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2019-06-06
L'Ue ci minaccia per indebolirci nel negoziato sul commissario
Ansa
Scontata come un film già visto, è arrivata la rispostaccia di Bruxelles: la Commissione considera «giustificata» l'apertura di una procedura contro l'Italia per debito eccessivo. La «regola» non è stata rispettata nel 2018 (quando per molti mesi al governo c'era il Pd), e, secondo Jean-Claude Juncker e soci, non lo sarà neanche nel 2019 e nel 2020. Ora tocca al Comitato economico e finanziario del Consiglio pronunciarsi entro due settimane. Infine, palla all'Ecofin, l'8-9 luglio, che ha il potere di attivare i passi successivi, anche se per le vere e proprie sanzioni serviranno (o servirebbero) anni.
Altrettanto prevedibile la sceneggiata dei due commissari economici, Valdis Dombrovskis e Pierre Moscovici, interpreti anche ieri del collaudato numero del poliziotto cattivo e del poliziotto (apparentemente) buono. Il lettone si è assunto la parte del bad cop, pronunciando torvo la sua requisitoria, e sostenendo che l'Italia abbia «tutti gli indicatori macroeconomici in rosso». Ha solo omesso di ricordare che la Lettonia riceve ogni anno dall'Ue 500 milioni, pari al 2% del Pil lettone. Per capirci, se l'Italia ricevesse altrettanto, avremmo ogni anno da Bruxelles 32-33 miliardi. Fantascienza pura.
Il francese Moscovici, invece, sforzandosi di apparire soave, si è travestito da good cop, recitando una battuta forse lungamente provata allo specchio: «La mia porta resta aperta». Frase pronunciata in italiano in conferenza, e scritta sempre in italiano pure su Twitter.
Ma solo un illuso (o qualcuno in malafede) può credere all'«amicizia» di Moscovici. Esattamente come nei mesi scorsi solo all'Italia fu riservato il trattamento mediatico che sappiamo (dichiarazioni di fuoco a Borse aperte, per incendiare lo spread e terremotare i mercati), e come solo all'Italia fu riservata la conferma e l'inasprimento delle clausole di salvaguardia, allo stesso modo ieri soltanto a noi è stata prospettata la procedura. C'erano infatti quattro paesi nel mirino, e cioè Italia, Francia, Belgio e Cipro, ma solo per noi è stato «raccomandato» il trattamento peggiore. Per la sua Francia, invece, Moscovici ha fatto sapere che lo sforamento del 3% «è solo temporaneo» (peccato che sia avvenuto quasi sempre negli ultimi 10-12 anni) e che «i criteri di deficit e debito sono rispettati». Converrà annotarsi queste chiose di Moscovici, anche in considerazione delle ultime misure di spesa allegra decise da Emmanuel Macron.
Nel frattempo, e la cosa farebbe quasi sorridere se non parlassimo di cose tremendamente serie, la Commissione ha proposto di chiudere la procedura nei confronti della Spagna dopo dieci anni. Avete letto bene: dopo dieci anni.
Tutto scontato quindi? Forse due cose non erano prevedibili. Primo: il fatto che ad assumersi la responsabilità di un colpo così pesante verso l'Italia sia stata una Commissione al capolinea, i cui membri hanno letteralmente gli scatoloni in mano, e che anziché agire con prudenza hanno deciso di operare politicamente da kamikaze. Secondo: il carattere provocatorio delle raccomandazioni, per non dire dei diktat, che Bruxelles invia all'Italia.
Se l'Italia accettasse il pacchetto a scatola chiusa, sarebbe un vero e proprio pilota automatico imposto da Juncker e soci. Alcuni passaggi sono retorici e vuoti, il solito elenco di buone intenzioni (combattere il sommerso, far crescere il lavoro femminile, investire in educazione-ricerca-sviluppo, rendere più efficiente la Pa, accorciare i processi, irrobustire la concorrenza, ecc), ma altri sono autentiche provocazioni. Eccole: riforma del catasto (cioè un ulteriore aumento della tassazione immobiliare, mentre l'Italia è già massacrata da un'insostenibile patrimoniale da 21 miliardi sul mattone), ridurre l'utilizzo del contante (cosa c'entra con deficit e debito?), ridurre l'ammontare di npl nei bilanci bancari (quando la vendita accelerata - anzi la svendita - delle sofferenze ha già dato una mazzata alle nostre banche), e implementare la riforma delle pensioni (tutti hanno letto in questo passaggio un attacco a quota 100).
Di tutta evidenza, it's politics: politica, un attacco politico. Al quale Matteo Salvini ha risposto tenendo il punto: «L'unico modo per ridurre il debito creato in passato è tagliare le tasse (flat tax) e permettere agli italiani di lavorare di più e meglio. Con tagli, sanzioni e austerità, sono cresciuti debito, povertà, precarietà e disoccupazione: dobbiamo fare il contrario. Non chiediamo i soldi degli altri, vogliamo solo investire in lavoro, crescita, ricerca e infrastrutture. Sono sicuro che a Bruxelles rispetteranno questa volontà».
Più vago - quasi neodemocristiano - Luigi Di Maio: «Noi siamo persone serie, l'Italia è un paese serio, che rispetta la parola data. Ci metteremo seduti al tavolo con responsabilità, non per distruggere ma per costruire». Un nota altrettanto anodina di Palazzo Chigi ha aggiunto che «il governo intende continuare a dialogare con la Commissione».
Intanto, un primo segnale (da non disprezzare) è venuto dallo spread, che non si è infiammato, e ha chiuso a 271. Almeno per il momento, i soliti incendiari non potranno titolare: «Allarme spread». Forse i mercati aspettano più un taglio di tasse e politiche pro crescita che le giaculatorie dei commissari in uscita.
L’assist perfetto ai piani del Colle
Non c'è nulla di più inedito di un pezzo già pubblicato. Il motto vale anche le lettere Ue sul debito. Il testo, come previsto, è arrivato ieri sera, e contiene 14 pagine che riassumono, nella lingua di Jean Claude Juncker e di Pierre Moscovici, i mali storici dell'Italia. Insomma, la raccomandazione replica i temi di discussione del 2016 e pure del 2013, quando l'Italia era già stata attenzionata. Tant'è che parte del documento fa riferimento alla legge di bilancio del 2018, approvata quando il governo era a trazione Pd.
Stavolta, in più, si punta il dito contro quota 100 e sull'intoccabilità della legge Fornero con toni molto accesi che però vengono traditi dalle conclusioni. Ecco perché, leggendo la lettera, ci si aspetterebbero decisioni nette; invece la Commissione Ue chiude minacciando il governo. Viene in pratica suggerita la procedura d'infrazione, ma poi si lascia la scelta ai Paesi europei. Gli stessi che, in sede di Consiglio, nelle prossime settimane apriranno le danze delle poltrone. Il consesso sarà chiamato a definire il direttivo della Bce - e di conseguenza la scelta del sostituto di Mario Draghi - senza dimenticare che dovrà decidere tutti gli incarichi dei commissari e dovrà farlo con trattative serrate.
Il medesimo gruppo di rappresentanza sarà tenuto a scegliere il capo del Consiglio Ue, e tra una trattativa e l'altra - inutile specificarlo - analizzerà l'opportunità o meno di avviare realmente la procedura d'infrazione per il nostro Paese.
Chiunque è in grado di comprendere che la punizione viene posta su uno dei piatti della bilancia, e sarà utilizzata per fare enormi pressioni su Roma affinché sostenga Tizio piuttosto che Caio in sede di nomine. E, soprattutto, accetti di ricoprire in Commissione un incarico di terza fila.
A meno che la scelta del candidato venga da un cesto che non ha nulla di sovranista o leghista, ma che goda della benedizione del Colle. È, infatti, facile immaginare che la carta di Enzo Moavero Milanesi possa essere giocata per garantire al nostro Paese un nome di passaporto italiano ma certo non di fede gialloblù. In sede di Consiglio verrà anche fatto notare a Roma che recentemente è stato nominato presidente del consiglio di sorveglianza della Bce Andrea Enria, che rappresenta una pedina fondamentale del puzzle, ma non è certo un esponente in linea con l'attuale maggioranza.
Inoltre, alla partita a scacchi per il governo attuale sarà ancora più difficile partecipare, non solo perché verrà costantemente minacciato con la procedura d'infrazione, ma anche perché il partito del Quirinale eserciterà sul premier Giuseppe Conte un'assillante moral suasion. Suggerirà i nomi dei candidati a commissario, come detto, e farà presente che se mai dovesse esserci un nuovo ministro agli Affari europei (il dicastero che era di Paolo Savona) dovrà essere di area quirinalizia. Al tempo stesso, il governo di Conte sarà chiamato a disinnescare le bombe che qua là verranno piazzate per dividere i 5 stelle e abbattere la maggioranza in Parlamento. Quanto accaduto per lo Sblocca cantieri si potrà ripetere in numerose altre occasioni. In ballo c'è anche il decreto Crescita, e gli emendamenti tranello possono arrivare da varie parti. L'intento è sempre quello di creare il pretesto per il divorzio gialloblù e le (immediate?) elezioni.
Andare a votare a settembre, però, significa legarsi le mani da soli e incamminarsi verso un esercizio provvisorio, e quindi una legge di bilancio 2020 scritta da Bruxelles o da qualche governo tecnico, che poi è la stessa cosa. Di tale rischio sono consapevoli quei 5 stelle che fanno riferimento a Luigi Di Maio, i quali - pur di non correre il rischio di tornare alle urne - potrebbero decidere di prendere la lettera recapitata dall'Ue come un testo tecnico e non politico.
D'altronde, i media già ieri sera hanno iniziato a spiegare quali sono le raccomandazioni e le mosse da intraprendere per evitare l'eventuale procedura. Tagliare subito il debito, combattere l'evasione (un modo per suggerire lo stop ai condoni e alle sanatorie), rimettere mano al mercato del lavoro e ripristinare in toto il sistema Fornero. In pratica, si tratterebbe di un'inversione di rotta rispetto all'ultimo Def. Ma sarebbe una scelta che finirebbe con l'impattare subito sulla manovra d'ottobre, che si riempirebbe automaticamente di nuove tasse, oltre all'aumento dell'Iva.
È troppo tardi per imparare dai francesi. Ieri Parigi ha ricevuto una lettera di senso opposto. Siccome il loro deficit è «temporaneo» e il governo ha dichiarato che riuscirà a farlo scendere già dal 2020, Bruxelles ha ritirato ogni proposta d'infrazione. Tutto bene, anche se sappiamo tutti - lo dimostra la storia recente - che non succederà mai. Come non è mai accaduto quando a prometterlo era Pier Carlo Padoan. Se ci fossero ancora dei dubbi, il salvataggio amichevole della Francia dimostra che questa Ue si basa sulle finzioni: contabili, e non.
Niente panico sui mercati. Il cane dello spread abbaia però alla fine non morde
Dopo che la Commissione europea ha formalmente proposto l'apertura di una procedura d'infrazione nei confronti dell'Italia per debito eccessivo, lo spread btp-bund ha «ballato» un po' ma di fatto non è successo nulla di eclatante.
Il motivo è chiaro: come accade spesso nei casi in cui le istituzioni europee devono pronunciarsi su un determinato tema, i mercati hanno già da giorni scontato gli eventuali effetti nefasti delle scelte Ue.
Così, ieri, il differenziale tra il titolo di Stato tedesco e quello italiano ha iniziato la giornata intorno a 273 punti per aumentare intorno a quota 285 dopo il pronunciamento di Bruxelles per poi ritornare in carreggiata a fine giornata a quota 271, in calo dello 0,22%.
Si tratta certo di valori elevati se si considera che il 19 marzo il valore era intorno a 237 punti, ma è anche vero che a fine 2018, era il 6 dicembre, il differenziale era a quota 297.
In parole povere, il valore è alto, certo, ma in realtà è su questi livelli (se non più alti in alcuni giorni) dall'agosto scorso.
L'idea è in realtà condivisa da molti esperti. «Eventuali sanzioni comminate dalla Commissione europea all'Italia contribuiranno all'aumento del deficit di bilancio del Paese e indeboliranno il mercato dei titoli di Stato italiani, ma nel complesso, gli effetti saranno piuttosto lievi», ha detto Jean-Marie Mercadal, amministratore delegato di Ofi Asset Management: «Anche se lo spread si è recentemente allargato, non si parla più di un'uscita dell'Italia dell'euro, e siccome molti investitori internazionali hanno ridotto l'esposizione sull'obbligazionario del Paese, ci sono meno potenziali venditori in circolazione», conclude l'esperto.
«L'avvio della procedura era così largamente atteso che era già praticamente nei prezzi», afferma a Mf-Dowjones uno strategist, puntualizzando come «il mercato si aspettasse questa notizia». Jack Allen-Reynolds di Capital economics sottolinea come «una procedura non comporterà immediatamente sanzioni finanziarie», ma il vero problema per Roma sta «nella debolezza della sua economia, a cui potrebbe aggiungersi un altro periodo difficile sui mercati finanziari».
Anche sul fronte azionario i mercati avevano già abbondantemente scontato il rischio. Ieri Piazza Affari ha chiuso la seduta in calo dello 0,36%. Il calo del greggio (-3,5% a 51,5 dollari il Wti) ha trascinato al ribasso i petroliferi in Borsa, con Eni in calo dell'1% mentre Saipem (+1,2%) si è mostrata in controtendenza grazie alla commessa da 6 miliardi in Mozambico. Vendite anche su tutto il comparto bancario, a partire da Banco Bpm (-2,2%), Uncredit (-3,45%), Bper -1,81%, Ubi Banca (-1,18%) e Intesa Sanpaolo (-0,87%). Segno meno anche per Tenaris (-3,29%) e tra gli industriali per Pirelli (-1,48%), Stm (-1,03%) e Fca (-0,96%). Atlantia ieri è cresciuta (+2,6%) nel giorno dell'avvio delle votazioni al Senato sullo Sblocca cantieri. In recupero anche la moda, con Ferragamo a +3% mentre la migliore del Ftse Mib è la Juventus (+5,2%) che - con il toto allenatore che impazza - si sta riavvicinando ai massimi storici toccati a metà aprile prima dell'eliminazione dalla Champions League.
Sul resto del listino Mediobanca Securities ha confermato il giudizio outperform (meglio del previsto) su Autogrill (+1,25% a 8,9 euro), alzando il prezzo obiettivo a 11,9 euro da 11,3. Sull'Aim Italia, infine, Pharmanutra (+0,79%) prosegue l'espansione sui mercati internazionali. L'azienda ha chiuso tre accordi per la distribuzione dei prodotti della linea SiderAl in India, Bulgaria e Sud Corea.
La multa si giocherà al super suk delle nomine
E adesso che succede? È questa la domanda che si pongono un po' tutti all'indomani della conferenza stampa tenuta da Valdis Dombrovskis e Pierre Moscovici. La procedura di infrazione caldamente suggerita dalla Commissione europea prevede infatti dei passaggi ben precisi dai quali non si può pensare di prescindere. La prima cosa da tenere bene a mente è che quelle formulate ieri da Bruxelles nei confronti del nostro Paese sono delle raccomandazioni. Dal punto di vista formale ieri non è stata aperta alcuna procedura di infrazione, semmai sono state gettate le basi per l'avvio vero e proprio dell'iter. A tal proposito un Moscovici più sibillino del solito, esprimendosi in italiano, ha così chiosato: «Ora tocca agli Stati membri esprimersi. Ovviamente saremo sempre disposti a tenere in considerazione nuovi dati. La mia porta rimane aperta». Dunque, almeno sulla carta, la multa dallo 0,2% allo 0,5% del Pil non è ancora deciso.
La palla passa ora alla politica. Difficile, anzi impossibile non pensare che le scelte che verranno prese non finiscano per intrecciarsi con le importantissime scadenze istituzionali in programma nei prossimi mesi. Se da un lato la mossa di spostare la pubblicazione delle conclusioni del semestre dopo le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo può aver significato tamponare l'ondata sovranista (è lecito chiedersi quale percentuale avrebbe raccolto la Lega se la conferenza si fosse svolta prima del voto), d'altro canto ciò potrebbe aver spinto la resa dei conti con l'Italia eccessivamente a ridosso dei negoziati per le cariche Ue.
Ma cosa c'è in ballo da qui alla fine dell'estate e quali sono gli attori coinvolti? La legge che regola la procedura di infrazione e il relativo impianto sanzionatorio (l'articolo 126 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea) prevede che a doversi pronunciare sia l'Ecofin (formazione del Consiglio dei ministri dell'Economia europei). Nel passato, la pronuncia è arrivata a distanza di 3-4 settimane dalle raccomandazioni della Commissione. Difficile ipotizzare perciò che dall'Ecofin in programma per il 14 giugno possa scaturire qualche decisione ufficiale. Nulla impedisce però che dell'argomento si parli, almeno in via informale, proprio in quella data e durante l'Eurogruppo previsto per il giorno prima. Verosimilmente tutto verrà rimandato all'Ecofin del 9 luglio, data che a questo punto diventa la più papabile per una possibile decisione finale. Da oggi fino a quel giorno, il premier Giuseppe Conte, il ministro dell'Economia Giovanni Tria e i vicepremier Matteo Salvini e Luigi Di Maio avranno tempo per elaborare una strategia al fine di scongiurare il peggio.
L'appuntamento più importante si trova a cavallo: il Consiglio nella sua formazione principale, quella che riunisce i capi di Stato e di governo, è fissato infatti per il 20 e 21 giugno a Bruxelles. In quella data i rappresentanti dei vari Paesi saranno chiamati non solo a «prendere le decisioni pertinenti sulle nomine per il prossimo ciclo istituzionale» ma anche «adottare l'agenda strategica dell'UE per il periodo 2019-2024». Prevista anche una discussione sul budget settennale 2021-2024, ancora in attesa di approvazione, e che non per niente la vecchia Commissione pressava per definire prima delle elezioni. È molto probabile dunque che, per una strana coincidenza temporale, l'effettivo avvio della procedura di infrazione finisca nel calderone delle decisioni di peso. Sul piatto, oltre alle sorti del nostro Paese, la nomina dei presidenti della Commissione europea, del Consiglio dell'Ue, del Parlamento europeo, della Banca centrale europea e, ovviamente, dei membri della Commissione.
L'esito della partita dipende in gran parte dal terreno che il nostro sarà disposto a cedere. Una carta da giocare è rappresentata dal veto sul budget Ue (che deve essere ratificato all'unanimità), ma il rischio paradossalmente è quello di inimicarsi i Paesi che maggiormente ne beneficiano (cioè i percettori netti, ovvero gli Stati dell'Est). L'altra strada percorribile è la mediazione sulla Commissione: accettare un dicastero debole (per esempio: Istruzione, Salute oppure Clima ed energia) potrebbe essere un buon viatico per scampare alla punizione, ma d'altro canto suonerebbe come una doppia resa per il governo gialloblù, desideroso di mettere le mani sugli Affari economici o il Commercio. Senza contare che, volente o nolente, il nostro Paese è destinato a perdere la presidenza della Bce (Mario Draghi), del Parlamento (Antonio Tajani) e l'Alto rappresentante per gli affari esteri (Federica Mogherini). Certo, se da qui a due settimane l'Italia dovesse riuscire nell'intento di costituire una fronda in grado di portare avanti interessi trasversali le cose potrebbero cambiare radicalmente. Molto dipenderà dall'abilità del nostro esecutivo nel lavorare sottotraccia e, cosa forse ancora più importante, nel riuscire a rimanere coeso. Di certo, però, c'è che molto più di prima ora abbiamo un potere negoziale. Vedremo come ce lo giocheremo.
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L'Ue vuole la procedura d'infrazione. Nel mirino i conti (parziali) 2019, quelli 2018 targati Pier Carlo Padoan e quota 100. Giuseppe Conte: «Mi impegno a trattare». Matteo Salvini: «La flat tax è la soluzione». L'assist perfetto ai piani del Colle. La minaccia della Commissione è benzina per le aspettative di Sergio Mattarella. Su tutte, inserire un europeista alla Enzo Moavero Milanesi nella rosa dei nomi per la Commissione. Utilizzando la paura di stangate come lubrificante. Niente panico sui mercati. Il cane dello spread abbaia però alla fine non morde. Le Borse avevano scontato in anticipo le mosse di Bruxelles. Dopo l'annuncio il differenziale Btp/Bund rimbalza, ma chiude in calo. La multa si giocherà al super suk delle nomine. Decisivo l'Ecofin del 9 luglio. Ma negli incontri precedenti, su commissari e Bce, i gialloblù possono incidere. Lo speciale comprende quattro articoli. Scontata come un film già visto, è arrivata la rispostaccia di Bruxelles: la Commissione considera «giustificata» l'apertura di una procedura contro l'Italia per debito eccessivo. La «regola» non è stata rispettata nel 2018 (quando per molti mesi al governo c'era il Pd), e, secondo Jean-Claude Juncker e soci, non lo sarà neanche nel 2019 e nel 2020. Ora tocca al Comitato economico e finanziario del Consiglio pronunciarsi entro due settimane. Infine, palla all'Ecofin, l'8-9 luglio, che ha il potere di attivare i passi successivi, anche se per le vere e proprie sanzioni serviranno (o servirebbero) anni. Altrettanto prevedibile la sceneggiata dei due commissari economici, Valdis Dombrovskis e Pierre Moscovici, interpreti anche ieri del collaudato numero del poliziotto cattivo e del poliziotto (apparentemente) buono. Il lettone si è assunto la parte del bad cop, pronunciando torvo la sua requisitoria, e sostenendo che l'Italia abbia «tutti gli indicatori macroeconomici in rosso». Ha solo omesso di ricordare che la Lettonia riceve ogni anno dall'Ue 500 milioni, pari al 2% del Pil lettone. Per capirci, se l'Italia ricevesse altrettanto, avremmo ogni anno da Bruxelles 32-33 miliardi. Fantascienza pura. Il francese Moscovici, invece, sforzandosi di apparire soave, si è travestito da good cop, recitando una battuta forse lungamente provata allo specchio: «La mia porta resta aperta». Frase pronunciata in italiano in conferenza, e scritta sempre in italiano pure su Twitter. Ma solo un illuso (o qualcuno in malafede) può credere all'«amicizia» di Moscovici. Esattamente come nei mesi scorsi solo all'Italia fu riservato il trattamento mediatico che sappiamo (dichiarazioni di fuoco a Borse aperte, per incendiare lo spread e terremotare i mercati), e come solo all'Italia fu riservata la conferma e l'inasprimento delle clausole di salvaguardia, allo stesso modo ieri soltanto a noi è stata prospettata la procedura. C'erano infatti quattro paesi nel mirino, e cioè Italia, Francia, Belgio e Cipro, ma solo per noi è stato «raccomandato» il trattamento peggiore. Per la sua Francia, invece, Moscovici ha fatto sapere che lo sforamento del 3% «è solo temporaneo» (peccato che sia avvenuto quasi sempre negli ultimi 10-12 anni) e che «i criteri di deficit e debito sono rispettati». Converrà annotarsi queste chiose di Moscovici, anche in considerazione delle ultime misure di spesa allegra decise da Emmanuel Macron. Nel frattempo, e la cosa farebbe quasi sorridere se non parlassimo di cose tremendamente serie, la Commissione ha proposto di chiudere la procedura nei confronti della Spagna dopo dieci anni. Avete letto bene: dopo dieci anni. Tutto scontato quindi? Forse due cose non erano prevedibili. Primo: il fatto che ad assumersi la responsabilità di un colpo così pesante verso l'Italia sia stata una Commissione al capolinea, i cui membri hanno letteralmente gli scatoloni in mano, e che anziché agire con prudenza hanno deciso di operare politicamente da kamikaze. Secondo: il carattere provocatorio delle raccomandazioni, per non dire dei diktat, che Bruxelles invia all'Italia. Se l'Italia accettasse il pacchetto a scatola chiusa, sarebbe un vero e proprio pilota automatico imposto da Juncker e soci. Alcuni passaggi sono retorici e vuoti, il solito elenco di buone intenzioni (combattere il sommerso, far crescere il lavoro femminile, investire in educazione-ricerca-sviluppo, rendere più efficiente la Pa, accorciare i processi, irrobustire la concorrenza, ecc), ma altri sono autentiche provocazioni. Eccole: riforma del catasto (cioè un ulteriore aumento della tassazione immobiliare, mentre l'Italia è già massacrata da un'insostenibile patrimoniale da 21 miliardi sul mattone), ridurre l'utilizzo del contante (cosa c'entra con deficit e debito?), ridurre l'ammontare di npl nei bilanci bancari (quando la vendita accelerata - anzi la svendita - delle sofferenze ha già dato una mazzata alle nostre banche), e implementare la riforma delle pensioni (tutti hanno letto in questo passaggio un attacco a quota 100). Di tutta evidenza, it's politics: politica, un attacco politico. Al quale Matteo Salvini ha risposto tenendo il punto: «L'unico modo per ridurre il debito creato in passato è tagliare le tasse (flat tax) e permettere agli italiani di lavorare di più e meglio. Con tagli, sanzioni e austerità, sono cresciuti debito, povertà, precarietà e disoccupazione: dobbiamo fare il contrario. Non chiediamo i soldi degli altri, vogliamo solo investire in lavoro, crescita, ricerca e infrastrutture. Sono sicuro che a Bruxelles rispetteranno questa volontà». Più vago - quasi neodemocristiano - Luigi Di Maio: «Noi siamo persone serie, l'Italia è un paese serio, che rispetta la parola data. Ci metteremo seduti al tavolo con responsabilità, non per distruggere ma per costruire». Un nota altrettanto anodina di Palazzo Chigi ha aggiunto che «il governo intende continuare a dialogare con la Commissione». Intanto, un primo segnale (da non disprezzare) è venuto dallo spread, che non si è infiammato, e ha chiuso a 271. Almeno per il momento, i soliti incendiari non potranno titolare: «Allarme spread». 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Tant'è che parte del documento fa riferimento alla legge di bilancio del 2018, approvata quando il governo era a trazione Pd. Stavolta, in più, si punta il dito contro quota 100 e sull'intoccabilità della legge Fornero con toni molto accesi che però vengono traditi dalle conclusioni. Ecco perché, leggendo la lettera, ci si aspetterebbero decisioni nette; invece la Commissione Ue chiude minacciando il governo. Viene in pratica suggerita la procedura d'infrazione, ma poi si lascia la scelta ai Paesi europei. Gli stessi che, in sede di Consiglio, nelle prossime settimane apriranno le danze delle poltrone. Il consesso sarà chiamato a definire il direttivo della Bce - e di conseguenza la scelta del sostituto di Mario Draghi - senza dimenticare che dovrà decidere tutti gli incarichi dei commissari e dovrà farlo con trattative serrate. Il medesimo gruppo di rappresentanza sarà tenuto a scegliere il capo del Consiglio Ue, e tra una trattativa e l'altra - inutile specificarlo - analizzerà l'opportunità o meno di avviare realmente la procedura d'infrazione per il nostro Paese. Chiunque è in grado di comprendere che la punizione viene posta su uno dei piatti della bilancia, e sarà utilizzata per fare enormi pressioni su Roma affinché sostenga Tizio piuttosto che Caio in sede di nomine. E, soprattutto, accetti di ricoprire in Commissione un incarico di terza fila. A meno che la scelta del candidato venga da un cesto che non ha nulla di sovranista o leghista, ma che goda della benedizione del Colle. È, infatti, facile immaginare che la carta di Enzo Moavero Milanesi possa essere giocata per garantire al nostro Paese un nome di passaporto italiano ma certo non di fede gialloblù. In sede di Consiglio verrà anche fatto notare a Roma che recentemente è stato nominato presidente del consiglio di sorveglianza della Bce Andrea Enria, che rappresenta una pedina fondamentale del puzzle, ma non è certo un esponente in linea con l'attuale maggioranza. Inoltre, alla partita a scacchi per il governo attuale sarà ancora più difficile partecipare, non solo perché verrà costantemente minacciato con la procedura d'infrazione, ma anche perché il partito del Quirinale eserciterà sul premier Giuseppe Conte un'assillante moral suasion. Suggerirà i nomi dei candidati a commissario, come detto, e farà presente che se mai dovesse esserci un nuovo ministro agli Affari europei (il dicastero che era di Paolo Savona) dovrà essere di area quirinalizia. Al tempo stesso, il governo di Conte sarà chiamato a disinnescare le bombe che qua là verranno piazzate per dividere i 5 stelle e abbattere la maggioranza in Parlamento. Quanto accaduto per lo Sblocca cantieri si potrà ripetere in numerose altre occasioni. In ballo c'è anche il decreto Crescita, e gli emendamenti tranello possono arrivare da varie parti. L'intento è sempre quello di creare il pretesto per il divorzio gialloblù e le (immediate?) elezioni. Andare a votare a settembre, però, significa legarsi le mani da soli e incamminarsi verso un esercizio provvisorio, e quindi una legge di bilancio 2020 scritta da Bruxelles o da qualche governo tecnico, che poi è la stessa cosa. Di tale rischio sono consapevoli quei 5 stelle che fanno riferimento a Luigi Di Maio, i quali - pur di non correre il rischio di tornare alle urne - potrebbero decidere di prendere la lettera recapitata dall'Ue come un testo tecnico e non politico. D'altronde, i media già ieri sera hanno iniziato a spiegare quali sono le raccomandazioni e le mosse da intraprendere per evitare l'eventuale procedura. Tagliare subito il debito, combattere l'evasione (un modo per suggerire lo stop ai condoni e alle sanatorie), rimettere mano al mercato del lavoro e ripristinare in toto il sistema Fornero. In pratica, si tratterebbe di un'inversione di rotta rispetto all'ultimo Def. Ma sarebbe una scelta che finirebbe con l'impattare subito sulla manovra d'ottobre, che si riempirebbe automaticamente di nuove tasse, oltre all'aumento dell'Iva. È troppo tardi per imparare dai francesi. Ieri Parigi ha ricevuto una lettera di senso opposto. Siccome il loro deficit è «temporaneo» e il governo ha dichiarato che riuscirà a farlo scendere già dal 2020, Bruxelles ha ritirato ogni proposta d'infrazione. Tutto bene, anche se sappiamo tutti - lo dimostra la storia recente - che non succederà mai. Come non è mai accaduto quando a prometterlo era Pier Carlo Padoan. Se ci fossero ancora dei dubbi, il salvataggio amichevole della Francia dimostra che questa Ue si basa sulle finzioni: contabili, e non. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ultimo-schiaffo-di-juncker-ora-stangate-litalia-ma-per-il-debito-fatto-dal-pd-2638704811.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="niente-panico-sui-mercati-il-cane-dello-spread-abbaia-pero-alla-fine-non-morde" data-post-id="2638704811" data-published-at="1765744425" data-use-pagination="False"> Niente panico sui mercati. Il cane dello spread abbaia però alla fine non morde Dopo che la Commissione europea ha formalmente proposto l'apertura di una procedura d'infrazione nei confronti dell'Italia per debito eccessivo, lo spread btp-bund ha «ballato» un po' ma di fatto non è successo nulla di eclatante. Il motivo è chiaro: come accade spesso nei casi in cui le istituzioni europee devono pronunciarsi su un determinato tema, i mercati hanno già da giorni scontato gli eventuali effetti nefasti delle scelte Ue. Così, ieri, il differenziale tra il titolo di Stato tedesco e quello italiano ha iniziato la giornata intorno a 273 punti per aumentare intorno a quota 285 dopo il pronunciamento di Bruxelles per poi ritornare in carreggiata a fine giornata a quota 271, in calo dello 0,22%. Si tratta certo di valori elevati se si considera che il 19 marzo il valore era intorno a 237 punti, ma è anche vero che a fine 2018, era il 6 dicembre, il differenziale era a quota 297. In parole povere, il valore è alto, certo, ma in realtà è su questi livelli (se non più alti in alcuni giorni) dall'agosto scorso. L'idea è in realtà condivisa da molti esperti. «Eventuali sanzioni comminate dalla Commissione europea all'Italia contribuiranno all'aumento del deficit di bilancio del Paese e indeboliranno il mercato dei titoli di Stato italiani, ma nel complesso, gli effetti saranno piuttosto lievi», ha detto Jean-Marie Mercadal, amministratore delegato di Ofi Asset Management: «Anche se lo spread si è recentemente allargato, non si parla più di un'uscita dell'Italia dell'euro, e siccome molti investitori internazionali hanno ridotto l'esposizione sull'obbligazionario del Paese, ci sono meno potenziali venditori in circolazione», conclude l'esperto. «L'avvio della procedura era così largamente atteso che era già praticamente nei prezzi», afferma a Mf-Dowjones uno strategist, puntualizzando come «il mercato si aspettasse questa notizia». Jack Allen-Reynolds di Capital economics sottolinea come «una procedura non comporterà immediatamente sanzioni finanziarie», ma il vero problema per Roma sta «nella debolezza della sua economia, a cui potrebbe aggiungersi un altro periodo difficile sui mercati finanziari». Anche sul fronte azionario i mercati avevano già abbondantemente scontato il rischio. Ieri Piazza Affari ha chiuso la seduta in calo dello 0,36%. Il calo del greggio (-3,5% a 51,5 dollari il Wti) ha trascinato al ribasso i petroliferi in Borsa, con Eni in calo dell'1% mentre Saipem (+1,2%) si è mostrata in controtendenza grazie alla commessa da 6 miliardi in Mozambico. Vendite anche su tutto il comparto bancario, a partire da Banco Bpm (-2,2%), Uncredit (-3,45%), Bper -1,81%, Ubi Banca (-1,18%) e Intesa Sanpaolo (-0,87%). Segno meno anche per Tenaris (-3,29%) e tra gli industriali per Pirelli (-1,48%), Stm (-1,03%) e Fca (-0,96%). Atlantia ieri è cresciuta (+2,6%) nel giorno dell'avvio delle votazioni al Senato sullo Sblocca cantieri. In recupero anche la moda, con Ferragamo a +3% mentre la migliore del Ftse Mib è la Juventus (+5,2%) che - con il toto allenatore che impazza - si sta riavvicinando ai massimi storici toccati a metà aprile prima dell'eliminazione dalla Champions League. Sul resto del listino Mediobanca Securities ha confermato il giudizio outperform (meglio del previsto) su Autogrill (+1,25% a 8,9 euro), alzando il prezzo obiettivo a 11,9 euro da 11,3. Sull'Aim Italia, infine, Pharmanutra (+0,79%) prosegue l'espansione sui mercati internazionali. L'azienda ha chiuso tre accordi per la distribuzione dei prodotti della linea SiderAl in India, Bulgaria e Sud Corea. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ultimo-schiaffo-di-juncker-ora-stangate-litalia-ma-per-il-debito-fatto-dal-pd-2638704811.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-multa-si-giochera-al-super-suk-delle-nomine" data-post-id="2638704811" data-published-at="1765744425" data-use-pagination="False"> La multa si giocherà al super suk delle nomine E adesso che succede? È questa la domanda che si pongono un po' tutti all'indomani della conferenza stampa tenuta da Valdis Dombrovskis e Pierre Moscovici. La procedura di infrazione caldamente suggerita dalla Commissione europea prevede infatti dei passaggi ben precisi dai quali non si può pensare di prescindere. La prima cosa da tenere bene a mente è che quelle formulate ieri da Bruxelles nei confronti del nostro Paese sono delle raccomandazioni. Dal punto di vista formale ieri non è stata aperta alcuna procedura di infrazione, semmai sono state gettate le basi per l'avvio vero e proprio dell'iter. A tal proposito un Moscovici più sibillino del solito, esprimendosi in italiano, ha così chiosato: «Ora tocca agli Stati membri esprimersi. Ovviamente saremo sempre disposti a tenere in considerazione nuovi dati. La mia porta rimane aperta». Dunque, almeno sulla carta, la multa dallo 0,2% allo 0,5% del Pil non è ancora deciso. La palla passa ora alla politica. Difficile, anzi impossibile non pensare che le scelte che verranno prese non finiscano per intrecciarsi con le importantissime scadenze istituzionali in programma nei prossimi mesi. Se da un lato la mossa di spostare la pubblicazione delle conclusioni del semestre dopo le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo può aver significato tamponare l'ondata sovranista (è lecito chiedersi quale percentuale avrebbe raccolto la Lega se la conferenza si fosse svolta prima del voto), d'altro canto ciò potrebbe aver spinto la resa dei conti con l'Italia eccessivamente a ridosso dei negoziati per le cariche Ue. Ma cosa c'è in ballo da qui alla fine dell'estate e quali sono gli attori coinvolti? La legge che regola la procedura di infrazione e il relativo impianto sanzionatorio (l'articolo 126 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea) prevede che a doversi pronunciare sia l'Ecofin (formazione del Consiglio dei ministri dell'Economia europei). Nel passato, la pronuncia è arrivata a distanza di 3-4 settimane dalle raccomandazioni della Commissione. Difficile ipotizzare perciò che dall'Ecofin in programma per il 14 giugno possa scaturire qualche decisione ufficiale. Nulla impedisce però che dell'argomento si parli, almeno in via informale, proprio in quella data e durante l'Eurogruppo previsto per il giorno prima. Verosimilmente tutto verrà rimandato all'Ecofin del 9 luglio, data che a questo punto diventa la più papabile per una possibile decisione finale. Da oggi fino a quel giorno, il premier Giuseppe Conte, il ministro dell'Economia Giovanni Tria e i vicepremier Matteo Salvini e Luigi Di Maio avranno tempo per elaborare una strategia al fine di scongiurare il peggio. L'appuntamento più importante si trova a cavallo: il Consiglio nella sua formazione principale, quella che riunisce i capi di Stato e di governo, è fissato infatti per il 20 e 21 giugno a Bruxelles. In quella data i rappresentanti dei vari Paesi saranno chiamati non solo a «prendere le decisioni pertinenti sulle nomine per il prossimo ciclo istituzionale» ma anche «adottare l'agenda strategica dell'UE per il periodo 2019-2024». Prevista anche una discussione sul budget settennale 2021-2024, ancora in attesa di approvazione, e che non per niente la vecchia Commissione pressava per definire prima delle elezioni. È molto probabile dunque che, per una strana coincidenza temporale, l'effettivo avvio della procedura di infrazione finisca nel calderone delle decisioni di peso. Sul piatto, oltre alle sorti del nostro Paese, la nomina dei presidenti della Commissione europea, del Consiglio dell'Ue, del Parlamento europeo, della Banca centrale europea e, ovviamente, dei membri della Commissione. L'esito della partita dipende in gran parte dal terreno che il nostro sarà disposto a cedere. Una carta da giocare è rappresentata dal veto sul budget Ue (che deve essere ratificato all'unanimità), ma il rischio paradossalmente è quello di inimicarsi i Paesi che maggiormente ne beneficiano (cioè i percettori netti, ovvero gli Stati dell'Est). L'altra strada percorribile è la mediazione sulla Commissione: accettare un dicastero debole (per esempio: Istruzione, Salute oppure Clima ed energia) potrebbe essere un buon viatico per scampare alla punizione, ma d'altro canto suonerebbe come una doppia resa per il governo gialloblù, desideroso di mettere le mani sugli Affari economici o il Commercio. Senza contare che, volente o nolente, il nostro Paese è destinato a perdere la presidenza della Bce (Mario Draghi), del Parlamento (Antonio Tajani) e l'Alto rappresentante per gli affari esteri (Federica Mogherini). Certo, se da qui a due settimane l'Italia dovesse riuscire nell'intento di costituire una fronda in grado di portare avanti interessi trasversali le cose potrebbero cambiare radicalmente. Molto dipenderà dall'abilità del nostro esecutivo nel lavorare sottotraccia e, cosa forse ancora più importante, nel riuscire a rimanere coeso. Di certo, però, c'è che molto più di prima ora abbiamo un potere negoziale. Vedremo come ce lo giocheremo.
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L’allarme sul nuovo capitolo - quello che riguarda le bottiglie da spumante o da vini da invecchiare e l’olio extravergine d’oliva (che teme come la peste la luce del sole) - è stato lanciato dal presidente del Coreve, il consorzio italiano per il riciclo del vetro che detiene il record europeo, con l’81% di vetro «circolare», pari a 2,1 milioni di tonnellate nel 2024 (ben sei punti sopra le quote massime richieste da Bruxelles). Che dice: vogliono cancellare le bottiglie scure per il Prosecco. Spiega il presidente Gianni Scotti che tutto nasce dall’idea di Germania e Danimarca d’imporre in Ue solo le bottiglie da birra. S’attaccano al fatto che i lettori ottici, quando devono selezionare una bottiglia scura, la scambiano per ceramica e non la mandano alla fusione, abbassando il tetto delle quantità riciclate. «Abbiamo dimostrato», spiega Scotti, che le nostre macchine arrivano a scartare meno dell’1% del vetro. Speriamo di convincere l’Europa che le indicazioni che vengono da loro sono obsolete». E anche Assovetro, il cui presidente è Marco Ravasi e che usa il rottame di vetro, si dice preoccupata per la piega che sta prendendo Bruxelless. La speranza è l’ultima dea, ma la concorrenza interna all’Ue può molto di più. Gli attacchi al vino da parte dei Paesi del Nord, che lamentano il fatto che sulla birra c’è una (minima) accisa e sul vino no, si ripetono a ondate. Prima l’Irlanda ha imposto le etichette con scritto «il vino fa male», violando i trattati, ma Ursula von der Leyen ha dato loro ragione; poi la Commissione ha approvato il Beca (documento anti cancro che deve passare dall’Eurocamera) per ipertassare il vino, restringerne la vendita e abolirne la promozione; ora si passa dal vetro. Tutto a danno dei Paesi mediterranei, ignorando che in premessa, nel regolamento sugli imballaggi, c’è scritto: «Imballaggi appropriati sono indispensabili per proteggere i prodotti».
Senza bottiglie scure non si può fare la rifermentazione in bottiglia. Solo Cristal in Champagne usa bottiglie bianche, ma tenute al buio. Lo stesso vale per il metodo classico italiano (sempre di rifermentazione in bottiglia si parla), ma anche per gli spumanti fatti in autoclave (il Prosecco appunto). Per avere un’idea, s’imbottigliano 300 milioni di Champagne, gli italiani tappano un miliardo di bottiglie, gli spagnoli 250 milioni. Va bene solo ai tedeschi che fanno tante bollicine ma così leggere che, comunque, non passerebbero l’anno e dunque non hanno bisogno di protezione dal sole, né di contenere le pressioni di rifermentazione. Il caso dei vetri confermerà invece agli inglesi che la Brexit è stata una mano santa. Sono i più forti consumatori di spumanti al mondo, ma sono anche coloro i quali li hanno resi possibile e ora ne producono di ottimi (ad esempio Bolney).
Il metodo di rifermentazione fu codificato da due marchigiani: Andrea Bacci (De naturalis vinorum historia del 1599) e Francesco Scacchi (1622, De Salubri potu dissertatio) mettono a punto la tecnica, tant’è che si potrebbe parale di un metodo Scacchi. Dom Pierre Pérignon arriva sessant’anni dopo. Ma i due italiani hanno un limite: le bottiglie di vetro soffiato scoppiano. In rifermentazione si arriva fino a 6 atmosfere di pressione. Però nel 1652 sir Kelem Digby cambiò tutto. Giorgio I aveva impedito di tagliare alberi per alimentare i forni vetrai, cosi Digby usò il carbone. Questo gli consentì di alzare le fusioni e mescolare carbonio alla pasta vitrea: nacque l’iper-resistente «English Bottle». Gli inglesi, primi clienti dei vini francesi, fecero con il vetro la fortuna dello Champagne. E questo spiega perché le bottiglie sono pesanti e scure (fino a 9 etti per il metodo classico, 700 grammi quelle da Prosecco, mezzo chilo quelle da vino, anche se l’italiana Verallia ha prodotto la Borgne Aire di soli tre etti). Ma l’Europa non lo sa o fa finta. Perché attraverso le bottiglie (produrre un chilo di vetro vergine vale 500 grammi di CO2, ma nel 2024 l’Italia col riciclo ha risparmiato quasi 1 milione di tonnellate di anidride carbonica, 358.000 tonnellate di petrolio e 3,8 milioni tonnellate di materiali) ha capito che può frenare la crescita di alcuni Paesi. Solo che ora dovranno spiegarlo ai vigneron francesi, che da mesi protestano e hanno già estirpato 12.000 ettari di vigna. Ci sta che a Bruxelles dalle cantine arrivi un messaggio in bottiglia: o lasciate perdere, o i trattori che il 18 stanno per circondare palazzo Berlaymont sono solo un aperitivo.
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Maurizio Gasparri (Ansa)
Sono le 20.30, Andrea finisce il suo turno e sale negli spogliatoi, al piano superiore, per cambiarsi. Scendendo dalle scale si trova davanti ad un uomo armato che, forse in preda al panico, apre il fuoco. La pallottola gli buca la testa, da parte a parte, ma invece di ucciderlo lo manda in coma per mesi, riducendolo a un vegetale. La sua vita e quella dei suoi genitori si ferma quel giorno.
Lo Stato si dimentica di loro. Le indagini si concludono con un nulla di fatto. Non solo non hanno mai trovato chi ha sparato ma neppure il proiettile e la pistola da dove è partito il colpo. Questo perché in quel supermercato le telecamere non erano in funzione. Nel 2018 archiviano il caso. E rinvio dopo rinvio non è ancora stato riconosciuto alla famiglia alcun risarcimento in sede civile. Oggi Andrea ha 35 anni e forse neppure lo sa, ha bisogno di tutto, è immobile, si nutre con un sondino, passa le sue giornate tra il letto e la carrozzina. Per assisterlo, al mattino, la famiglia paga due persone. Hanno dovuto installare un ascensore in casa. E ricevono solo un indennizzo Inail che appena gli consente di provvedere alle cure.
Il senatore di Forza Italia, Maurizio Gasparri, membro della commissione Giustizia del Senato, è sconcertato: «Sono profondamente indignato per quanto accaduto a questa famiglia, Andrea e i suoi genitori meritano la giustizia che fino ad oggi gli è stata negata da lungaggini e burocrazia. Non si capisce il motivo di così tanti rinvii. Almeno si giunga a una sentenza e che Andrea abbia il risarcimento che merita dall’assicurazione. Anche il datore di lavoro ha le sue responsabilità e non possono non essere riconosciute dai giudici».
Il collega senatore di Forza Italia, nonché avvocato, Pierantonio Zanettin, anche lui membro della stessa commissione, propone «che lo Stato si faccia carico di un provvedimento ad hoc di solidarietà se la causa venisse persa. È patologico che ci siano tutti questi rinvii. Bisognerebbe capire cosa c’è sotto. Ci devono spiegare le ragioni. Comunque io mi metto a disposizione della famiglia e del legale. La giustizia ha l’obbligo di rispondere».
Ogni volta l’inizio del processo si sposta di sei mesi in sei mesi, quando va bene. L’ultima beffa qualche giorno fa quando la Corte d’Appello calendarizza un altro rinvio. L’avvocato della famiglia, Matteo Mion, non sa darsi una ragione: «Il motivo formale di tutti questi rinvii è il carico di lavoro che hanno nei tribunali, ma io credo più nell’inefficienza che nei complotti. In primo grado era il tribunale di Padova, adesso siamo in Corte di Appello a Venezia. Senza spiegazioni arriva una pec che ci informa dell’ennesimo rinvio. Ormai non li conto più. L’ultima volta il 4 dicembre, rinviati all’11 giugno 2026. La situazione è ingessata, non puoi che prenderne atto e masticare amaro».
In primo grado, il giudice Roberto Beghini, prova addirittura a negare che Andrea avesse diritto a un indennizzo Inail, sostenendo che quello non fosse un infortunio sul lavoro. Poi sentenzia che non c’è alcuna connessione, nemmeno indiretta, tra quanto successo ad Andrea e l’attività lavorativa che stava svolgendo, in quanto aveva già timbrato il cartellino, era quindi fuori dall’orario di lavoro, non era stata sottratta merce dal supermercato, né il ragazzo era stato rapinato personalmente. Per lui non è stata una rapina finita male. Nessuna merce sottratta, nessuna rapina. Il giudice Beghini insinua addirittura che potrebbe essere stato un regolamento di conti. Solo congetture, nessuna prova, nulla che possa far sospettare che qualcuno volesse fare del male al ragazzo. Giusto giovedì sera, alle 19.30, in un altro Prix market, stavolta a Bagnoli di Sopra (Padova), due banditi hanno messo a segno una rapina armati di pistola. Anche stavolta non c’erano le telecamere. Ed è il quarto colpo in nove giorni.
Ciò che è certo in questa storia è che il crimine è avvenuto all’interno del posto di lavoro dove Andrea era assunto, le telecamere erano spente e chi ha sparato è entrato dal retro dell’edificio attraverso un ingresso lasciato aperto. In un Paese normale i titolari del Prix, se non delle colpe dirette, avrebbero senz’altro delle responsabilità. «L’aspetto principale è l’assenza di misure di sicurezza del supermercato», conclude Mion, «che avrebbero tutelato il personale e che avrebbero consentito con buona probabilità di sapere chi ha sparato. C’è una responsabilità della sentenza primo grado, a mio avviso molto modesta».
Per il deputato di Forza Italia, Enrico Costa, ex viceministro della Giustizia e oggi membro della commissione Giustizia della Camera, «ancora una volta giustizia non è fatta. Il responsabile di quell’atto non è stato trovato, abbiamo un ragazzo con una lesione permanente e una famiglia disperata alla quale è cambiata la vita da un momento all’altro. È loro diritto avere un risarcimento e ottenere giustizia».
L’assicurazione della Prix Quality Spa, tace e si rifiuta di pagare. Sapete quanto hanno offerto ad Andrea? Cinquantamila euro. Ecco quanto vale la vita di un ragazzo.
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Beppe Sala (Ansa)
«Il Comune di Milano ha premiato la Cgil con l’Ambrogino, la più importante benemerenza civica. Quello che vorremmo capire è perché lo stesso riconoscimento non sia stato assegnato anche alla Cisl. O alla Uil. Insomma, a tutto il movimento sindacale confederale», afferma Abimelech. Il segretario della Cisl richiama il peso organizzativo del sindacato sul territorio e il ruolo svolto nei luoghi di lavoro e nei servizi ai cittadini: «È una risposta che dobbiamo ai nostri 185.000 iscritti, ai delegati e alle delegate che si impegnano quotidianamente nelle aziende e negli uffici pubblici, alle tantissime persone che si rivolgono ai nostri sportelli diffusi in tutta l’area metropolitana per chiedere di essere tutelate e assistite».
Nel merito delle motivazioni che hanno accompagnato il riconoscimento alla Cgil, Abimelech solleva una serie di interrogativi sul mancato coinvolgimento delle altre sigle confederali. «Abbiamo letto le motivazioni del premio alla Cgil e allora ci chiediamo: la Cisl non è un presidio democratico e di sostegno a lavoratori e lavoratrici? Non è interlocutrice cruciale per istituzioni e imprese, impegnata nel tutelare qualità del lavoro, salute pubblica e futuro del territorio?», dichiara.
Il segretario generale elenca le attività svolte dal sindacato sul piano dei servizi e della rappresentanza: «Non offre servizi essenziali, dai Caf al Patronato, agli sportelli legali? Non promuove modelli di sviluppo equi, sostenibili e inclusivi? Non è vitale il suo ruolo nel dibattito sulle dinamiche della politica economica e industriale?».
Nella dichiarazione trova spazio anche il recente trasferimento della sede della sigla milanese. «In queste settimane la Cisl ha lasciato la sua “casa” storica di via Tadino 23, inaugurata nel 1961 dall’arcivescovo Giovanni Battisti Montini, il futuro Papa Paolo VI, per trasferirsi in una più grande e funzionale in via Valassina 22», ricorda Abimelech, sottolineando le ragioni dell’operazione: «Lo ha fatto proprio per migliorare il suo ruolo di servizio e tutela per i cittadini e gli iscritti».
La presa di posizione si chiude con un interrogativo rivolto direttamente all’amministrazione comunale: «Dobbiamo pensare che per il Comune di Milano ci siano sindacati di serie A e di serie B? Dobbiamo pensare che per il Comune di Milano ci siano sindacati amici e nemici?». Al sindaco Sala non resta che conferire con Abimelech e metterlo a parte delle risposte ai suoi interrogativi.
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