2025-10-25
Ma la montagna di querele che arriva da sinistra non attenta alla libertà?
Faccio il direttore da trent’anni, dunque credo di avere qualche titolo per parlare di libertà di stampa. Sono stato il primo giornalista a rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell’uomo e il primo a ottenere una condanna dell’Italia contro la legge che punisce i cronisti con la detenzione. Per avere pubblicato l’intervento di un parlamentare, i giudici mi avevano inflitto una pena di quattro mesi di carcere. Tutto ciò, ovviamente, senza che si levasse una voce in mia difesa, anche perché i querelanti erano magistrati. Se ricordo il procedimento, fra i tanti che mi sono stati lanciati contro (due per vilipendio al capo dello Stato, per averlo criticato, ma ne sono uscito assolto), è solo per rimarcare quanto sia faziosa l’alzata di scudi di questi giorni in difesa di Sigfrido Ranucci. Non per l’attentato di cui è stato vittima e che ovviamente va condannato e perseguito, ma per le sanzioni emesse dal Garante e per le citazioni in giudizio.Con un’operazione a dir poco spregiudicata, la sinistra ha, infatti, messo sullo stesso piano la bomba collocata sotto l’auto del conduttore di Report e le querele presentate contro la trasmissione di Rai 3, quasi che citare davanti a un giudice un giornalista sia la stessa cosa che attentare alla sua vita. Chi ha messo un ordigno esplosivo di fronte alla casa di Ranucci di certo non intendeva far valere le proprie ragioni in tribunale. Ma, a parte la scorrettezza dell’accostamento fra attentato e querela, a stupirmi è il numero di quanti, per l’occasione, si sono scoperti difensori della libertà di stampa dopo averla ignorata per anni. Fino a ieri, quando a finire di fronte al giudice erano altri giornalisti, magari quelli dei cosiddetti giornali di centrodestra, non c’è stato politico o opinionista che abbia manifestato la propria solidarietà in nome della libertà di stampa. Ma adesso, all’improvviso, sono tutti Ranucci.Fra le tante querele di cui io e i miei giornalisti, in trent’anni, siamo stati vittime ce n’è una che ancora mi brucia, perché fummo perseguiti per aver scritto la verità: ma quanti oggi si strappano le vesti per il conduttore di Report e per la condanna a pagare 150.000 euro, all’epoca nemmeno sollevarono il sopracciglio. La storia è la seguente. Un cronista del giornale che allora dirigevo scovò una notizia incredibile: il sindacato, mentre trattava con Lamberto Dini la riforma delle pensioni che avrebbe introdotto il sistema contributivo in luogo di quello retributivo, era riuscito a inserire un codicillo che consentiva ai dirigenti sindacali di alzarsi l’assegno previdenziale. In pratica, versando dei contributi aggiuntivi per un breve periodo, si otteneva un aumento sulla futura pensione. Un meccanismo di cui, poi, beneficiarono in tanti, compresi alcuni leader sindacali tra i quali, ricordo, l’allora segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, il quale, pur avendo quasi sempre fatto il dirigente della confederazione, se ne andò a riposo con oltre 8.000 euro di pensione.Sul giornale pubblicammo l’elenco dei beneficiari del trattamento, funzionari che appartenevano a tutte le liste sindacali. La Cgil non trovò di meglio che replicare con una raffica di querele. Ricordo che contai 700 citazioni in giudizio: denunce fotocopia, utna uguale all’altra, ma nessuno parlò di attacco alla libertà di stampa, forse perché l’operazione proveniva dalla democraticissima Cgil. Uno sciame di cause la cui gestione metteva sì a rischio la libertà di stampa. Finì con un oneroso accordo extragiudiziale e con molti sindacalisti che hanno potuto godere, e tutt’ora godono, di un assegno rinforzato mentre alla maggior parte degli italiani la pensione è stata tagliata a forza di mancati adeguamenti.Qual è la morale di questa storia? È che se sei di sinistra, hai diritto alla libertà di stampa mentre se non lo sei, non hai alcun diritto ma ti restano gli oneri da pagare per aver pubblicato le notizie invece di nasconderle.
Friedrich Merz e Giorgia Meloni (Ansa)
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