Forse l’anti-Meloni lo hanno trovato, è una bomba; è il supersindacalista Sigfrido Ranucci alla testa di pensionati (tale è il 47% degli iscritti alla Cgil) e magistrati uniti nella lotta. Dice ai 200.000 - tanti ne stima la Cgil – che hanno sfilato ieri a Roma: «Vi ringrazio perché avete messo in agenda la difesa della libertà di stampa: significa poter spiegare perché 6 milioni di italiani non possono curarsi, perché quasi 6 milioni di persone sono sulla soglia di povertà». Tutto studiato visto che i temi della mobilitazione erano: l’aumento di salari e pensioni, investimenti nella sanità e nella scuola, riforma fiscale, per dire no a precarietà e riarmo. Maurizio Landini, invitando mister Report, ha rischiato che l’ospite d’onore gli rubasse la scena. Scandisce Landini dal palco di piazza San Giovanni - la piazza rossa per antonomasia - «Abbiamo invitato Sigfrido Ranucci per esprimergli la nostra solidarietà: siamo di fronte a un attacco alla libertà di stampa, alla libertà di lavorare, alla magistratura, la nostra manifestazione l’abbiamo chiamata “Democrazia al lavoro” perché pensiamo che c’è una crisi della democrazia e la democrazia si difende praticandola». Ma Sigrifido Ranucci è andato anche all’Associazione nazionale magistrati; lo hanno accolto per quello che è: una star. Magari domani un eventuale diffamato da Report che prendesse torto potrebbe dubitare che la legge sia davvero eguale per tutti, ma sono quisquiglie. Così a Landini per riguadagnare il centro della scena non è rimasto che rilanciare: è possibile uno sciopero generale contro la legge di bilancio. Esaurita la spinta propulsiva della Palestina – gli sta cerando qualche problema la perdurante violenza delle manifestazioni pro-Pal come venerdì a Roma, come ieri a Torino – il capo della Cgil deve trovare un altro modo per pigliarsela col governo di Giorgia Meloni. Così dalla testa del corteo annuncia: «Vogliamo dimostrare che c’è una parte molto importante del Paese che scende in piazza e chiede cambiamenti; se non saremo ascoltati e non sarà modificata radicalmente una legge che consideriamo sbagliata, non escludiamo assolutamente nulla. Di sicuro non finisce qui la nostra mobilitazione, se le cose non cambiano». Non devono però averlo avvertito che a pensarla così è da solo. Non lo segue più neppure la Uil di Pierpaolo Bombardieri che lo aveva accompagnato per un pezzo di strada. La Uil ha detto: «Nel confronto con il governo siamo soddisfatti intanto per il metodo». Daniela Fumarola della Cisl sulla legge di bilancio dà un giudizio «complessivamente positivo». In piazza Maurizio Landini ha barattato l’unità sindacale con l’idea di mettersi alla testa dell’opposizione a Meloni, forse per una lotta interna al Pd. Oggi la Cgil invece di tenere unite le rappresentanze dei lavoratori fa a gara con i sindacati di base che, in nome dell’antagonismo, hanno già proclamato con le sigle Usb e Cub lo sciopero generale del 28 novembre. Sembra che il capo della Cgil sia stato contagiato dalla vetusta sindrome del Pci: nessun nemico a sinistra. E ripropone sulla legge di bilancio lo stesso schema che ha usato per accattivarsi i pro-Pal. Che quella della Cgil sia una posizione a prescindere lo si capisce da questa affermazione di Landini: «Fratelli d’Italia festeggia i tre anni di governo Meloni, ecco non c’è proprio niente da festeggiare. Quelli che non festeggiano sono quelli che sono qua in piazza», aggiunge, «perché in questi tre anni la loro condizione di vita e di lavoro è peggiorata, perché chi lavora è sempre più povero e chi è ricco è sempre più ricco». Dal palco il segretario della Cgil sfotte il ministro Matteo Salvini: «Salvini dice che parlo da ministro di un governo Schlein? No, è lui che non parla da ministro; io faccio il sindacalista, lui è anche vicepresidente del Consiglio e ha vinto le elezioni dicendo che avrebbe cambiato la “Fornero” e invece l’Italia è il Paese con l’età pensionabile più alta di tutta Europa e con i giovani precari e senza un futuro previdenziale». Così il confronto dentro il Governo per Landini diventa «un teatrino» perché «sono tutti d’accordo sul non aumentare i salari, sul non cancellare la precarietà, sul far pagare le tasse a lavoratori e pensionati, nel non eliminare il fiscal drag. Sono tutti d’accordo quando non aumentano i soldi per la sanità e nel fare i condoni». E poi l’attacco politico: «Ci sono cose nuove, che vengono dal Paese, dal basso, dal popolo, e c’è chi non le vuole vedere anzi, c’è chi demonizza chi scende in piazza perché ha paura della democrazia». La delegazione del Pd - messa un po’ all’angolo e composta da Marta Bonafoni, Andrea Casu, Annalisa Corrado, Gianni Cuperlo, Alfredo D'Attorre, Arturo Scotto e Nicola Zingaretti, annuisce. Nicola Fratoianni (Avs) s’entusiasma: «Siamo qui per ricordare alla Meloni che oltre al suo Paese dei balocchi c’è il Paese reale dove il costo della vita cresce senza sosta e gli stipendi sono fermi da trent'anni». La Meloni è a Palazzo Chigi da soli tre, ma ricordarlo oggi a Landini e Fratoianni pare brutto.
Giorgia Meloni apre a qualche modifica sull’anticipo pensionistico di Opzione donna, ma per la premier il cuneo fiscale per il momento non si tocca perché la coperta delle risorse a disposizione è troppo corta per ulteriori tagli alle imposte che gravano su imprese e lavoratori. Quanto al limite di 60 euro al Pos, si può discutere ma in sede Ue. Mentre la manovra verrà esaminata dall’Aula di Montecitorio dal 20 dicembre, in vista del via libera definitivo da parte del Senato atteso tra Natale e il 31 dicembre. Nel frattempo, la piazza è destinata a surriscaldarsi perché ieri l’incontro a Palazzo Chigi tra il presidente del Consiglio, Cgil, Cisl, Uil e Ugl non ha accorciato le distanze. Anzi, Cgil e Uil hanno già annunciato proteste e scioperi.
«Per cambiare una legge di bilancio sbagliata e contro il lavoro, per rivendicare una legge di bilancio più giusta per le persone e più utile per il Paese, la Cgil promuove dal 12 al 16 dicembre, insieme alla Uil, una serie di manifestazioni e scioperi organizzati a livello regionale», si legge in una nota della confederazione guidata da Maurizio Landini che fa l’elenco delle richieste. Dall’aumento dei salari detassando gli aumenti dei contratti nazionali alla tassazione degli extraprofitti che generi risorse per un contributo straordinario di solidarietà, passando per la rivalutazione delle pensioni. «L’85% dei lavoratori nel nostro Paese vive con meno di 35.000 euro lordi l’anno e su questo siamo a quello che già c’era, poco più», ha attaccato Landini , spiegando di aver posto anche un problema sul fisco perché c’è bisogno di più lotta all’evasione e di una vera riforma fiscale. La logica della flat tax, secondo il segretario della Cgil, sarebbe «sbagliata e non fa che aumentare le differenze e aumentare il carico sui lavoratori dipendenti senza dare diritti agli altri». La prima regione a mobilitarsi sarà la Calabria con lo sciopero e la manifestazione in programma per lunedì 12, martedì 13 sarà la volta della Sicilia e dell’Umbria dove terrà un comizio lo stesso Landini. La Puglia sciopererà giovedì 14 dicembre e lo stesso giorno si terranno mobilitazioni anche in Trentino, Valle d’Aosta e Veneto. Giovedì 15 dicembre incroceranno le braccia le lavoratrici e i lavoratori di Abruzzo, Marche e Piemonte. Venerdì 16 dicembre scenderanno in piazza tutte le altre regioni: Alto Adige, Basilicata, Campania, Emilia Romagna, Friuli, Liguria, Lombardia, Molise, Sardegna, Toscana e Lazio. Landini concluderà con la manifestazione che si terrà sempre venerdì 16 a Roma.
Nel corso del confronto di ieri durato oltre un’ora con i sindacati la Meloni ha però ribadito che le risorse della manovra di bilancio sono limitate. «La nostra intenzione è quella di fare di più, ma dobbiamo confrontarci con margini di spesa ridotti», ha spiegato alle parti sociali. Sottolineando che «spetta al governo la responsabilità di fare delle scelte» di emergenza «e se mettessimo in fila tutte le richieste non ci sarebbero le risorse per fare tutto». La Meloni ha poi assicurato che la flat tax «non introduce alcun discrimine e non penalizza i lavoratori dipendenti», mentre sul fronte del voucher ha spiegato che «non deve diventare uno strumento per sottopagare i lavoratori». Il tema è molto delicato e l’esecutivo si è riservato un ulteriore approfondimento e un supplemento di riflessione. Quanto, infine, al capitolo sull’indicizzazione delle pensioni «ci riserviamo un ulteriore valutazione sulle soglie. Difendiamo le scelte fatte perché abbiamo deciso di aiutare chi non ce la faceva», ha precisato ai sindacati. Che però hanno confermato il giudizio negativo sulla manovra lamentando di non aver ricevuto le risposte che si attendevano su salari e lavoro. «Non c’è stata alcuna risposta all’emergenza dei salari e delle pensioni, né un intervento sul cuneo fiscale. E quanto ai confronti tematici che saranno avviati dai ministeri il prossimo gennaio, il 16 sulla salute e sicurezza e il 19 sulle pensioni, dico che con i tavoli non si pagano le bollette né si mangia», ha detto il leader Uil, Pierpaolo Bombardieri. Più morbida la Cisl, che ha parlato di «grande disponibilità del governo».
La manovra ieri è stata anche al centro di un vertice di maggioranza che si è tenuto nella mattinata a Palazzo Chigi. Al tavolo erano presenti il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, i capigruppo di maggioranza e i ministri dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, delle Infrastrutture, Matteo Salvini, e delle Riforme, Maria Elisabetta Alberti Casellati. La palla passa adesso al Parlamento dove verranno discussi i 3.104 emendamenti al ddl Bilancio che sono stati depositati ieri nella commissione Bilancio della Camera entro i termini previsti. La maggioranza ne ha presentati 617 (Forza Italia 136, Fratelli d’Italia 285, Lega 151, Noi moderati 45). Le opposizioni propongono 2.480 modifiche (957 dal Pd, 772 dal M5s, 191 da Alleanza verdi e sinistra, 311 da Azione Italia viva, 23 dal gruppo misto, 93 da Misto +Europa, 133 dalle minoranze linguistiche). Dalle commissioni ne sono infine giunti 7. Ora si apre un’altra partita che è quella di decidere, da qui a domenica, quali di questi emendamenti verranno sottoposti al voto dell’Aula e quali invece no. Una scrematura complicata su cui si dovrà trovare la quadra sia all’interno della maggioranza, sia tra le forze di opposizione.




