accordo di cooperazione economica a lungo termine» tra Usa e Russia. Trump sa che Putin teme l’abbraccio soffocante con Xi Jinping. E vuole sfruttare questo fattore per cercare di arrivare a un accordo di pace in Ucraina.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/pace-usa-ucraina-europa-esclusa-2674343728.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="i-volenterosi-spiazzati-insistono-sui-beni-russi-e-le-truppe-in-ucraina" data-post-id="2674343728" data-published-at="1764153617" data-use-pagination="False"> I volenterosi spiazzati insistono sui beni russi e le truppe in Ucraina Con le trattative sul piano di pace per l’Ucraina in pieno svolgimento, la coalizione dei volenterosi si è riunita ieri per tentare di avere voce in capitolo. La videoconferenza, oltre ai membri della coalizione, ha visto la partecipazione per la prima volta anche del segretario di Stato americano, Marco Rubio. Durante la riunione, il premier britannico, Keir Starmer, ha riconosciuto che «sono stati fatti progressi» visto che i colloqui sul cessate il fuoco si stanno «muovendo in una direzione positiva». Ha spiegato che l’Ucraina ha «proposto alcuni cambiamenti costruttivi» alla bozza del piano proposto dalla Casa Bianca, aggiungendo che «dalle indicazioni ricevute oggi, Volodymyr Zelensky sta segnalando che in larga parte la maggioranza del testo può essere accettata».A frenare l’entusiasmo, collegato da Parigi, è il presidente francese, Emmanuel Macron: ha sottolineato che Kiev ha bisogno di «una serie di garanzie di sicurezza molto solide e non cartacee». Rubio, d’altro canto, ha confermato che le garanzie di sicurezza «sono una componente fondamentale» di qualsiasi accordo di pace. Tra l’altro, Macron, da una parte ha ammesso che «i negoziati stanno ricevendo un nuovo slancio» che andrebbe colto, dall’altra ha confermato una scarsa aderenza alla realtà, ripetendo che «l’Ucraina è solida, la Russia è lenta e l’Europa è risoluta». Al termine della riunione, Macron ha comunicato la necessità di esercitare pressioni sulla Russia, accusandola di «non avere alcuna volontà di accettare un cessate il fuoco». Si è quindi detto favorevole a «un esercito ucraino forte». Ma centrale è anche la questione degli asset russi congelati. Il presidente francese ha annunciato che «una soluzione» verrà «definita nei prossimi giorni». Il presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, a tal proposito, ha scritto su X: «Un punto centrale dei negoziati è la questione del finanziamento dell’Ucraina, compreso l’utilizzo dei beni sovrani russi immobilizzati». Di «Europa salda e unita» ha parlato il cancelliere tedesco, Friedrich Merz, osservando che «qualsiasi piano che incida sugli interessi e sulla sovranità europea richiede l’approvazione dell’Europa».E sia Londra sia Parigi insistono sull’invio di truppe di peacekeeping in Ucraina qualora si raggiunga il cessate il fuoco. La posizione è stata ribadita sia prima che durante l’incontro dei Volenterosi. Macron, in un’intervista a radio Rtl, ha dichiarato: «Ci sono soldati britannici, francesi e turchi che il giorno della firma della pace sono lì per condurre operazioni di addestramento e sicurezza». Sulla stessa linea Starmer: convinto che «la forza multinazionale» in Ucraina abbia «un ruolo vitale» nel garantire la sicurezza del Paese, ha esortato gli alleati a «confermare» gli impegni inerenti all’eventuale operazione di peacekeeping. Zelensky ha così colto la palla al balzo per invitare i Volenterosi a elaborare un quadro per l’invio di «una forza di rassicurazione».Che il niet di Mosca sull’invio di una forza multinazionale sia dietro l’angolo è evidente dalle affermazioni del ministro degli esteri russo, Sergej Lavrov. Bollando le dichiarazioni di Macron nell’intervista come «aggressive», ha precisato che le parole sull’invio «delle truppe nelle zone di Kiev e Odessa» sono «solo sogni che non hanno nulla a che fare con una soluzione pacifica». E mentre l’alto rappresentante Ue, Kaja Kallas, ha espresso contrarietà circa la possibilità che la Russia rientri a far parte del G8, secondo i media di Budapest il primo ministro ungherese, Viktor Orbán incontrerà Vladimir Putin questo venerdì a Mosca.
Il ministro Roccella sul caso dei “bambini del bosco”: togliere tre figli ai genitori è un atto estremo che richiede pericoli reali, non dubbi educativi. La socializzazione conta, ma non più della famiglia. Servono trasparenza, criteri chiari e meno sospetto verso i genitori.