Non c'era nessun drone sull'aeroporto di Londra, ma i danni ammontano a oltre un milione di sterline. I presunti avvistamenti di droni che hanno paralizzato per due giorni l'aeroporto inglese di Gatwick prima di Natale e per qualche ora quello di Heathrow l'otto gennaio, dimostrano ancora una volta come impreparazione, panico e ignoranza possano fare danni quanto un attentato. Di più, le reazioni sproporzionate e a dir poco sclerotiche delle autorità inglesi e dei media hanno aggravato una situazione che in realtà non vedeva alcun pericolo per il traffico degli aeroporti. Il punto era, invece, prendersi la responsabilità di dichiarare che di droni non ce n'era neppure l'ombra.
Ma una possibile collisione tra aeromobili e droni oggi è l'incubo sul quale la società spende soldi per la ricerca e la costruzione di sistemi di contrasto, emette normative stringenti e amplifica notizie fino a dare del fenomeno una visione distorta e irreale.
Nonostante allarmi raramente concretizzati e incidenti finora mai accaduti non esiste più confine tra la sicurezza intesa come "security", fatta di regole e controlli, e quella definita come "Safety", creata da prevenzione, educazione all'uso di questi oggetti e da una corretta informazione.
Così la gravità di quanto successo a Gatwick e Heathrow rischia di non essere compresa. Cominciamo con il dire che Elaine Kirk (54 anni) e suo marito Paul Gait (47), arrestati come sospetti, nulla avevano a che fare con l'episodio. Sbattuti dentro e poi liberati, sono stati apostrofati come deficienti dall'opinione pubblica e da redattori assetati di scoop che hanno rubato le loro fotografie dai profili social e li hanno sbattuti in pagina con il titolo: «Sono questi idioti che hanno rovinato il Natale?"» Motivo dell'arresto: nel baule dell'auto di Paul c'era un elicottero radiocomandato che l'uomo ama far volare nel weekend, ma rigorosamente nelle apposite aree. I danni alla casa subiti per le perquisizioni, i due inglesi li chiederanno tramite il loro avvocato, mentre l'aver messo a terra 140.000 persone cancellando oltre 1.000 voli porterà alla determinazione di un costo di qualche milione di sterline che non si sa ancora a chi far pagare. I passeggeri coinvolti si aspettano dei risarcimenti, nonostante la Civil Aviation Authority abbia dichiarato che l'incidente si è verificato in circostanze straordinarie al di fuori del controllo delle compagnie aeree e per questo non è previsto alcun compenso.
Le tre compagnie aeree che si sono viste fermare sono Norwegian, British Airways e EasyJet, che non hanno ancora rilasciato una stima delle entrate perse ma che intendono capire a chi addossare la colpa del disastro. Soltanto EasyJet, che gestisce il 40% dei voli giornalieri da Gatwick, avrebbe perso circa 1,58 milioni di sterline ogni 24 ore, ma è una cifra che nasce dal tempo in cui il vettore è stato fermato, in un momento che il mercato lo porta a incassare circa 578 milioni l'anno. Gli altri vettori non hanno ancora rilasciato stime ma non mancheranno di chiedere al gestore aeroportuale come intende affrontare altri casi simili che dovessero capitare, stante l'impreparazione dimostrata. Negozi e i ristoranti hanno invece fatto i conti e stimano che il totale delle entrate perse sarebbe superiore al milione di sterline, mentre ancora si attende la conta da parte degli operatori dei trasporti su rotaia e gomma.
È bastato che un paio di dipendenti dell'aeroporto londinese credessero di aver visto qualcosa in volo per fermare il traffico. Se a Gatwick e a Heathrow ci fosse stato davvero un drone, arrivare a dover schierare militari con sistemi da guerra elettronica ha mostrato che l'aviazione civile e soprattutto le gestioni aeroportuali non sono preparate a un vero eventuale tentativo di atto terroristico che si voglia compiere usando mezzi come questi in vendita in qualsiasi grande magazzino. Se ci fosse stato davvero un criminale in giro con un radiocomando, la polizia e le forze di sicurezza inglesi avrebbero dovuto sapere come individuarlo e neutralizzare la minaccia. Incredibile, invece, che reparti di sicurezza addestrati contro i terroristi abbiano cercato nei militari una collaborazione che si è comunque rivelata sterile.
La verità è che i droni, nonostante salvino la vita di chi si perde nei boschi e aiutino nel lavoro, incutono timore e fanno pensare a situazioni catastrofiche che però da nessuna parte nel mondo pacificato si sono finora concretizzate. La psicosi ormai è tale che coinvolge in primis gli equipaggi, come accaduto il 21 settembre scorso al volo Porter Airlines con 54 passeggeri a bordo, partito da Ottawa, Canada. Durante l'avvicinamento all'aeroporto Bishop di Toronto, nonostante fosse ancora a 2.700 metri di quota, un po' troppo in alto per trovarsi davanti un piccolo drone, il comandante, credendo di vedere un tale oggetto in rotta di collisione ha effettuato una manovra di scampo che ha causato il ferimento di due assistenti di volo. Mentre un vero incidente accadde nell'ottobre 2016 a un piccolo aeromobile, la cui ala fu danneggiata per lo scontro contro un quadricottero di circa due chili, i cui resti furono invece ritrovati. Da anni il settore di droni è regolato in ogni nazione evoluta, le limitazioni all'utilizzo di quelli ricreativi sono definite e conosciute. Eppure queste macchine sono divenute lo spauracchio delle security e un alibi per le associazioni dei piloti. Chissà che la decisione del governo May di imporre la registrazione degli Apr raffreddi gli animi. Ma una cosa è certa, chi ha urlato "Al drone! Al drone!" adesso dovrebbe rispondere dei danni che ha causato.
Nel 2018 in Italia acquistati oltre 126.000 droni: 6.000 i brevetti rilasciati
In Italia, oltre a valere il regolamento europeo emesso da Easa, è in vigore quello nazionale dal 2014, ed esiste anche un elenco pubblico costantemente aggiornato dall'Enac nel quale appaiono i circa 10.000 droni registrati dagli operatori italiani. I piloti che intendono lavorare con i velivoli a pilotaggio remoto devono conseguire un attestato (una sorta di brevetto) e attualmente ne sono già stati rilasciati quasi 6.000. Il numero è alto, ma soltanto una minoranza delle persone così qualificate, circa il 20%, ha fatto delle operazioni specializzate con i droni la sua professione esclusiva vivendo di operazioni specializzate nel campo delle ispezioni e dei rilevamenti, della fotogrammetria o dell'agricoltura di precisione. Molti conseguono l'attestato per volare da hobbysti ma informati sulle regole. Secondo il mensile Dronezine, nei grandi magazzini le vendite 2017 hanno contato 86.000 unità vendute (dai micro droni giocattolo fino a quelli usabili anche per uso professionale), cifra che nel 2018 è salita a 126.000 esemplari. In tutto, dai primi tipi apparsi nelle vetrine quasi una decina d'anni fa, si stima che in Italia siano stati finora venduti oltre 500.000 droni, ma che che oltre la metà non sia più in condizioni di volare perché danneggiati nell'uso ludico.
Nonostante qualche turista sprovveduto e pochi altri episodi accaduti nelle piazze italiane di Milano, Venezia, Firenze e Roma, eventi che hanno comunque portato a denunce e multe secondo quanto previsto dalla legge, i divieti di volo attorno alle aree aeroportuali sembrano essere finora rispettati. Non mancano gli avvistamenti da parte di piloti di velivoli ed elicotteri, come peraltro riportato dall'Agenzia Nazionale per la Sicurezza del Volo, ma finora è sempre stato impossibile dimostrare con i fatti l'effettiva situazione di mancata collisione o eccessiva vicinanza tra aeromobili pilotati e non. E in qualche caso gli allarmi si sono dimostrati inesistenti o non generati dai droni. Impossibile escludere al 100% che possano accadere incidenti, ma evidentemente le regole, se rispettate, funzionano in Italia come negli Usa, dove gli esemplari registrati sono quasi un milione.
La maggior parte dei velivoli è made in China
GiphyIl mercato mondiale dei droni per uso ludico è dominato dai produttori cinesi che capitalizzano il 75% delle vendite globali. Queste oggi sfiorano la cifra 9 miliardi di dollari e secondo gli analisti del settore nel 2021 saranno superati i 12 miliardi di giro d'affari. Oggi il segmento dei prodotti destinati al settore consumer rappresenta il 31,5% del totale e crescerà di circa il 6% nel prossimo biennio, mentre per il segmento professionale e commerciale è prevista una crescita ben più alta, del 51% con quasi un milione di unità che entreranno in servizio. Si pensi che in Rwanda i velivoli a pilotaggio remoto recapitano nelle aree remote oltre la metà del sangue destinato alle trasfusioni.
Un rapido aumento è in corso anche per il settore agricoltura, che vede già un giro d'affari di 32 miliardi. Dunque pensare di arrestare un fenomeno destinato a soppiantare una buona fetta del mercato del lavoro aereo e a concretizzare il trasporto automatizzato di merci sarebbe folle, tanto vale imparare a convivere con questi nuovi attori dello spazio aereo investendo su tutti i fronti: dalla formazione dei piloti come sull'informazione volta alla sicurezza. L'Europa, che da qualche mese ha un regolamento comunitario per disciplinarne costruzione e utilizzo, sta investendo da diversi anni grandi capitali con i programmi Jarus e UTM, destinati a realizzare l'armonizzazione del traffico aereo tra velivoli convenzionali e quelli pilotati da remoto o automatizzati. Questo tuttavia non potrà fermare i terroristi come non fermerà gli stupidi, ed è per questa ragione che è necessario saper comprendere se c'è un drone in volo in un'area sensibile senza affidarsi ai presunti avvistamenti come accaduto a Londra. Temi, questi, al centro del prossimo salone Dronitaly dedicato al settore, che si svolgerà a Milano il 4 e 5 aprile.