2025-10-25
Piero Grasso s’è perso la prova del delitto Mattarella
Ex prefetto arrestato: avrebbe depistato le indagini sul guanto (fotografato sulla scena dell’omicidio e poi sparito) con le impronte del killer del fratello del capo dello Stato. Ma l’ex presidente del Senato, allora pm dell’inchiesta: «Mai saputo di quel reperto».Se pensate che ciò che sta accadendo intorno all’omicidio di Chiara Poggi rappresenti il punto più basso per la credibilità del sistema investigativo e giudiziario del nostro Paese e che sotto non si possa scendere, forse non siete ancora stati informati su quanto accaduto nelle indagini per l’omicidio di Piersanti Mattarella, ex presidente della Regione Sicilia, freddato il 6 gennaio 1980 mentre stava cercando di porre fine alla ferale sinergia tra il suo partito, la Democrazia cristiana, e le cosche siciliane. Una vicenda tragica, che spiazza anche per le sorprendenti dichiarazioni rilasciate ai pm di Palermo dall’ex presidente del Senato ed ex procuratore nazionale Antimafia Piero Grasso.Questa volta al centro della storia non c’è il ticket di un parcheggio, bensì un guanto di pelle marrone, rinvenuto sull’auto degli assassini, una 127 bianca, fotografato ma mai repertato o esaminato e, oggi, disperso. Un accessorio su cui gli inquirenti sono certi si potessero rilevare le impronte digitali di uno dei killer, forse di quel ragazzo paffuto, biondiccio e con gli occhi chiari che dovette sparare con due pistole diverse (la prima si inceppò e la seconda venne rocambolescamente recuperata sulla 127) per riuscire ad ammazzare il governatore.Il gip Antonella Consiglio definisce quel guanto «prova regina dell’omicidio» nell’ordinanza di arresto dell’ex funzionario della Squadra mobile di Palermo Filippo Piritore, l’uomo che secondo la Procura di Palermo avrebbe ordito un raffinatissimo piano per far sparire quel capo d’abbigliamento e, successivamente, avrebbe cercato di depistare le indagini.Nell’atto è ricordato «il rapporto extraprofessionale» dell’ex questore di Genova da ieri domiciliari con Bruno Contrada, suo vecchio superiore, condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa. Contrada avrebbe anche partecipato nel 1980 al battesimo della figlia di Piritore e si sarebbe adoperato per fargli ottenere una promozione «per merito straordinario». Per il giudice proprio quelle cattive frequentazioni potrebbero avere convinto Piritore a liberarsi del guanto. Un reato che, se dimostrato, sarebbe prescritto. Ma la Procura, adesso, contesta il depistaggio. Il motivo è legato alle dichiarazioni rese da Piritore nel settembre del 2024: «Alcuna resipiscenza ha mostrato Piritore a distanza di oltre quarant’anni dai fatti […]. Resipiscenza che poteva essere contenuta anche in un mero “non ricordo” dato il tempo trascorso». Insomma ha parlato troppo e per questo è finito in ceppi. Gli sarebbe bastato tacere per farla franca, ma non si è tenuto. Forse per l’eccessiva emotività, esternata con la consorte, subito dopo l’interrogatorio, in una memorabile intercettazione riportata nell’ordinanza. Un copione degno della sit-com Casa Vianello. Marito: «Tutto quello che mangio mi fa acidità». Moglie: «Mangi pure male, eh». Marito: «È lo stress, tu non sai quello che…». Moglie: «Sbagli, tanto non serve a un cazzo, quindi… peggio per te, tutto ‘sto stress ridicolo […] a fianco a te viene la depressione». Marito: «Rompere i coglioni dopo quarantacinque anni […] come cazzo è possibile ricordarsi le cose dopo quarant’anni?». Moglie: «Ma dai, falla finita, sei ridicolo […] sei insopportabile». Marito: «Qualche cosa fanno». Moglie: «Non fanno un cazzo, dopo quarant’anni che cazzo devono fare?». Marito: «E speriamo […] una vita così caotica la mia… e cambiare sedi… e responsabilità». In effetti, a distanza di quarantacinque anni, nessuno avrebbe fatto niente a Piritore se lui non fosse andato in Procura a dire cose fuorvianti. Asserzioni, quelle del 17 settembre 2024, «inopinatamente ammennicolate di particolari, rispetto alle precedenti del 15 gennaio 2020, ben più vaghe». Dichiarazioni «infarcite da inesattezze procedurali» di cui non si è trovata alcuna conferma e che «portano a vedere senza grande difficoltà l'intento, oggettivamente depistante, defatigatorio, inquinante, deviante le indagini».Anche perché, mostrando una propensione all’inquinamento delle prove, Piritore, prima di essere sentito come testimone aveva provato a scoprire l’argomento della convocazione attraverso il Questore di Trapani, il quale aveva respinto la richiesta con queste parole: «No, vabbè non me lo dicono, perché chiaramente sono atti segreti ... non è che possono dire prima quale è il procedimento». A Piritore i pm hanno, prima di tutto, contestato un’annotazione finita agli atti. Questa: «Guanto in pelle marrone consegnato il 7 gennaio 1980 alla guardia Di Natale della Scientifica per il dottor Grasso», circostanza poi ribadita nell’appunto per la Digos «ove», Piritore, «indicava che il guanto era già pervenuto al magistrato (“è stato consegnato al sostituto procuratore dottor Grasso”)». Ma la Mobile non si occupava di sequestrare e repertare le prove, compito che spettava alla Scientifica, né, tanto meno le poteva inviare alla Procura tramite improvvisati postini.Anche perché, a detta di tutti, Di Natale, un oscuro dattiloscopista, era un tecnico che non aveva mai avuto rapporti diretti con la polizia giudiziaria, né tanto meno con i magistrati. E di quella consegna, inoltre, non esiste alcuna ricevuta.Secondo il giudice, proprio quella bizzarra indicazione avrebbe dovuto far deragliare le indagini: «A ben guardare, il falso recapito al magistrato titolare delle indagini […] attraverso un soggetto, il Di Natale, quasi sconosciuto ed estraneo ai circuiti investigativi, si rivelava e si è rivelato il modo ingannevole consono, forse l’unico, per la definitiva dispersione del reperto senza suscitare interrogativi di sorta». E, come il cacio sui maccheroni, ecco spuntare Contrada. Per bocca dello stesso Piritore: «Quando venne rinvenuto il guanto e il proprietario della macchina non lo riconobbe come proprio, io ero presente. Ritengo che, come da prassi, avvisai subito il dirigente della Mobile, nella persona di Contrada, che evidentemente mi disse di avvisare il dottor Grasso e di mandare i reperti alla Scientifica». I magistrati non sanno se l’idea di far sparire il guanto sia stata di Piritore, di Contrada o di qualcun altro. Ma il passo falso lo ha fatto il primo. Per il giudice «l’ex appartenente alla Squadra mobile di Palermo ha affermato circostanze certamente e incontrovertibilmente false. In particolare, egli ha sostenuto, tra l’altro, che il guanto, una volta consegnato al dottor Grasso, era pervenuto nuovamente alla Polizia scientifica su disposizione dello stesso magistrato; che lui stesso lo aveva personalmente consegnato, con relativa attestazione, a tale Lauricella della Polizia scientifica (agente mai individuato e forse inesistente, ndr), per lo svolgimento di accertamenti che il dottor Grasso avrebbe dovuto disporre; che la Squadra mobile di Palermo era in possesso di una annotazione dalla quale risultava tale circostanza e gliela aveva esibita il 15 gennaio 2020».Ma gli inquirenti non hanno trovato conferma al racconto di Piritore, anzi hanno raccolto solo smentite da parte dei numerosi testi ascoltati. Per il giudice la parola che vale più di tutte è quella dell’ex presidente del Senato: «A smentire definitivamente la circostanza che il guanto pervenne all’autorità giudiziaria, sono state le dichiarazioni rese a questo Ufficio, il 25 giugno 2024, dal dottor Pietro Grasso, il quale, assunto a sommarie informazioni, ha affermato di non avere mai ricevuto né il guanto rinvenuto all’interno della Fiat 127, né alcuna notizia in proposito da parte della polizia giudiziaria». Inoltre ha riferito di non avere mai visto gli atti in cui veniva citato il suo nome e ha ribadito di non avere «impartito alcuna disposizione affinché quel guanto venisse a lui consegnato, non essendovi peraltro alcuna ragione investigativa perché ciò accadesse».Questo il riassunto delle dichiarazioni di Grasso. Ma leggere le esatte parole contenute nel verbale di quella che è stata la seconda carica dello Stato, mentre al Quirinale c’era Sergio Mattarella, fratello di Piersanti, fa cadere le braccia: «Il 6 gennaio 1980 rivestivo le funzioni di sostituto procuratore a Palermo ed ero anche magistrato di turno. In tale veste mi recai personalmente in via Libertà (dove avvenne l’omicidio). Non andai, invece, nella (adiacente, ndr) via De Cristoforis, ove si trovava la 127. Non ho un preciso ricordo sulla presenza del dottor Bruno Contrada e sull’attività da costui svolta in quel procedimento anche perché, ritengo, egli si rapportasse con il procuratore della Repubblica, Costa (ucciso nell’agosto successivo, ndr). Nulla ho mai saputo del ritrovamento di un guanto sull’autovettura utilizzata dagli autori dell’omicidio e che lo stesso è stato disconosciuto come proprio dal proprietario della 127. Apprendo solo ora questa circostanza. Escludo, quindi, di avere ricevuto per la convalida un verbale di sequestro del guanto».Ma della «prova regina dell’omicidio» avevano parlato sia i giornali che l’allora ministro dell’Interno Virginio Rognoni. Tanto che il gip scrive: «L’importanza del guanto di certo non poteva essere sfuggita alla Squadra mobile […]. Del resto, perfino il ministro Rognoni, nel suo intervento al Senato l’8 gennaio 1980, a proposito dell’omicidio dell’onorevole Mattarella sottolineava che “sulla 127 usata dai killer è stato trovato un guanto, unico oggetto che potrebbe appartenere ai criminali”». E anche se «non risulta da chi e come pervenne al ministro la specifica informazione sul ritrovamento del guanto» per i magistrati questa è la dimostrazione dell’importanza del reperto mai messo in salvo. L’esistenza della prova è sfuggita per 44 anni al pm che doveva portare avanti le indagini, ma non solo a lui. Infatti non è stata citata nemmeno nel maxi processo «Omicidi politici», conclusosi con la condanna, come mandanti, di mafiosi del calibro di Totò Riina e con l’assoluzione dei terroristi neri accusati di essere gli esecutori materiali dell’assassinio di Mattarella. Alla fine è stato arrestato un settantacinquenne prefetto in pensione con l’accusa di depistaggio, ma senza l’aggravante mafiosa. Sentito senza avvocato, in veste di testimone, il 17 settembre 2024, avrebbe aggiunto «nuove circostanze rivelatesi false depistanti e sovrabbondanti rispetto all’eventuale necessità di difendersi». In particolare ha fatto l’errore di addossare a Grasso (anche se a Piritore non viene contestata la calunnia) un «inutile e deleterio periodo di stasi causato dalla inspiegabile pretesa di detenere il guanto», aggiungendo, in un’ulteriore nota, che l’allora pm «avrebbe poi dato istruzioni». In realtà l’ex presidente del Senato non si era proprio accorto di nulla.
La riunione tra Papa Leone XIV e i membri del Consiglio Ordinario della Segreteria generale del Sinodo dei Vescovi dello scorso giugno (Ansa)
Auto dei Carabinieri fuori dalla villetta della famiglia Poggi di Garlasco (Ansa)
Volodymyr Zelensky (Ansa)