2020-05-30
Ultrà dell’Ue costretti ad ammettere che il Recovery fund è una fregatura
Piovono critiche anche da parte di insospettabili come Ignazio Visco e il presidente di Confindustria. Perfino Enzo Amendola, ministro agli Affari europei del Pd, smorza gli entusiasmi. E Viktor Orbán potrebbe far saltare tutto.Ieri ci ha fatto piacere leggere sui principali quotidiani italiani ciò che avevamo scritto il giorno prima. Accanto ai titoli, abbiamo anche registrato il levarsi di voci autorevoli e non accusabili di euroscetticismo. Posto d'onore spetta al governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco che, in occasione delle rituali considerazioni finali, ha scolpito a caratteri cubitali nella roccia che «i fondi europei non potranno mai essere gratuiti in quanto il debito europeo è debito di tutti». Con ciò mandando rapidamente in soffitta l'ormai ammuffito mobilio a base di «fondo perduto». Il governatore ha ben chiaro il disegno di Bruxelles, e apprezza le riforme imposte attraverso il bastone del vincolo esterno. Ma almeno è sincero.Grande nettezza anche nelle parole del neo presidente di Confindustria, Carlo Bonomi: «Non è vero che i 172 miliardi, ammesso che restino tali dopo il negoziato tra gli Stati, ci arriveranno in tasca per default. La svolta decisa a Bruxelles è importante, ma la strada è ancora lunga e tortuosa. Noi dovremo presentare alla Commissione un piano di riforme credibili e rigorose, se no quei miliardi non li vedremo mai. […] Ammesso e non concesso che a settembre saremo in grado di presentare il piano delle riforme, i fondi arriveranno un po' alla volta, in base a quelle che di volta in volta dimostreremo di aver avviato e poi attuato». Sembra una parafrasi di quanto vi abbiamo scritto sin da giovedì che abbiamo ritrovato anche in «Quei conti che non tornano» del professor Roberto Perotti su Repubblica.Tutto da gustare il siparietto tra il ministro Enzo Amendola - secondo il quale «Io mi limito a far notare che i sussidi e i prestiti del Recovery plan sono destinati a investimenti, non alla spesa corrente» - e il duo Luigi Di Maio e Laura Castelli, che gongolanti dichiaravano: «Usiamo quei soldi per abbassare le tasse». Forse durante il Consiglio dei ministri non si parlano o, se si parlano, non si capiscono.Ma se c'è un aspetto positivo delle istituzioni europee è quello che scrivono tanto, forse troppo. E così, man mano che si addentra nei meandri delle centinaia di pagine di proposta di Regolamento elaborate da Ursula von der Leyen, aumenta sempre più la nitidezza del disegno complessivo. Esso prevede il sostegno finanziario esclusivamente al fine di implementare riforme ed eseguire investimenti. Quali? Solo ciò che aiuta ad affrontare le criticità identificate nel ciclo di coordinamento delle politiche economiche del semestre europeo ed è finalizzato alla transizione «green» e digitale.Ma il diavolo si annida nei dettagli e ve ne anticipiamo due:1 Accertato che tutta la polpa dei 500 miliardi di sussidi si concentra nei 335 miliardi del Rrf (di cui 68 disponibili per l'Italia), rileviamo che i 250 miliardi di prestiti si aggiungono ai sussidi solo se lo Stato membro dimostra che le riforme e gli investimenti pianificati sono tali e tanti da eccedere i sussidi disponibili. Ecco che arrivano in soccorso i prestiti. Ma non sono affatto automatici.2 L'agenda di riforme e investimenti - proposta annualmente entro il 30 aprile fino al 2022, ma auspicabilmente anticipata a ottobre di quest'anno - sarà valutata dalla Commissione, per verificarne la coerenza con gli obiettivi predefiniti. Sarà quindi approvata con una decisione ufficiale comunicata al Parlamento e al Consiglio Ue. Il punto poco sottolineato è che, con questo piano, viene cancellato con un tratto di penna e dopo un anno e mezzo di trattative il Bicc (strumento di bilancio per la competitività e la convergenza). La differenza tra Bicc e Rrf è enorme: con il primo i governi nazionali avevano un maggiore ruolo nel definire le linee guida strategiche e la Commissione avrebbe solo supervisionato l'implementazione dei programmi; inoltre era permanente, non temporaneo come il Rrf. Con il secondo, la Commissione sale in cattedra e costringe i governi a stare dentro (o fuori non beccando un cent) il suo perimetro. E quali sono le riforme che piacciono alla Commissione? Basta leggersi le ben 1.993 specifiche disposizioni contenute nel protocollo d'intesa firmato tra Commissione e Portogallo per ottenere il prestito del Mes. Un diluvio normativo che disciplina praticamente tutto lo scibile della politica economica del Paese che deve essere reso «virtuoso». Le linee guida del Rrf sono le stesse: competitività dei mercati, flessibilità del lavoro, crescita potenziale. Abiti buoni per tutte le stagioni che la Commissione non vede l'ora di far indossare alla reproba Italia. Ma qui non si contestano le riforme in sé, quanto il fatto che ci siano imposte come si fa con scolaretti indisciplinati. Un Paese come il nostro può e deve identificare autonomamente le priorità e finanziarle a testa alta davanti ai risparmiatori.Ma siamo sicuri che tutto questo armamentario non faccia la fine del Bicc e resti sepolto in qualche cassetto? Dopo olandesi e svedesi, ieri ci ha pensato il primo ministro ungherese Viktor Orbán che ha definito «assurdo e perverso» il Recovery fund proposto dalla Commissione. Qualcuno ha forse esultato in anticipo?
Auto dei Carabinieri fuori dalla villetta della famiglia Poggi di Garlasco (Ansa)
Volodymyr Zelensky (Ansa)