2025-06-29
Tregua in Palestina, dialogo con l’Iran: Donald prova a rifare il suo Medio Oriente
Donald Trump (Getty Images)
I dossier per distendere i rapporti tra Israele e Paesi arabi. Ma ai funerali a Teheran urlano «morte all’America».Donald Trump punta alla stabilizzazione del Medio Oriente, rilanciando gli Accordi di Abramo. Un obiettivo ambizioso, che necessita di due precondizioni: chiudere la guerra a Gaza e scongiurare definitivamente lo scenario di un Iran con la bomba atomica in mano. L’altro ieri, il presidente americano si è detto ottimista sulla possibilità che venga presto raggiunto un cessate il fuoco nella Striscia. «Penso che ci siamo quasi. Ho appena parlato con alcune delle persone coinvolte. Pensiamo che entro la prossima settimana otterremo un cessate il fuoco», ha dichiarato. A tal proposito, secondo il giornale libanese vicino a Hezbollah Al Akhbar, l’inviato statunitense per il Medio Oriente, Steve Witkoff, dovrebbe recarsi al Cairo nei prossimi giorni, per negoziare una tregua e il rilascio degli ostaggi in mano ad Hamas: ostaggi i cui famigliari sono stati ricevuti, venerdì, a Washington dal segretario di Stato americano, Marco Rubio. Nelle stesse ore, il Qatar parlava di una «finestra di opportunità» per arrivare a un cessate il fuoco a Gaza. È stato inoltre reso noto che, domani, il ministro israeliano per gli Affari strategici, Ron Dermer, dovrebbe recarsi in visita nella capitale statunitense. Al contempo, Trump sta cercando di rilanciare i colloqui sul nucleare con Teheran. Da una parte, secondo un’indiscrezione della Cnn tuttavia smentita ufficialmente dal diretto interessato, il presidente americano avrebbe offerto all’Iran l’accesso a 30 miliardi di dollari per la realizzazione di un programma nucleare a scopo civile senza arricchimento dell’uranio; dall’altra, venerdì l’inquilino della Casa Bianca non ha escluso nuovi bombardamenti contro i siti atomici della Repubblica islamica, in caso l’uranio venisse arricchito a livelli preoccupanti.Certo, l’Iran sta cercando di fare sfoggio di unità. Ieri, scandendo gli slogan «morte all’America» e «morte a Israele», il regime khomeinista ha celebrato solennemente i funerali dei comandanti, degli scienziati nucleari e dei civili rimasti uccisi durante la Guerra dei dodici giorni. Tuttavia, a ben vedere, si è trattato più che altro di una compattezza di facciata. Sembra infatti che stiano emergendo due «correnti» in concorrenza. Il ministro degli Esteri di Teheran, Abbas Araghchi, non ha chiuso del tutto la porta a una ripresa dei negoziati con Washington. «Se il presidente Trump desidera davvero raggiungere un accordo, dovrebbe mettere da parte i suoi toni irrispettosi e inaccettabili nei confronti della guida suprema iraniana, il grande ayatollah Khamenei, e smettere di ferire i suoi milioni di sinceri sostenitori», ha dichiarato, riferendosi all’accusa di ingratitudine che Trump, venerdì, aveva mosso alla guida suprema iraniana. Alcuni settori dei pasdaran sembrano invece propensi alla linea dura nei confronti di Washington e Gerusalemme. Ieri, gli Huthi, storicamente spalleggiati da Teheran, hanno infatti rivendicato il lancio di un missile balistico contro il Sud di Israele. Non è inoltre escluso che la postura severa delle Guardie della rivoluzione possa portare all’irrigidimento di un altro proxy iraniano, come Hamas. Non solo. Il vicepresidente del parlamento di Teheran, Hamid Reza Haji Babaei, ha anche annunciato che il regime khomeinista impedirà al direttore dell’Aiea, Rafael Grossi, di visitare gli impianti nucleari della Repubblica islamica: il che potrebbe irritare tanto Washington quanto Mosca. Sia Trump che Vladimir Putin sono infatti contrari alla sospensione della cooperazione tra Teheran e l’Aiea. Senza contare che, secondo quanto riferito ieri dal New York Times, i recenti attacchi israeliani e americani al sito atomico iraniano di Isfahan avrebbero distrutto attrezzature fondamentali per la metallizzazione: un processo volto alla realizzazione di bombe nucleari.Il punto è che, per Trump, la conclusione del conflitto a Gaza e l’eliminazione dell’arricchimento dell’uranio iraniano rappresentano due precondizioni essenziali per rilanciare gli Accordi di Abramo. Sia l’Arabia Saudita che la Siria potrebbero essere in procinto di normalizzare le proprie relazioni con lo Stato ebraico. Martedì, è stato lo stesso consigliere per la sicurezza nazionale israeliano, Tzachi Hanegbi, a confermare l’esistenza di contatti diretti tra Gerusalemme e Damasco in vista di una simile eventualità. Un’eventualità che, se si concretizzasse, non potrebbe non avere l’avallo della Turchia, che è il principale sponsor dell’attuale governo siriano. Il che sarebbe significativo, visto che, nel 2020, Ankara era stata particolarmente critica degli Accordi di Abramo. Il loro attuale rilancio presuppone non solo un Iran reso inoffensivo dal punto di vista nucleare, ma anche un cessate il fuoco a Gaza che permetta, in prospettiva, la ricostruzione della Striscia: ricostruzione a cui, oltre ai sauditi e agli emiratini, sono enormemente interessati, sia sul piano economico che politico, anche gli americani, gli israeliani e probabilmente i russi.Tutto questo contribuisce a spiegare il motivo per cui Trump sta contemporaneamente puntando a una tregua a Gaza e alla ripresa dei colloqui con Teheran, sebbene sul tavolo restino alcune incognite. Benjamin Netanyahu dovrà convincere l’ala destra della sua coalizione di governo: e infatti ieri sera un funzionario israeliano ha espresso scetticismo sulla tempistica auspicata dalla Casa Bianca per un cessate il fuoco nella Striscia. Tutto questo, mentre, dall’altra parte, bisognerà capire quale componente del regime khomeinista riuscirà a imporsi sull’altra. E intanto ieri Israele, con un bombardamento in Libano, ha ucciso un comandante di Hezbollah.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/tregua-in-palestina-2672496059.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="gli-orrori-prodotti-da-una-medicina-senza-etica" data-post-id="2672496059" data-published-at="1751209800" data-use-pagination="False"> Gli orrori prodotti da una medicina senza etica La scienza, se privata dell’etica, può trasformarsi in uno strumento di distruzione. La medicina, nata per curare, può diventare un apparato di tortura. Durante la Seconda guerra mondiale, all’interno del sistema concentrazionario nazista, il ruolo dei medici fu centrale non solo nel controllo della vita e della morte dei prigionieri, ma anche nella conduzione di esperimenti pseudoscientifici che violarono ogni principio etico e umano. Il caso più emblematico e agghiacciante è quello di Josef Mengele, medico ad Auschwitz-Birkenau. Mengele e tanti altri medici furono protagonisti attivi del genocidio. Uno dei loro compiti principali nei lager era la selezione: all’arrivo dei deportati, stabilivano in pochi secondi chi dovesse essere mandato alle camere a gas e chi poteva essere sfruttato come forza lavoro. Nell’estate del 1944, Mengele era responsabile sanitario dei sottocampi femminili, inclusi quelli formalmente definiti «ospedali». Laureato in medicina e antropologia, membro dell’Istituto di antropologia, ereditarietà ed eugenetica delle Ss, fu mosso, secondo alcuni storici, non tanto dal desiderio diretto di uccidere, quanto da un’ambizione scientifica smisurata: sfruttare cavie umane per produrre studi genetici che gli garantissero fama e carriera. I suoi esperimenti si concentrarono soprattutto su gemelli, bambini, persone con malformazioni fisiche, con l’obiettivo dichiarato di rafforzare la «razza ariana». Le vittime subivano operazioni senza anestesia, mutilazioni, iniezioni letali, autopsie immediate. Mengele era noto per l’aplomb cortese e la compostezza formale che rendevano ancora più disumana la sua crudeltà. Oltre a Mengele, operarono ad Auschwitz decine di altri medici criminali: Carl Clauberg, condusse esperimenti di sterilizzazione forzata nel Blocco 10, con il supporto della casa farmaceutica Schering. Dopo la guerra, tornò a esercitare fino al 1956; Horst Schumann e Eduard Wirths, sperimentarono su prigionieri vivi; August Hirt, professore di anatomia a Strasburgo, ordinò l’invio di 115 deportati per creare una collezione anatomica di ebrei; Herta Oberheuser, sperimentò su bambini; Sigmund Rascher, condusse esperimenti sulla resistenza umana a temperature estreme; Wladyslaw Dering, medico collaborazionista polacco, effettuò oltre 7.000 sterilizzazioni. Dopo la guerra esercitò liberamente come medico a Londra. Oltre cinquanta medici delle Ss operarono ad Auschwitz, spesso in collaborazione con università e industrie farmaceutiche. Finita la guerra molti di questi criminali fuggirono in Sud America e vissero indisturbati, protetti dal silenzio e dall’omertà di una parte della comunità scientifica e politica dell’epoca. La storia dei medici nei lager è una delle pagine più nere della medicina moderna. Ricordare questi crimini e la loro unicità non è solo un dovere della memoria: è un monito perenne.
Il segretario della Uil Pierpaolo Bombardieri (Ansa)