2025-08-20
Trump divide i volenterosi e affossa il Rearm
Donald Trump con Volodymyr Zelensky e i leader europei (Getty Images)
Macron insiste per mandare truppe, Starmer vuol coinvolgere gli Usa (che non ci pensano), altri preferiscono l’«articolo 5» proposto dal premier italiano. Intanto l’Ue si prepara a sganciare 100 miliardi in armi per Kiev.Parigi insiste: uomini al fronte. Londra: ci coordineremo con gli Usa per spedirli. Il tycoon invece ne esclude l’invio: «Forse darò supporto aereo». L’Ue sposa il lodo Meloni: «In campo con l’Ucraina qualora sia invasa».Lo speciale contiene due articoli.Dopo il dossier dazi, l’Europa è pronta ad accettare anche l’acquisto di armi made in Usa da regalare all’Ucraina. Un’operazione che aiuta il processo di pace, ma dà a Washington il vantaggio di veder finanziata la propria industria degli armamenti, a discapito inevitabilmente dei bilanci europei sulla sicurezza, penalizzando le imprese dell’Ue e di conseguenza togliendo ossigeno al Pil. Un pacchetto che il presidente americano, Donald Trump, ha pensato nei dettagli, forte del fatto di aver ereditato dal suo predecessore dem, Joe Biden, una guerra nella quale non si sarebbe mai impelagato. Così oltre ai costi della ricostruzione, l’Europa si intesta anche finanziamenti di armi per 100 miliardi di euro. Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, parlando ai giornalisti alla Casa Bianca, ha ribadito che è pronto ad acquistare armi dagli Stati Uniti per quella cifra (anche se il conto, come anticipato, lo pagherà l’Unione europea). L’annuncio è arrivato dopo che gli alleati Ue avevano recentemente confermato l’investimento miliardario per sostenere l’Ucraina, nel quale sono compresi i sistemi Patriot. Il Financial Times aveva spiegato per primo che l’Ucraina acquisterà armi dagli Usa (attraverso Bruxelles) per avere garanzie di sicurezza. A livello di dichiarazioni ufficiali, la portavoce aggiunta della Commissione europea, Arianna Podestà, ha precisato che il piano proposto dal presidente ucraino sui rifornimenti di materiale bellico dai Paesi comunitari e destinato a Kiev «non è stato discusso durante la riunione multilaterale tra i leader europei, Zelensky e Trump». Poi ha sottolineato che «è noto l’impegno per mantenere il sostegno all’Ucraina, anche sotto il profilo militare, nonché attraverso il nostro programma Safe, e che stiamo cercando di integrare le nostre industrie e sviluppare insieme all’Ucraina la spesa e le innovazioni nel settore della difesa».«L’Europa si è già impegnata a pagare 10 miliardi di aiuti militari a Kiev, che provengono da depositi di armi americani, divisi in 20 pacchetti da 500 milioni. Non tutti i Paesi si sono resi disponibili, l’Italia è uno di questi. Tre di questi pacchetti sono stati coperti: uno da Svezia, Danimarca e Norvegia, uno da Olanda e un altro dalla Germania. Quindi finora su 10 miliardi ne sono stati garantiti solo 1,5 miliardi. A questo impegno si dovrebbero aggiungere i 90 miliardi dell’accordo con Donald Trump. Questo significa stanziare fondi enormi che verranno distolti dall’industria della difesa europea e andranno a finanziare e a potenziare quella americana. Un grande business per gli Usa, non c’è che dire», commenta Gianandrea Gaiani, noto analista geopolitico, direttore della rivista Analisi Difesa.La conferma? Basta ascoltare le dichiarazioni del segretario di Stato americano, Marco Rubio, a Fox News: «Non diamo più armi a Kiev, ora gliele vendiamo e i Paesi europei le pagano attraverso la Nato. Stanno usando la Nato per acquistare armi e trasferirle all’Ucraina». E sottolinea che «è un grande cambiamento rispetto al modo in cui è stata affrontata questa guerra negli anni passati, sotto l’amministrazione Biden». Gaiani aggiunge: «la Commissione Ue dovrebbe pretendere commesse dell’industria europea per la fornitura di armi all’Ucraina. Ma stiamo raccogliendo il frutto di errori del passato, quando Bruxelles ha appoggiato in maniera incondizionata la politica dell’ex presidente Biden, seguendolo nella sua follia anti Russia». Ma c’è di più. Gaiani va giù duro: «Gli Usa stanno vendendo a peso d’oro mezzi e armi che hanno nei magazzini europei». E insinua un sospetto: «Temo che nel piano di progressivo disimpegno militare di Washington dall’Europa con il ridimensionamento della sua presenza, possa rientrare anche lo svuotamento dei magazzini di armi nel Vecchio continente, così da non trasferirli fisicamente oltre oceano, con costi enormi. Ma si tratta solo di un’ipotesi». Poi c’è il tema delle garanzie di sicurezza. Sul tavolo delle discussioni tra Trump, Zelensky e i leader europei è rispuntata l’ipotesi di una «zona cuscinetto» sul modello coreano. Il problema di fondo, come è noto, è che Kiev non è nella Nato. E bisogna lavorare a un compromesso, basandosi sull’articolo 5, come proposto dal premier Giorgia Meloni. Ovvero garanzie di sicurezza simili, senza che l’Ucraina faccia parte dell’Alleanza atlantica. Washington metterebbe a disposizione mezzi di trasporto, velivoli ma anche strumenti tecnologici avanzati con l’uso dell’Intelligenza artificiale che integrano immagini satellitari, ricognizioni con droni per prevedere movimenti nemici. Per l’uso delle nuove tecnologie verrebbe coinvolta la società americana Palantir, fondata da Peter Thiel, uomo molto vicino a Trump. Una soluzione che dovrebbe funzionare da deterrente a eventuali mire espansionistiche di Mosca. Su questo punto è nota la pressione di Parigi per portare sul campo soldati europei, che si scontra con il no degli alleati, primo fra tutti quello di Roma. Non solo, il piano contiene il rischio di un impegno indefinito, tant’è che Germania e Italia hanno chiesto chiarezza sulla durata della missione e sui compiti.«Mi sembra aria fritta», afferma Gaiani. «L’unica garanzia, in caso di attacco russo, sarebbe l’intervento immediato di forze armate europee. Ma quale leader europeo riceverebbe l’autorizzazione dal suo Parlamento a un’azione militare?».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/trump-divide-volenterosi-affossa-rearm-2673902779.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="stivali-sul-terreno-oppure-articolo-5-volenterosi-divisi-sul-soccorso-a-kiev" data-post-id="2673902779" data-published-at="1755657521" data-use-pagination="False"> Stivali sul terreno oppure articolo 5. Volenterosi divisi sul soccorso a Kiev Sono volenterosi, ma non si applicano. Alla faccia della ritrovata unità europea, che avrebbe portato a più miti consigli Donald Trump e salvato la dignità dell’Ucraina, gli alleati del Vecchio continente non sembrano poi tanto d’accordo sulla natura delle garanzie di sicurezza da offrire a Kiev.La prima opzione è ancora quella proposta dall’Italia: estendere la clausola di mutua assistenza dell’articolo 5 Nato al Paese invaso. È la posizione espressa pure dall’Unione europea: ieri Antonio Costa, presidente del Consiglio Ue, ha chiesto proprio di «accelerare il nostro lavoro concreto per mettere in campo una garanzia simile all’articolo 5 della Nato, con il continuo impegno degli Stati Uniti». I quali, dunque, dovrebbero promettere che non si tirerebbero indietro al momento decisivo.Resta però sul tavolo anche l’alternativa formulata da Emmanuel Macron: spedire al fronte una forza di interposizione. Di queste «diverse migliaia» di soldati si sarebbe discusso ieri, al vertice in videoconferenza della coalizione, co-presieduto dallo stesso Macron e da Keir Starmer. Guarda caso, è stato un «diplomatico francese» a informare il quotidiano britannico Times che ci sarà «una presenza di forze alleate al fianco dell’Ucraina, per dimostrare che i nostri destini sono collegati». Fonti di Downing Street hanno annunciato che alcuni esperti militari dei Paesi volenterosi si recheranno Oltreoceano nei prossimi giorni, per coordinarsi con gli americani e «preparare l’invio di una forza di rassicurazione qualora le ostilità terminassero». Eppure, lunedì sera, davanti a Trump, il premier inglese aveva sposato il lodo Meloni. Il nostro Paese, tramite il capo di Stato maggiore della Difesa, il generale Luciano Portolano, sarà presente ai colloqui con gli americani. «La partecipazione italiana», ha sottolineato il ministro della Difesa, Guido Crosetto, «conferma la volontà del nostro Paese di contribuire, insieme agli alleati e ai partner internazionali, alla stabilità e alla sicurezza dell’Europa». Nessun accenno all’ipotesi di inviare truppe nell’Est.Da parte sua, il tycoon è stato netto: «Avete la mia assicurazione», ha giurato ieri alla Fox, che non ci saranno boots on the ground americani. Forse, Washington accetterà di collaborare fornendo aiuto aereo - era una delle richieste di Macron. Per il resto, The Donald ha dato l’impressione di non volersi immischiare nei programmi degli europei: «Alcuni Paesi, Francia, Germania, un paio di loro, il Regno Unito, vogliono gli stivali sul terreno», ha riferito. E Vladimir Putin, secondo lui, potrebbe persino accettare: «Non penso sarà un problema: è stanco, sono tutti stanchi. Ma non si sa mai». In realtà, la Russia ha fatto sapere all’amministrazione Usa che tollererebbe un meccanismo tipo articolo 5, ma non il dispiegamento di un esercito lungo la linea del fronte. Intanto, Trump ci ha tenuto a sottolineare che l’Ucraina non entrerà nell’Alleanza atlantica e non recupererà la Crimea, la «pupilla» che, a suo parere, nel 2014 fu consegnata a Mosca da un arrendevole Barack Obama.L’insistenza sulla missione militare nel Donbass minaccia di scomporre il blocco occidentale di 30 Paesi. In primis, sfilacciando il perimetro dell’Ue: Macron si appoggia a Starmer, cioè al capo di una nazione uscita dall’Unione europea. Pensate gli strepiti se, anziché il galletto, fosse stata Giorgia Meloni a orchestrare il tradimento nei confronti di Bruxelles. Non è chiarissimo cosa pensino i tedeschi: Trump ha attribuito loro la volontà di prendere parte al contingente ucraino; eppure, l’altro ieri, il ministro della Difesa di Berlino aveva definito «troppo onerosa» l’impresa nel Donbass. Il dilemma strategico, per i teutonici, riguarda la perenne lotta per l’egemonia - e questo la racconta lunga sulla presunta concordia che regnerebbe in Europa. Il cancelliere Friedrich Merz sta costruendo il più grosso esercito del Vecchio continente e non vuole né lasciare campo libero ai transalpini, né finire sotto la loro egida.Sempre il Times notava che né l’Italia né la Polonia invierebbero soldati nel Donbass; tuttavia, sarebbero disponibili a entrare in guerra, se l’Ucraina fosse di nuovo attaccata.Le divergenze sulle garanzie di sicurezza potrebbero tradursi in tre livelli d’intervento differenti. Uno è quello cui ha accennato Costa ieri: «Le forze armate ucraine saranno la prima linea di difesa: per questo dobbiamo rafforzare, potenziare e sbloccare il nostro sostegno militare all’Ucraina». Dovrebbe essere un riferimento ai fondi per acquistare gli equipaggiamenti bellici per conto di Kiev, cui verrebbe perciò delegato l’onere di presidiare i confini esterni del continente. L’Alto rappresentante Ue, Kaja Kallas, ha parlato di addestramento dei soldati, rafforzamento dell’esercito e dell’industria della difesa ucraini. Poi c’è il piano che l’Ue da ieri promuove ufficialmente: elaborare una formula in stile articolo 5. Fonti italiane hanno fatto capire che realizzarlo sarà una priorità: il processo è stato «concordato» e solo dopo averlo definito si potrà procedere oltre. Magari, al terzo gradino: i battaglioni con gli «stivali sul terreno», che accrescerebbero le possibilità di scontro con la Federazione. Volodymyr Zelensky, in un post su X, ha spiegato che si sta lavorando «a tutti i livelli sui dettagli, [...] con tutti i partecipanti alla coalizione dei volenterosi, in modo molto sostanziale, con gli Stati Uniti, e questo è uno dei più grandi successi di Washington».È già evidente un dato: i volenterosi, tutt’altro che compatti, hanno dovuto cambiare postura. L’alleanza era nata all’indomani della sfuriata di Trump contro Zelensky, con l’obiettivo di sostenere Kiev a prescindere da Washington; adesso ha compreso che è più utile accodarsi al tycoon. Il gruppo, per seguirlo, ingoierà anche il rospo del dialogo da pari a pari con Putin.Gli eventi hanno vendicato la linea della Meloni: era lei a contestare l’impulso a sganciarsi dall’America; era lei ad aver disertato i summit nei quali si evocavano i peacekeeper, in assenza di un mandato Onu. A spaccare l’Europa, oggi, sono semmai le mire di Macron, proiettato al di là della Manica. Ma tutti hanno capito che, senza gli Usa, davvero i russi potrebbero arrivare a Varsavia.
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