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2019-06-06
L'Ue ci minaccia per indebolirci nel negoziato sul commissario
Ansa
Scontata come un film già visto, è arrivata la rispostaccia di Bruxelles: la Commissione considera «giustificata» l'apertura di una procedura contro l'Italia per debito eccessivo. La «regola» non è stata rispettata nel 2018 (quando per molti mesi al governo c'era il Pd), e, secondo Jean-Claude Juncker e soci, non lo sarà neanche nel 2019 e nel 2020. Ora tocca al Comitato economico e finanziario del Consiglio pronunciarsi entro due settimane. Infine, palla all'Ecofin, l'8-9 luglio, che ha il potere di attivare i passi successivi, anche se per le vere e proprie sanzioni serviranno (o servirebbero) anni.
Altrettanto prevedibile la sceneggiata dei due commissari economici, Valdis Dombrovskis e Pierre Moscovici, interpreti anche ieri del collaudato numero del poliziotto cattivo e del poliziotto (apparentemente) buono. Il lettone si è assunto la parte del bad cop, pronunciando torvo la sua requisitoria, e sostenendo che l'Italia abbia «tutti gli indicatori macroeconomici in rosso». Ha solo omesso di ricordare che la Lettonia riceve ogni anno dall'Ue 500 milioni, pari al 2% del Pil lettone. Per capirci, se l'Italia ricevesse altrettanto, avremmo ogni anno da Bruxelles 32-33 miliardi. Fantascienza pura.
Il francese Moscovici, invece, sforzandosi di apparire soave, si è travestito da good cop, recitando una battuta forse lungamente provata allo specchio: «La mia porta resta aperta». Frase pronunciata in italiano in conferenza, e scritta sempre in italiano pure su Twitter.
Ma solo un illuso (o qualcuno in malafede) può credere all'«amicizia» di Moscovici. Esattamente come nei mesi scorsi solo all'Italia fu riservato il trattamento mediatico che sappiamo (dichiarazioni di fuoco a Borse aperte, per incendiare lo spread e terremotare i mercati), e come solo all'Italia fu riservata la conferma e l'inasprimento delle clausole di salvaguardia, allo stesso modo ieri soltanto a noi è stata prospettata la procedura. C'erano infatti quattro paesi nel mirino, e cioè Italia, Francia, Belgio e Cipro, ma solo per noi è stato «raccomandato» il trattamento peggiore. Per la sua Francia, invece, Moscovici ha fatto sapere che lo sforamento del 3% «è solo temporaneo» (peccato che sia avvenuto quasi sempre negli ultimi 10-12 anni) e che «i criteri di deficit e debito sono rispettati». Converrà annotarsi queste chiose di Moscovici, anche in considerazione delle ultime misure di spesa allegra decise da Emmanuel Macron.
Nel frattempo, e la cosa farebbe quasi sorridere se non parlassimo di cose tremendamente serie, la Commissione ha proposto di chiudere la procedura nei confronti della Spagna dopo dieci anni. Avete letto bene: dopo dieci anni.
Tutto scontato quindi? Forse due cose non erano prevedibili. Primo: il fatto che ad assumersi la responsabilità di un colpo così pesante verso l'Italia sia stata una Commissione al capolinea, i cui membri hanno letteralmente gli scatoloni in mano, e che anziché agire con prudenza hanno deciso di operare politicamente da kamikaze. Secondo: il carattere provocatorio delle raccomandazioni, per non dire dei diktat, che Bruxelles invia all'Italia.
Se l'Italia accettasse il pacchetto a scatola chiusa, sarebbe un vero e proprio pilota automatico imposto da Juncker e soci. Alcuni passaggi sono retorici e vuoti, il solito elenco di buone intenzioni (combattere il sommerso, far crescere il lavoro femminile, investire in educazione-ricerca-sviluppo, rendere più efficiente la Pa, accorciare i processi, irrobustire la concorrenza, ecc), ma altri sono autentiche provocazioni. Eccole: riforma del catasto (cioè un ulteriore aumento della tassazione immobiliare, mentre l'Italia è già massacrata da un'insostenibile patrimoniale da 21 miliardi sul mattone), ridurre l'utilizzo del contante (cosa c'entra con deficit e debito?), ridurre l'ammontare di npl nei bilanci bancari (quando la vendita accelerata - anzi la svendita - delle sofferenze ha già dato una mazzata alle nostre banche), e implementare la riforma delle pensioni (tutti hanno letto in questo passaggio un attacco a quota 100).
Di tutta evidenza, it's politics: politica, un attacco politico. Al quale Matteo Salvini ha risposto tenendo il punto: «L'unico modo per ridurre il debito creato in passato è tagliare le tasse (flat tax) e permettere agli italiani di lavorare di più e meglio. Con tagli, sanzioni e austerità, sono cresciuti debito, povertà, precarietà e disoccupazione: dobbiamo fare il contrario. Non chiediamo i soldi degli altri, vogliamo solo investire in lavoro, crescita, ricerca e infrastrutture. Sono sicuro che a Bruxelles rispetteranno questa volontà».
Più vago - quasi neodemocristiano - Luigi Di Maio: «Noi siamo persone serie, l'Italia è un paese serio, che rispetta la parola data. Ci metteremo seduti al tavolo con responsabilità, non per distruggere ma per costruire». Un nota altrettanto anodina di Palazzo Chigi ha aggiunto che «il governo intende continuare a dialogare con la Commissione».
Intanto, un primo segnale (da non disprezzare) è venuto dallo spread, che non si è infiammato, e ha chiuso a 271. Almeno per il momento, i soliti incendiari non potranno titolare: «Allarme spread». Forse i mercati aspettano più un taglio di tasse e politiche pro crescita che le giaculatorie dei commissari in uscita.
L’assist perfetto ai piani del Colle
Non c'è nulla di più inedito di un pezzo già pubblicato. Il motto vale anche le lettere Ue sul debito. Il testo, come previsto, è arrivato ieri sera, e contiene 14 pagine che riassumono, nella lingua di Jean Claude Juncker e di Pierre Moscovici, i mali storici dell'Italia. Insomma, la raccomandazione replica i temi di discussione del 2016 e pure del 2013, quando l'Italia era già stata attenzionata. Tant'è che parte del documento fa riferimento alla legge di bilancio del 2018, approvata quando il governo era a trazione Pd.
Stavolta, in più, si punta il dito contro quota 100 e sull'intoccabilità della legge Fornero con toni molto accesi che però vengono traditi dalle conclusioni. Ecco perché, leggendo la lettera, ci si aspetterebbero decisioni nette; invece la Commissione Ue chiude minacciando il governo. Viene in pratica suggerita la procedura d'infrazione, ma poi si lascia la scelta ai Paesi europei. Gli stessi che, in sede di Consiglio, nelle prossime settimane apriranno le danze delle poltrone. Il consesso sarà chiamato a definire il direttivo della Bce - e di conseguenza la scelta del sostituto di Mario Draghi - senza dimenticare che dovrà decidere tutti gli incarichi dei commissari e dovrà farlo con trattative serrate.
Il medesimo gruppo di rappresentanza sarà tenuto a scegliere il capo del Consiglio Ue, e tra una trattativa e l'altra - inutile specificarlo - analizzerà l'opportunità o meno di avviare realmente la procedura d'infrazione per il nostro Paese.
Chiunque è in grado di comprendere che la punizione viene posta su uno dei piatti della bilancia, e sarà utilizzata per fare enormi pressioni su Roma affinché sostenga Tizio piuttosto che Caio in sede di nomine. E, soprattutto, accetti di ricoprire in Commissione un incarico di terza fila.
A meno che la scelta del candidato venga da un cesto che non ha nulla di sovranista o leghista, ma che goda della benedizione del Colle. È, infatti, facile immaginare che la carta di Enzo Moavero Milanesi possa essere giocata per garantire al nostro Paese un nome di passaporto italiano ma certo non di fede gialloblù. In sede di Consiglio verrà anche fatto notare a Roma che recentemente è stato nominato presidente del consiglio di sorveglianza della Bce Andrea Enria, che rappresenta una pedina fondamentale del puzzle, ma non è certo un esponente in linea con l'attuale maggioranza.
Inoltre, alla partita a scacchi per il governo attuale sarà ancora più difficile partecipare, non solo perché verrà costantemente minacciato con la procedura d'infrazione, ma anche perché il partito del Quirinale eserciterà sul premier Giuseppe Conte un'assillante moral suasion. Suggerirà i nomi dei candidati a commissario, come detto, e farà presente che se mai dovesse esserci un nuovo ministro agli Affari europei (il dicastero che era di Paolo Savona) dovrà essere di area quirinalizia. Al tempo stesso, il governo di Conte sarà chiamato a disinnescare le bombe che qua là verranno piazzate per dividere i 5 stelle e abbattere la maggioranza in Parlamento. Quanto accaduto per lo Sblocca cantieri si potrà ripetere in numerose altre occasioni. In ballo c'è anche il decreto Crescita, e gli emendamenti tranello possono arrivare da varie parti. L'intento è sempre quello di creare il pretesto per il divorzio gialloblù e le (immediate?) elezioni.
Andare a votare a settembre, però, significa legarsi le mani da soli e incamminarsi verso un esercizio provvisorio, e quindi una legge di bilancio 2020 scritta da Bruxelles o da qualche governo tecnico, che poi è la stessa cosa. Di tale rischio sono consapevoli quei 5 stelle che fanno riferimento a Luigi Di Maio, i quali - pur di non correre il rischio di tornare alle urne - potrebbero decidere di prendere la lettera recapitata dall'Ue come un testo tecnico e non politico.
D'altronde, i media già ieri sera hanno iniziato a spiegare quali sono le raccomandazioni e le mosse da intraprendere per evitare l'eventuale procedura. Tagliare subito il debito, combattere l'evasione (un modo per suggerire lo stop ai condoni e alle sanatorie), rimettere mano al mercato del lavoro e ripristinare in toto il sistema Fornero. In pratica, si tratterebbe di un'inversione di rotta rispetto all'ultimo Def. Ma sarebbe una scelta che finirebbe con l'impattare subito sulla manovra d'ottobre, che si riempirebbe automaticamente di nuove tasse, oltre all'aumento dell'Iva.
È troppo tardi per imparare dai francesi. Ieri Parigi ha ricevuto una lettera di senso opposto. Siccome il loro deficit è «temporaneo» e il governo ha dichiarato che riuscirà a farlo scendere già dal 2020, Bruxelles ha ritirato ogni proposta d'infrazione. Tutto bene, anche se sappiamo tutti - lo dimostra la storia recente - che non succederà mai. Come non è mai accaduto quando a prometterlo era Pier Carlo Padoan. Se ci fossero ancora dei dubbi, il salvataggio amichevole della Francia dimostra che questa Ue si basa sulle finzioni: contabili, e non.
Niente panico sui mercati. Il cane dello spread abbaia però alla fine non morde
Dopo che la Commissione europea ha formalmente proposto l'apertura di una procedura d'infrazione nei confronti dell'Italia per debito eccessivo, lo spread btp-bund ha «ballato» un po' ma di fatto non è successo nulla di eclatante.
Il motivo è chiaro: come accade spesso nei casi in cui le istituzioni europee devono pronunciarsi su un determinato tema, i mercati hanno già da giorni scontato gli eventuali effetti nefasti delle scelte Ue.
Così, ieri, il differenziale tra il titolo di Stato tedesco e quello italiano ha iniziato la giornata intorno a 273 punti per aumentare intorno a quota 285 dopo il pronunciamento di Bruxelles per poi ritornare in carreggiata a fine giornata a quota 271, in calo dello 0,22%.
Si tratta certo di valori elevati se si considera che il 19 marzo il valore era intorno a 237 punti, ma è anche vero che a fine 2018, era il 6 dicembre, il differenziale era a quota 297.
In parole povere, il valore è alto, certo, ma in realtà è su questi livelli (se non più alti in alcuni giorni) dall'agosto scorso.
L'idea è in realtà condivisa da molti esperti. «Eventuali sanzioni comminate dalla Commissione europea all'Italia contribuiranno all'aumento del deficit di bilancio del Paese e indeboliranno il mercato dei titoli di Stato italiani, ma nel complesso, gli effetti saranno piuttosto lievi», ha detto Jean-Marie Mercadal, amministratore delegato di Ofi Asset Management: «Anche se lo spread si è recentemente allargato, non si parla più di un'uscita dell'Italia dell'euro, e siccome molti investitori internazionali hanno ridotto l'esposizione sull'obbligazionario del Paese, ci sono meno potenziali venditori in circolazione», conclude l'esperto.
«L'avvio della procedura era così largamente atteso che era già praticamente nei prezzi», afferma a Mf-Dowjones uno strategist, puntualizzando come «il mercato si aspettasse questa notizia». Jack Allen-Reynolds di Capital economics sottolinea come «una procedura non comporterà immediatamente sanzioni finanziarie», ma il vero problema per Roma sta «nella debolezza della sua economia, a cui potrebbe aggiungersi un altro periodo difficile sui mercati finanziari».
Anche sul fronte azionario i mercati avevano già abbondantemente scontato il rischio. Ieri Piazza Affari ha chiuso la seduta in calo dello 0,36%. Il calo del greggio (-3,5% a 51,5 dollari il Wti) ha trascinato al ribasso i petroliferi in Borsa, con Eni in calo dell'1% mentre Saipem (+1,2%) si è mostrata in controtendenza grazie alla commessa da 6 miliardi in Mozambico. Vendite anche su tutto il comparto bancario, a partire da Banco Bpm (-2,2%), Uncredit (-3,45%), Bper -1,81%, Ubi Banca (-1,18%) e Intesa Sanpaolo (-0,87%). Segno meno anche per Tenaris (-3,29%) e tra gli industriali per Pirelli (-1,48%), Stm (-1,03%) e Fca (-0,96%). Atlantia ieri è cresciuta (+2,6%) nel giorno dell'avvio delle votazioni al Senato sullo Sblocca cantieri. In recupero anche la moda, con Ferragamo a +3% mentre la migliore del Ftse Mib è la Juventus (+5,2%) che - con il toto allenatore che impazza - si sta riavvicinando ai massimi storici toccati a metà aprile prima dell'eliminazione dalla Champions League.
Sul resto del listino Mediobanca Securities ha confermato il giudizio outperform (meglio del previsto) su Autogrill (+1,25% a 8,9 euro), alzando il prezzo obiettivo a 11,9 euro da 11,3. Sull'Aim Italia, infine, Pharmanutra (+0,79%) prosegue l'espansione sui mercati internazionali. L'azienda ha chiuso tre accordi per la distribuzione dei prodotti della linea SiderAl in India, Bulgaria e Sud Corea.
La multa si giocherà al super suk delle nomine
E adesso che succede? È questa la domanda che si pongono un po' tutti all'indomani della conferenza stampa tenuta da Valdis Dombrovskis e Pierre Moscovici. La procedura di infrazione caldamente suggerita dalla Commissione europea prevede infatti dei passaggi ben precisi dai quali non si può pensare di prescindere. La prima cosa da tenere bene a mente è che quelle formulate ieri da Bruxelles nei confronti del nostro Paese sono delle raccomandazioni. Dal punto di vista formale ieri non è stata aperta alcuna procedura di infrazione, semmai sono state gettate le basi per l'avvio vero e proprio dell'iter. A tal proposito un Moscovici più sibillino del solito, esprimendosi in italiano, ha così chiosato: «Ora tocca agli Stati membri esprimersi. Ovviamente saremo sempre disposti a tenere in considerazione nuovi dati. La mia porta rimane aperta». Dunque, almeno sulla carta, la multa dallo 0,2% allo 0,5% del Pil non è ancora deciso.
La palla passa ora alla politica. Difficile, anzi impossibile non pensare che le scelte che verranno prese non finiscano per intrecciarsi con le importantissime scadenze istituzionali in programma nei prossimi mesi. Se da un lato la mossa di spostare la pubblicazione delle conclusioni del semestre dopo le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo può aver significato tamponare l'ondata sovranista (è lecito chiedersi quale percentuale avrebbe raccolto la Lega se la conferenza si fosse svolta prima del voto), d'altro canto ciò potrebbe aver spinto la resa dei conti con l'Italia eccessivamente a ridosso dei negoziati per le cariche Ue.
Ma cosa c'è in ballo da qui alla fine dell'estate e quali sono gli attori coinvolti? La legge che regola la procedura di infrazione e il relativo impianto sanzionatorio (l'articolo 126 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea) prevede che a doversi pronunciare sia l'Ecofin (formazione del Consiglio dei ministri dell'Economia europei). Nel passato, la pronuncia è arrivata a distanza di 3-4 settimane dalle raccomandazioni della Commissione. Difficile ipotizzare perciò che dall'Ecofin in programma per il 14 giugno possa scaturire qualche decisione ufficiale. Nulla impedisce però che dell'argomento si parli, almeno in via informale, proprio in quella data e durante l'Eurogruppo previsto per il giorno prima. Verosimilmente tutto verrà rimandato all'Ecofin del 9 luglio, data che a questo punto diventa la più papabile per una possibile decisione finale. Da oggi fino a quel giorno, il premier Giuseppe Conte, il ministro dell'Economia Giovanni Tria e i vicepremier Matteo Salvini e Luigi Di Maio avranno tempo per elaborare una strategia al fine di scongiurare il peggio.
L'appuntamento più importante si trova a cavallo: il Consiglio nella sua formazione principale, quella che riunisce i capi di Stato e di governo, è fissato infatti per il 20 e 21 giugno a Bruxelles. In quella data i rappresentanti dei vari Paesi saranno chiamati non solo a «prendere le decisioni pertinenti sulle nomine per il prossimo ciclo istituzionale» ma anche «adottare l'agenda strategica dell'UE per il periodo 2019-2024». Prevista anche una discussione sul budget settennale 2021-2024, ancora in attesa di approvazione, e che non per niente la vecchia Commissione pressava per definire prima delle elezioni. È molto probabile dunque che, per una strana coincidenza temporale, l'effettivo avvio della procedura di infrazione finisca nel calderone delle decisioni di peso. Sul piatto, oltre alle sorti del nostro Paese, la nomina dei presidenti della Commissione europea, del Consiglio dell'Ue, del Parlamento europeo, della Banca centrale europea e, ovviamente, dei membri della Commissione.
L'esito della partita dipende in gran parte dal terreno che il nostro sarà disposto a cedere. Una carta da giocare è rappresentata dal veto sul budget Ue (che deve essere ratificato all'unanimità), ma il rischio paradossalmente è quello di inimicarsi i Paesi che maggiormente ne beneficiano (cioè i percettori netti, ovvero gli Stati dell'Est). L'altra strada percorribile è la mediazione sulla Commissione: accettare un dicastero debole (per esempio: Istruzione, Salute oppure Clima ed energia) potrebbe essere un buon viatico per scampare alla punizione, ma d'altro canto suonerebbe come una doppia resa per il governo gialloblù, desideroso di mettere le mani sugli Affari economici o il Commercio. Senza contare che, volente o nolente, il nostro Paese è destinato a perdere la presidenza della Bce (Mario Draghi), del Parlamento (Antonio Tajani) e l'Alto rappresentante per gli affari esteri (Federica Mogherini). Certo, se da qui a due settimane l'Italia dovesse riuscire nell'intento di costituire una fronda in grado di portare avanti interessi trasversali le cose potrebbero cambiare radicalmente. Molto dipenderà dall'abilità del nostro esecutivo nel lavorare sottotraccia e, cosa forse ancora più importante, nel riuscire a rimanere coeso. Di certo, però, c'è che molto più di prima ora abbiamo un potere negoziale. Vedremo come ce lo giocheremo.
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L'Ue vuole la procedura d'infrazione. Nel mirino i conti (parziali) 2019, quelli 2018 targati Pier Carlo Padoan e quota 100. Giuseppe Conte: «Mi impegno a trattare». Matteo Salvini: «La flat tax è la soluzione». L'assist perfetto ai piani del Colle. La minaccia della Commissione è benzina per le aspettative di Sergio Mattarella. Su tutte, inserire un europeista alla Enzo Moavero Milanesi nella rosa dei nomi per la Commissione. Utilizzando la paura di stangate come lubrificante. Niente panico sui mercati. Il cane dello spread abbaia però alla fine non morde. Le Borse avevano scontato in anticipo le mosse di Bruxelles. Dopo l'annuncio il differenziale Btp/Bund rimbalza, ma chiude in calo. La multa si giocherà al super suk delle nomine. Decisivo l'Ecofin del 9 luglio. Ma negli incontri precedenti, su commissari e Bce, i gialloblù possono incidere. Lo speciale comprende quattro articoli. Scontata come un film già visto, è arrivata la rispostaccia di Bruxelles: la Commissione considera «giustificata» l'apertura di una procedura contro l'Italia per debito eccessivo. La «regola» non è stata rispettata nel 2018 (quando per molti mesi al governo c'era il Pd), e, secondo Jean-Claude Juncker e soci, non lo sarà neanche nel 2019 e nel 2020. Ora tocca al Comitato economico e finanziario del Consiglio pronunciarsi entro due settimane. Infine, palla all'Ecofin, l'8-9 luglio, che ha il potere di attivare i passi successivi, anche se per le vere e proprie sanzioni serviranno (o servirebbero) anni. Altrettanto prevedibile la sceneggiata dei due commissari economici, Valdis Dombrovskis e Pierre Moscovici, interpreti anche ieri del collaudato numero del poliziotto cattivo e del poliziotto (apparentemente) buono. Il lettone si è assunto la parte del bad cop, pronunciando torvo la sua requisitoria, e sostenendo che l'Italia abbia «tutti gli indicatori macroeconomici in rosso». Ha solo omesso di ricordare che la Lettonia riceve ogni anno dall'Ue 500 milioni, pari al 2% del Pil lettone. Per capirci, se l'Italia ricevesse altrettanto, avremmo ogni anno da Bruxelles 32-33 miliardi. Fantascienza pura. Il francese Moscovici, invece, sforzandosi di apparire soave, si è travestito da good cop, recitando una battuta forse lungamente provata allo specchio: «La mia porta resta aperta». Frase pronunciata in italiano in conferenza, e scritta sempre in italiano pure su Twitter. Ma solo un illuso (o qualcuno in malafede) può credere all'«amicizia» di Moscovici. Esattamente come nei mesi scorsi solo all'Italia fu riservato il trattamento mediatico che sappiamo (dichiarazioni di fuoco a Borse aperte, per incendiare lo spread e terremotare i mercati), e come solo all'Italia fu riservata la conferma e l'inasprimento delle clausole di salvaguardia, allo stesso modo ieri soltanto a noi è stata prospettata la procedura. C'erano infatti quattro paesi nel mirino, e cioè Italia, Francia, Belgio e Cipro, ma solo per noi è stato «raccomandato» il trattamento peggiore. Per la sua Francia, invece, Moscovici ha fatto sapere che lo sforamento del 3% «è solo temporaneo» (peccato che sia avvenuto quasi sempre negli ultimi 10-12 anni) e che «i criteri di deficit e debito sono rispettati». Converrà annotarsi queste chiose di Moscovici, anche in considerazione delle ultime misure di spesa allegra decise da Emmanuel Macron. Nel frattempo, e la cosa farebbe quasi sorridere se non parlassimo di cose tremendamente serie, la Commissione ha proposto di chiudere la procedura nei confronti della Spagna dopo dieci anni. Avete letto bene: dopo dieci anni. Tutto scontato quindi? Forse due cose non erano prevedibili. Primo: il fatto che ad assumersi la responsabilità di un colpo così pesante verso l'Italia sia stata una Commissione al capolinea, i cui membri hanno letteralmente gli scatoloni in mano, e che anziché agire con prudenza hanno deciso di operare politicamente da kamikaze. Secondo: il carattere provocatorio delle raccomandazioni, per non dire dei diktat, che Bruxelles invia all'Italia. Se l'Italia accettasse il pacchetto a scatola chiusa, sarebbe un vero e proprio pilota automatico imposto da Juncker e soci. Alcuni passaggi sono retorici e vuoti, il solito elenco di buone intenzioni (combattere il sommerso, far crescere il lavoro femminile, investire in educazione-ricerca-sviluppo, rendere più efficiente la Pa, accorciare i processi, irrobustire la concorrenza, ecc), ma altri sono autentiche provocazioni. Eccole: riforma del catasto (cioè un ulteriore aumento della tassazione immobiliare, mentre l'Italia è già massacrata da un'insostenibile patrimoniale da 21 miliardi sul mattone), ridurre l'utilizzo del contante (cosa c'entra con deficit e debito?), ridurre l'ammontare di npl nei bilanci bancari (quando la vendita accelerata - anzi la svendita - delle sofferenze ha già dato una mazzata alle nostre banche), e implementare la riforma delle pensioni (tutti hanno letto in questo passaggio un attacco a quota 100). Di tutta evidenza, it's politics: politica, un attacco politico. Al quale Matteo Salvini ha risposto tenendo il punto: «L'unico modo per ridurre il debito creato in passato è tagliare le tasse (flat tax) e permettere agli italiani di lavorare di più e meglio. Con tagli, sanzioni e austerità, sono cresciuti debito, povertà, precarietà e disoccupazione: dobbiamo fare il contrario. Non chiediamo i soldi degli altri, vogliamo solo investire in lavoro, crescita, ricerca e infrastrutture. Sono sicuro che a Bruxelles rispetteranno questa volontà». Più vago - quasi neodemocristiano - Luigi Di Maio: «Noi siamo persone serie, l'Italia è un paese serio, che rispetta la parola data. Ci metteremo seduti al tavolo con responsabilità, non per distruggere ma per costruire». Un nota altrettanto anodina di Palazzo Chigi ha aggiunto che «il governo intende continuare a dialogare con la Commissione». Intanto, un primo segnale (da non disprezzare) è venuto dallo spread, che non si è infiammato, e ha chiuso a 271. Almeno per il momento, i soliti incendiari non potranno titolare: «Allarme spread». 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Tant'è che parte del documento fa riferimento alla legge di bilancio del 2018, approvata quando il governo era a trazione Pd. Stavolta, in più, si punta il dito contro quota 100 e sull'intoccabilità della legge Fornero con toni molto accesi che però vengono traditi dalle conclusioni. Ecco perché, leggendo la lettera, ci si aspetterebbero decisioni nette; invece la Commissione Ue chiude minacciando il governo. Viene in pratica suggerita la procedura d'infrazione, ma poi si lascia la scelta ai Paesi europei. Gli stessi che, in sede di Consiglio, nelle prossime settimane apriranno le danze delle poltrone. Il consesso sarà chiamato a definire il direttivo della Bce - e di conseguenza la scelta del sostituto di Mario Draghi - senza dimenticare che dovrà decidere tutti gli incarichi dei commissari e dovrà farlo con trattative serrate. Il medesimo gruppo di rappresentanza sarà tenuto a scegliere il capo del Consiglio Ue, e tra una trattativa e l'altra - inutile specificarlo - analizzerà l'opportunità o meno di avviare realmente la procedura d'infrazione per il nostro Paese. Chiunque è in grado di comprendere che la punizione viene posta su uno dei piatti della bilancia, e sarà utilizzata per fare enormi pressioni su Roma affinché sostenga Tizio piuttosto che Caio in sede di nomine. E, soprattutto, accetti di ricoprire in Commissione un incarico di terza fila. A meno che la scelta del candidato venga da un cesto che non ha nulla di sovranista o leghista, ma che goda della benedizione del Colle. È, infatti, facile immaginare che la carta di Enzo Moavero Milanesi possa essere giocata per garantire al nostro Paese un nome di passaporto italiano ma certo non di fede gialloblù. In sede di Consiglio verrà anche fatto notare a Roma che recentemente è stato nominato presidente del consiglio di sorveglianza della Bce Andrea Enria, che rappresenta una pedina fondamentale del puzzle, ma non è certo un esponente in linea con l'attuale maggioranza. Inoltre, alla partita a scacchi per il governo attuale sarà ancora più difficile partecipare, non solo perché verrà costantemente minacciato con la procedura d'infrazione, ma anche perché il partito del Quirinale eserciterà sul premier Giuseppe Conte un'assillante moral suasion. Suggerirà i nomi dei candidati a commissario, come detto, e farà presente che se mai dovesse esserci un nuovo ministro agli Affari europei (il dicastero che era di Paolo Savona) dovrà essere di area quirinalizia. Al tempo stesso, il governo di Conte sarà chiamato a disinnescare le bombe che qua là verranno piazzate per dividere i 5 stelle e abbattere la maggioranza in Parlamento. Quanto accaduto per lo Sblocca cantieri si potrà ripetere in numerose altre occasioni. In ballo c'è anche il decreto Crescita, e gli emendamenti tranello possono arrivare da varie parti. L'intento è sempre quello di creare il pretesto per il divorzio gialloblù e le (immediate?) elezioni. Andare a votare a settembre, però, significa legarsi le mani da soli e incamminarsi verso un esercizio provvisorio, e quindi una legge di bilancio 2020 scritta da Bruxelles o da qualche governo tecnico, che poi è la stessa cosa. Di tale rischio sono consapevoli quei 5 stelle che fanno riferimento a Luigi Di Maio, i quali - pur di non correre il rischio di tornare alle urne - potrebbero decidere di prendere la lettera recapitata dall'Ue come un testo tecnico e non politico. D'altronde, i media già ieri sera hanno iniziato a spiegare quali sono le raccomandazioni e le mosse da intraprendere per evitare l'eventuale procedura. Tagliare subito il debito, combattere l'evasione (un modo per suggerire lo stop ai condoni e alle sanatorie), rimettere mano al mercato del lavoro e ripristinare in toto il sistema Fornero. In pratica, si tratterebbe di un'inversione di rotta rispetto all'ultimo Def. Ma sarebbe una scelta che finirebbe con l'impattare subito sulla manovra d'ottobre, che si riempirebbe automaticamente di nuove tasse, oltre all'aumento dell'Iva. È troppo tardi per imparare dai francesi. Ieri Parigi ha ricevuto una lettera di senso opposto. Siccome il loro deficit è «temporaneo» e il governo ha dichiarato che riuscirà a farlo scendere già dal 2020, Bruxelles ha ritirato ogni proposta d'infrazione. Tutto bene, anche se sappiamo tutti - lo dimostra la storia recente - che non succederà mai. Come non è mai accaduto quando a prometterlo era Pier Carlo Padoan. Se ci fossero ancora dei dubbi, il salvataggio amichevole della Francia dimostra che questa Ue si basa sulle finzioni: contabili, e non. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ultimo-schiaffo-di-juncker-ora-stangate-litalia-ma-per-il-debito-fatto-dal-pd-2638704811.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="niente-panico-sui-mercati-il-cane-dello-spread-abbaia-pero-alla-fine-non-morde" data-post-id="2638704811" data-published-at="1766743868" data-use-pagination="False"> Niente panico sui mercati. Il cane dello spread abbaia però alla fine non morde Dopo che la Commissione europea ha formalmente proposto l'apertura di una procedura d'infrazione nei confronti dell'Italia per debito eccessivo, lo spread btp-bund ha «ballato» un po' ma di fatto non è successo nulla di eclatante. Il motivo è chiaro: come accade spesso nei casi in cui le istituzioni europee devono pronunciarsi su un determinato tema, i mercati hanno già da giorni scontato gli eventuali effetti nefasti delle scelte Ue. Così, ieri, il differenziale tra il titolo di Stato tedesco e quello italiano ha iniziato la giornata intorno a 273 punti per aumentare intorno a quota 285 dopo il pronunciamento di Bruxelles per poi ritornare in carreggiata a fine giornata a quota 271, in calo dello 0,22%. Si tratta certo di valori elevati se si considera che il 19 marzo il valore era intorno a 237 punti, ma è anche vero che a fine 2018, era il 6 dicembre, il differenziale era a quota 297. In parole povere, il valore è alto, certo, ma in realtà è su questi livelli (se non più alti in alcuni giorni) dall'agosto scorso. L'idea è in realtà condivisa da molti esperti. «Eventuali sanzioni comminate dalla Commissione europea all'Italia contribuiranno all'aumento del deficit di bilancio del Paese e indeboliranno il mercato dei titoli di Stato italiani, ma nel complesso, gli effetti saranno piuttosto lievi», ha detto Jean-Marie Mercadal, amministratore delegato di Ofi Asset Management: «Anche se lo spread si è recentemente allargato, non si parla più di un'uscita dell'Italia dell'euro, e siccome molti investitori internazionali hanno ridotto l'esposizione sull'obbligazionario del Paese, ci sono meno potenziali venditori in circolazione», conclude l'esperto. «L'avvio della procedura era così largamente atteso che era già praticamente nei prezzi», afferma a Mf-Dowjones uno strategist, puntualizzando come «il mercato si aspettasse questa notizia». Jack Allen-Reynolds di Capital economics sottolinea come «una procedura non comporterà immediatamente sanzioni finanziarie», ma il vero problema per Roma sta «nella debolezza della sua economia, a cui potrebbe aggiungersi un altro periodo difficile sui mercati finanziari». Anche sul fronte azionario i mercati avevano già abbondantemente scontato il rischio. Ieri Piazza Affari ha chiuso la seduta in calo dello 0,36%. Il calo del greggio (-3,5% a 51,5 dollari il Wti) ha trascinato al ribasso i petroliferi in Borsa, con Eni in calo dell'1% mentre Saipem (+1,2%) si è mostrata in controtendenza grazie alla commessa da 6 miliardi in Mozambico. Vendite anche su tutto il comparto bancario, a partire da Banco Bpm (-2,2%), Uncredit (-3,45%), Bper -1,81%, Ubi Banca (-1,18%) e Intesa Sanpaolo (-0,87%). Segno meno anche per Tenaris (-3,29%) e tra gli industriali per Pirelli (-1,48%), Stm (-1,03%) e Fca (-0,96%). Atlantia ieri è cresciuta (+2,6%) nel giorno dell'avvio delle votazioni al Senato sullo Sblocca cantieri. In recupero anche la moda, con Ferragamo a +3% mentre la migliore del Ftse Mib è la Juventus (+5,2%) che - con il toto allenatore che impazza - si sta riavvicinando ai massimi storici toccati a metà aprile prima dell'eliminazione dalla Champions League. Sul resto del listino Mediobanca Securities ha confermato il giudizio outperform (meglio del previsto) su Autogrill (+1,25% a 8,9 euro), alzando il prezzo obiettivo a 11,9 euro da 11,3. Sull'Aim Italia, infine, Pharmanutra (+0,79%) prosegue l'espansione sui mercati internazionali. L'azienda ha chiuso tre accordi per la distribuzione dei prodotti della linea SiderAl in India, Bulgaria e Sud Corea. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ultimo-schiaffo-di-juncker-ora-stangate-litalia-ma-per-il-debito-fatto-dal-pd-2638704811.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-multa-si-giochera-al-super-suk-delle-nomine" data-post-id="2638704811" data-published-at="1766743868" data-use-pagination="False"> La multa si giocherà al super suk delle nomine E adesso che succede? È questa la domanda che si pongono un po' tutti all'indomani della conferenza stampa tenuta da Valdis Dombrovskis e Pierre Moscovici. La procedura di infrazione caldamente suggerita dalla Commissione europea prevede infatti dei passaggi ben precisi dai quali non si può pensare di prescindere. La prima cosa da tenere bene a mente è che quelle formulate ieri da Bruxelles nei confronti del nostro Paese sono delle raccomandazioni. Dal punto di vista formale ieri non è stata aperta alcuna procedura di infrazione, semmai sono state gettate le basi per l'avvio vero e proprio dell'iter. A tal proposito un Moscovici più sibillino del solito, esprimendosi in italiano, ha così chiosato: «Ora tocca agli Stati membri esprimersi. Ovviamente saremo sempre disposti a tenere in considerazione nuovi dati. La mia porta rimane aperta». Dunque, almeno sulla carta, la multa dallo 0,2% allo 0,5% del Pil non è ancora deciso. La palla passa ora alla politica. Difficile, anzi impossibile non pensare che le scelte che verranno prese non finiscano per intrecciarsi con le importantissime scadenze istituzionali in programma nei prossimi mesi. Se da un lato la mossa di spostare la pubblicazione delle conclusioni del semestre dopo le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo può aver significato tamponare l'ondata sovranista (è lecito chiedersi quale percentuale avrebbe raccolto la Lega se la conferenza si fosse svolta prima del voto), d'altro canto ciò potrebbe aver spinto la resa dei conti con l'Italia eccessivamente a ridosso dei negoziati per le cariche Ue. Ma cosa c'è in ballo da qui alla fine dell'estate e quali sono gli attori coinvolti? La legge che regola la procedura di infrazione e il relativo impianto sanzionatorio (l'articolo 126 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea) prevede che a doversi pronunciare sia l'Ecofin (formazione del Consiglio dei ministri dell'Economia europei). Nel passato, la pronuncia è arrivata a distanza di 3-4 settimane dalle raccomandazioni della Commissione. Difficile ipotizzare perciò che dall'Ecofin in programma per il 14 giugno possa scaturire qualche decisione ufficiale. Nulla impedisce però che dell'argomento si parli, almeno in via informale, proprio in quella data e durante l'Eurogruppo previsto per il giorno prima. Verosimilmente tutto verrà rimandato all'Ecofin del 9 luglio, data che a questo punto diventa la più papabile per una possibile decisione finale. Da oggi fino a quel giorno, il premier Giuseppe Conte, il ministro dell'Economia Giovanni Tria e i vicepremier Matteo Salvini e Luigi Di Maio avranno tempo per elaborare una strategia al fine di scongiurare il peggio. L'appuntamento più importante si trova a cavallo: il Consiglio nella sua formazione principale, quella che riunisce i capi di Stato e di governo, è fissato infatti per il 20 e 21 giugno a Bruxelles. In quella data i rappresentanti dei vari Paesi saranno chiamati non solo a «prendere le decisioni pertinenti sulle nomine per il prossimo ciclo istituzionale» ma anche «adottare l'agenda strategica dell'UE per il periodo 2019-2024». Prevista anche una discussione sul budget settennale 2021-2024, ancora in attesa di approvazione, e che non per niente la vecchia Commissione pressava per definire prima delle elezioni. È molto probabile dunque che, per una strana coincidenza temporale, l'effettivo avvio della procedura di infrazione finisca nel calderone delle decisioni di peso. Sul piatto, oltre alle sorti del nostro Paese, la nomina dei presidenti della Commissione europea, del Consiglio dell'Ue, del Parlamento europeo, della Banca centrale europea e, ovviamente, dei membri della Commissione. L'esito della partita dipende in gran parte dal terreno che il nostro sarà disposto a cedere. Una carta da giocare è rappresentata dal veto sul budget Ue (che deve essere ratificato all'unanimità), ma il rischio paradossalmente è quello di inimicarsi i Paesi che maggiormente ne beneficiano (cioè i percettori netti, ovvero gli Stati dell'Est). L'altra strada percorribile è la mediazione sulla Commissione: accettare un dicastero debole (per esempio: Istruzione, Salute oppure Clima ed energia) potrebbe essere un buon viatico per scampare alla punizione, ma d'altro canto suonerebbe come una doppia resa per il governo gialloblù, desideroso di mettere le mani sugli Affari economici o il Commercio. Senza contare che, volente o nolente, il nostro Paese è destinato a perdere la presidenza della Bce (Mario Draghi), del Parlamento (Antonio Tajani) e l'Alto rappresentante per gli affari esteri (Federica Mogherini). Certo, se da qui a due settimane l'Italia dovesse riuscire nell'intento di costituire una fronda in grado di portare avanti interessi trasversali le cose potrebbero cambiare radicalmente. Molto dipenderà dall'abilità del nostro esecutivo nel lavorare sottotraccia e, cosa forse ancora più importante, nel riuscire a rimanere coeso. Di certo, però, c'è che molto più di prima ora abbiamo un potere negoziale. Vedremo come ce lo giocheremo.
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Nuove accuse tra Cambogia e Thailandia lungo il confine conteso. Phnom Penh denuncia bombardamenti con caccia F-16, Bangkok parla di attacchi notturni cambogiani. Oltre mezzo milione di sfollati mentre proseguono i negoziati.
La crisi tra Cambogia e Thailandia torna ad aggravarsi lungo il confine conteso. Phnom Penh accusa Bangkok di aver intensificato i bombardamenti con caccia F-16, mentre le autorità thailandesi parlano di attacchi cambogiani durante la notte. Le accuse incrociate arrivano mentre sono in corso negoziati per un cessate il fuoco e il numero degli sfollati supera il mezzo milione.
Secondo il ministero della Difesa cambogiano, l’aeronautica thailandese avrebbe impiegato caccia F-16, sganciando almeno quaranta bombe nell’area del villaggio di Chok Chey. L’episodio viene descritto come un’ulteriore escalation militare in una zona già colpita da ripetuti raid. La versione di Bangkok è opposta. I media thailandesi riferiscono che, durante la notte, le forze cambogiane avrebbero condotto attacchi massicci lungo il confine nella provincia sud-orientale di Sa Kaeo, provocando danni a diverse abitazioni civili.
Nel frattempo, le due parti hanno avviato un nuovo ciclo di colloqui, iniziato mercoledì e destinato a durare quattro giorni, con l’obiettivo dichiarato di porre fine ai combattimenti. L’incontro si svolge in territorio thailandese, presso un valico di frontiera nella provincia di Chanthaburi, secondo quanto riferito da funzionari di Phnom Penh. Sul piano diplomatico si registra anche un coinvolgimento diretto degli Stati Uniti. Il primo ministro cambogiano Hun Manet ha reso noto di aver avuto un colloquio telefonico con il segretario di Stato americano Marco Rubio, durante il quale si è discusso di «come garantire un cessate il fuoco lungo il confine tra Cambogia e Thailandia».
Alla base delle tensioni c’è una disputa storica sulla delimitazione di circa 800 chilometri di confine, che affonda le radici nell’epoca coloniale. Il confronto armato si è riacceso con forza nel corso dell’anno. A luglio, cinque giorni di scontri avevano provocato circa 40 morti e costretto 300.000 persone ad abbandonare le proprie abitazioni, prima di una tregua che successivamente è fallita.
L’impatto umanitario resta pesante. Secondo le autorità cambogiane, oltre mezzo milione di persone è stato costretto a lasciare case e scuole nelle ultime due settimane di combattimenti. In una nota, il ministero dell’Interno di Phnom Penh ha parlato di 518.611 sfollati, denunciando che «oltre mezzo milione di cambogiani, tra cui donne e bambini, stanno soffrendo gravi difficoltà a causa dello sfollamento forzato dalle loro case e scuole per sfuggire al fuoco di artiglieria, ai razzi e agli attacchi aerei dei caccia F-16 thailandesi». In precedenza, Bangkok aveva indicato in circa 400.000 il numero degli sfollati sul proprio territorio. Il portavoce del ministero della Difesa thailandese, Surasant Kongsiri, ha affermato che il numero di persone accolte nei rifugi è in diminuzione, pur restando superiore alle 200.000 unità. Kongsiri ha inoltre invitato gli abitanti dei villaggi a rientrare con cautela, avvertendo che «potrebbero esserci ancora mine o bombe pericolose». Dal punto di vista militare, Phnom Penh ha sottolineato come le forze thailandesi abbiano continuato le operazioni dall’alba del 21 dicembre, segnalando combattimenti anche nei pressi del tempio khmer di Preah Vihear, risalente a 900 anni fa. La Cambogia ha inoltre ricordato il divario di risorse tra i due eserciti, a vantaggio di Bangkok. Secondo i dati ufficiali, il bilancio complessivo degli scontri è salito ad almeno 41 morti, di cui 22 thailandesi e 19 cambogiani. Le ostilità più recenti sono riprese il 12 dicembre, mentre una precedente ondata di violenze, a luglio, aveva causato 43 vittime in pochi giorni.
La crisi è ora all’attenzione dell’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico. I ministri degli Esteri dell’Asean, compresi quelli di Thailandia e Cambogia, si riuniscono il 22 dicembre a Kuala Lumpur per discutere del conflitto. Entrambi i governi hanno espresso l’auspicio che l’incontro contribuisca a ridurre le tensioni. La portavoce del ministero degli Esteri thailandese, Maratee Nalita Andamo, ha definito il vertice «un’importante opportunità per entrambe le parti». Bangkok ha tuttavia ribadito alcune condizioni preliminari, chiedendo a Phnom Penh di annunciare per prima un cessate il fuoco e di cooperare nelle operazioni di sminamento lungo il confine. In un comunicato, il governo thailandese ha precisato che un accordo potrà essere raggiunto «solo se basato principalmente su una valutazione della situazione sul campo da parte dell’esercito thailandese».
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L’obiettivo è evitare la delocalizzazione della produzione e contrastare l’effetto dei costi energetici elevati sulla competitività europea. La misura riguarda principalmente i settori dell’acciaio, della chimica e dell’automotive, fortemente influenzati dalle bollette elettriche, che in Germania risultano quasi tre volte superiori rispetto agli Stati Uniti. Le autorità tedesche hanno già avviato le trattative con la Commissione Europea per ottenere la compatibilità con le norme sugli aiuti di Stato. Per la Slovacchia, strettamente integrata nelle filiere tedesche, la mossa può rappresentare una sfida competitiva: se le imprese tedesche recuperano tranquillità sui costi dell’energia, le aziende slovacche del comparto manifatturiero esportatrici potrebbero trovarsi a dover far fronte a maggiori pressioni sui costi. Lo stesso potrebbe accadere in Italia.
Prima della Germania il Regno Unito, dove un “price cap” è stato stabilito nel 2019 dall’allora governo May. Dal gennaio 2019 l’Ofgem (l’equivalente della nostra Arera) applica un tetto alla spesa massima dei consumatori di trimestre in trimestre. Ma attenzione: non a tutti i clienti, bensì solo ai sottoscrittori delle “standard variable tariffs”, cioè delle tariffe a prezzo variabile molto basilari, dedicate ai clienti meno abituati a cercare tariffe sul mercato libero, e per questo da anni con lo stesso operatore che a volte approfitta di questo immobilismo applicando prezzi piuttosto elevati.
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Donald Trump con il Segretario alla Guerra degli Stati Uniti Pete Hegseth (Getty Images)
«Stasera, su mia indicazione in qualità di Comandante in Capo, gli Stati Uniti hanno sferrato un attacco potente e letale contro la feccia terroristica dell’Isis nel nord-ovest della Nigeria, che ha preso di mira e ucciso brutalmente, principalmente cristiani innocenti, a livelli che non si vedevano da molti anni, persino da secoli», ha scritto il presidente.
L’intervento militare arriva dopo settimane di tensioni tra Washington e Abuja. Trump aveva più volte accusato il governo nigeriano di non riuscire a fermare le violenze contro le comunità cristiane, annunciando già il mese scorso di aver ordinato al Pentagono di predisporre una possibile azione armata. In parallelo, il Dipartimento di Stato aveva comunicato restrizioni sui visti per cittadini nigeriani e familiari coinvolti in uccisioni di massa e persecuzioni religiose. Gli Stati Uniti hanno inoltre inserito la Nigeria tra i «Paesi di particolare preoccupazione» ai sensi dell’International Religious Freedom Act.
Nel suo messaggio, Trump ha rivendicato la continuità tra gli avvertimenti lanciati in precedenza e l’azione militare appena condotta: «Avevo già avvertito questi terroristi che se non avessero smesso di massacrare i cristiani, avrebbero pagato un prezzo altissimo, e stasera è successo». Il presidente ha quindi elogiato l’operato delle forze armate: «Il Dipartimento della Guerra ha eseguito numerosi attacchi perfetti, come solo gli Stati Uniti sono in grado di fare. Sotto la mia guida, il nostro Paese non permetterà al terrorismo islamico radicale di prosperare. Che Dio benedica le nostre forze armate e Buon Natale a tutti, compresi i terroristi morti, che saranno molti di più se continueranno a massacrare i cristiani».
La conferma dell’operazione è arrivata anche dal Comando militare statunitense per l’Africa (Africom), che ha spiegato come l’attacco sia stato condotto su richiesta delle autorità nigeriane e abbia portato all’uccisione di diversi terroristi dell’Isis. «Gli attacchi letali contro l’Isis dimostrano la forza del nostro esercito e il nostro impegno nell’eliminare le minacce terroristiche contro gli americani, in patria e all’estero», ha comunicato Africom. Sulla stessa linea il capo del Pentagono, Pete Hegseth, che ha ricordato come la posizione del presidente fosse stata chiarita già nelle settimane precedenti: «Il presidente era stato chiaro il mese scorso: l’uccisione di cristiani innocenti in Nigeria (e altrove) deve finire. Il Dipartimento della Guerra è sempre pronto, come ha scoperto l’Isis stasera, a Natale. Seguiranno altre notizie», aggiungendo di essere «grato per il sostegno e la cooperazione del governo nigeriano».
Da Abuja è arrivata una conferma ufficiale dei raid. In una nota, il ministero degli Affari Esteri della Repubblica Federale della Nigeria ha dichiarato che «le autorità nigeriane continuano a collaborare in modo strutturato con i partner internazionali, compresi gli Stati Uniti, nella lotta contro la minaccia persistente del terrorismo e dell’estremismo violento». La cooperazione, prosegue il comunicato, ha portato «a attacchi mirati contro obiettivi terroristici in Nigeria mediante raid aerei nel nord-ovest del Paese». Il ministero ha inoltre precisato che, «in linea con la prassi internazionale consolidata e gli accordi bilaterali, tale cooperazione comprende lo scambio di informazioni, il coordinamento strategico e altre forme di sostegno conformi al diritto internazionale, il reciproco rispetto della sovranità e gli impegni condivisi in materia di sicurezza regionale e globale».
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