2025-03-15
Delirio bellicista dell’Eurocamera: «Sgomento per la pace Usa-Russia»
La risoluzione sul sostegno a Kiev contesta gli sforzi diplomatici di Trump, chiede all’Ue di sopperire al taglio dei fondi Usaid (quindi, erano aiuti militari?) e, addirittura, rilancia l’idea dell’Ucraina nella Nato.Il Segretario di Stato vaticano Parolin: «Disarmare il linguaggio». Zelensky lo chiama: «Ho consegnato una lista di detenuti nelle prigioni russe. Contiamo sulla Santa Sede».Lo speciale contiene due articoli.È vero che le risoluzioni del Parlamento europeo contano come i buoni propositi per la dieta, ma l’improvvido massimalismo degli onorevoli col moschetto sembra esagerato persino per chi immagina di parlare al vento. Se già il testo del «Libro bianco sul futuro della Difesa Ue» traboccava di radicalismo guerraiolo, quello sul «Mantenimento del fermo sostegno all’Ucraina dopo tre anni di guerra di aggressione della Russia», approvato sempre mercoledì, ha i toni dei manifesti interventisti del futurismo, ma senza la stessa nobiltà artistica.Ancor più che ribadire l’appoggio a Kiev, il documento dell’Eurocamera è cesellato per dare addosso a Donald Trump, accusato di comportarsi da fantoccio di Vladimir Putin. Il tycoon, si legge ad esempio, «sta avanzando richieste nei confronti dell’Ucraina ma non ha formulato alcuna richiesta nei confronti della parte russa». È per questo che il copresidente del gruppo Ecr, il meloniano Nicola Procaccini, aveva chiesto - invano - di rinviare il voto sulla risoluzione, sulla quale poi gli esponenti di Fdi si sono astenuti. Tra loro, il solo Sergio Berlato ha votato contro, così come tutti i leghisti e il piddino Nicola Zingaretti; Marco Tarquinio ha scelto pure lui l’astensione, mentre gli altri dem si sono espressi a favore, accoppiati agli irriducibili di Forza Italia. Se si trattasse di dar retta ai 442 sottoscrittori della mozione, bisognerebbe preparare fucile e vettovaglie e mettersi in marcia verso il fronte del Donbass.Guardate cosa dice il punto 5: il Parlamento europeo manifesta «profonda preoccupazione per l’apparente cambio di posizione degli Stati Uniti». In sostanza, si rammarica che, dopo l’escalation alimentata da Joe Biden, Trump si stia adoperando per trovare una via d’uscita diplomatica dal massacro. L’idea dei politici che ci dovrebbero rappresentare, al contrario, è che l’Ue e i suoi Stati membri, rimasti ormai «i principali alleati strategici dell’Ucraina», debbano «mantenere il loro ruolo di maggiore donatore […] nonché aumentare in modo significativo l’assistenza», fino a «sostituire i fondi Usaid sospesi». Altre sovvenzioni belliche e finanziarie; tanto, in questa guerra sono gli ucraini a morire. Il vaneggiamento marziale contiene anche una mezza notizia: se davvero l’Europa intende sopperire al taglio dei sussidi a stelle e strisce, se ne deve forse dedurre che l’agenzia prosciugata da The Donald forniva all’Ucraina assistenza militare?La risoluzione, poi, dichiara di accogliere «con favore gli sforzi del presidente francese Macron e del primo ministro del Regno Unito Starmer», allo scopo di formare una coalizione di volenterosi per una missione di peacekeeping. Il Parlamento, però, si spinge oltre. E al punto 9, «insiste che l’Ue debba contribuire all’istituzione di solide garanzie di sicurezza a favore dell’Ucraina». Siamo fuori dalla realtà: la guerra è scoppiata perché i russi erano convinti che la Nato si stesse avvicinando ai confini della Federazione e noi, adesso, suggeriamo di mandare un contingente di Paesi membri dell’Alleanza atlantica? Nel documento non c’è nemmeno mezzo cenno all’ipotesi di coinvolgere l’Onu, nel cui Consiglio di sicurezza siede Mosca e che potrebbe tirare dentro anche soldati di Paesi non allineati, tipo l’India e la Cina. Di più: la plenaria di Strasburgo «ricorda l’impegno della Nato ad ammettere l’Ucraina nell’Alleanza». E sfacciatamente, raccomanda di continuare a fornire mezzi militari agli uomini della resistenza. I quali, anziché sedersi al tavolo delle trattative, dovrebbero «migliorare» la loro condizione sul terreno, per ottenere «una posizione negoziale più forte». È il trionfo del pensiero magico: fino ad oggi gli aiuti hanno portato, semmai, al peggioramento della posizione negoziale di Kiev, però il Parlamento Ue chiede di darne di più. E la Commissione, stavolta, ha recepito l’indicazione. Ieri circolava un «piano Kallas», l’Alto rappresentante Ue, per un finanziamento da 40 miliardi da sottoporre all’approvazione del Consiglio Esteri di lunedì: «Ogni Stato membro», recitava la bozza, «sarà invitato a fornire una quota del contributo militare […] in linea con il suo peso economico», ossia il proprio Pil. Si parla di fornire caccia, contraeree, missili, droni o almeno addestramento e di concludere gli acquisti degli armamenti necessari preferibilmente presso industrie europee e ucraine. La linea rimane la solita: combattere fino all’ultimo ucraino. L’Eurocamera, addirittura, «esprime sgomento per quanto riguarda la politica dell’amministrazione statunitense di rappacificarsi con la Russia». Sì: il tentativo di Trump di fare la pace con Putin suscita «sgomento» nel Vecchio continente. Tocca continuare a versare il sangue degli altri: c’è da scongiurare quella che la risoluzione chiama «una sconfitta strategica per l’Europa, gli Stati Uniti e l’intera alleanza Nato». Gli europarlamentari si sentono «presi di mira» da Washington e considerano l’orientamento della Casa Bianca una minaccia «per il legame transatlantico nonché per la pace e la stabilità in Europa e nel resto del mondo». La pace mette a rischio la pace. Logico, no? Forse era scritto che andasse a finire in questa maniera. Lo scrisse, appunto, il padre ideologico dell’Unione europea, Altiero Spinelli: «L’Europa per nascere ha bisogno di una forte tensione russo-americana, e non della distensione, così come per consolidarsi essa avrà bisogno di una guerra contro l’Unione sovietica». I suoi epigoni hanno appreso la lezione. Chissà se, sotto gli elmetti, si trova ancora qualche testa sana.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ucraina-delirio-bellicista-eurocamera-2671334799.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="parolin-media-per-i-bimbi-deportati" data-post-id="2671334799" data-published-at="1742033873" data-use-pagination="False"> Parolin media per i bimbi deportati Nei giorni in cui l’Europa corre al riarmo, la Chiesa chiede esattamente opposto, invitando tutti «a disarmare» perfino «il linguaggio». È l’appello formulato ieri dal Segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, durante l’omelia della Santa Messa celebrata - con il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede - per il Santo Padre ricoverato al Policlinico Gemelli di Roma da ormai 30 giorni. «Le guerre che scoppiano nel mondo, insanguinano il nostro pianeta e che con la nostra diplomazia cerchiamo di evitare prima di tutto, e poi di risolvere e concludere, non nascono nei campi di battaglia», ha premesso il porporato, che ha subito osservato come queste guerre in realtà nascano «nel cuore dell’uomo». «La mano è armata dal cuore e anche dalla bocca per cercare la pace», ha continuato il Segretario di Stato vaticano - facendosi interprete del pensiero di papa Francesco, che tante preghiere in questi anni ha rivolto per far tacere le armi -, «bisogna prima di tutto disarmare il linguaggio, non usare un linguaggio aggressivo, offensivo nei confronti degli altri. Perché è lì che comincia la guerra, quando pronunciamo parole di disprezzo, di avversione, di odio nei confronti degli altri». In giorni in cui anche nel mondo cattolico la richiesta di una «pace giusta» - espressione che pare spesso richiamata più in ostilità al Cremlino che al conflitto -, le parole del cardinale Parolin acquistano una centralità particolare. Centralità che, nella guerra in Ucraina, ha ritrovato anche la diplomazia della Santa Sede, con specifico riferimento agli ucraini fatti prigionieri dai russi. A renderlo noto è stato il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, che su X ha riferito di essere in contatto coi vertici della Santa Sede, a partire proprio dal Segretario di Stato. «Ho parlato con il Segretario di Stato della Santa Sede, il cardinale Pietro Parolin», ha detto il leader di Kiev, da una parte evidenziando di aver «augurato a papa Francesco una pronta guarigione e l’ho ringraziato per le sue preghiere e il suo sostegno morale al nostro popolo, nonché per i suoi sforzi nel facilitare il ritorno dei bambini ucraini deportati illegalmente e sfollati dalla Russia», dall’altra facendo presente di aver consegnato alla Santa Sede «un elenco di ucraini detenuti nelle prigioni e nei campi russi». «Contiamo sul sostegno per la loro liberazione», ha aggiunto Zelensky. Che ha altresì sottolineato come «lo scambio di prigionieri e un cessate il fuoco provvisorio incondizionato di 30 giorni» siano «i primi rapidi passi che potrebbero avvicinarci significativamente a una pace giusta e duratura. L’Ucraina è pronta a compiere questi passi perché il popolo ucraino desidera la pace più di chiunque altro». Pur non lesinando frecciate a Mosca, tacciata di porre «deliberatamente condizioni che complicano e allungano il processo» di stop alla guerra - come se non fosse purtroppo normale che a porre «condizioni» in un negoziato sia la parte più forte -, il presidente ucraino, sempre riguardo al colloquio avuto col cardinale Parolin, ha evidenziato che «la voce della Santa Sede è molto importante sulla strada della pace». Parole, queste di Zelensky, che confermano come i numerosi appelli di papa Bergoglio per «la martoriata Ucraina» - così come gli sforzi della Santa Sede di restare sopra le parti, senza spiaggiarsi sul solo sostegno morale a Kiev ma lasciando aperta la porta del dialogo con la Russia - tutto siano stati fuorché vani.