2021-05-12
La strategia della tensione di Erdogan: pesca e immigrati per isolare l’Italia
Dagli attacchi alle nostre barche al caos migratorio: dietro alle recenti turbolenze c'è sempre il leader turco che non molla la Libia. Riunita cabina di regia a Chigi ma sarà decisiva la visita del premier Adbul Mohammed Dbeibah a Roma.Il Michele Giacalone messo nel mirino dai motopesca turchi mentre si trovava in acque internazionali tra Cipro e la Siria.Lo speciale contiene due articoli. Praticamente fatta. Il nuovo governo di Tripoli, guidato da Abdul Mohammed Dbeibah e destinato a portare la Libia alle elezioni, sembrava pronto ad accogliere a braccia aperte gli italiani. Merito della spinta Usa e della visita di Draghi. Ora l'esecutivo tripolino è spaccato: guarda a Nord perché aspetta segnali rassicuranti sugli investimenti e sul ripristino dello storico accordo firmato nel 2008 tra Gheddafi e Berlusconi, ma al tempo stesso guarda a Est dove le lusinghe di denaro e collaborazione sono molto più concrete. La Turchia non solo non vuol saperne di abbandonare il deserto della Cirenaica, ma ha deciso di alzare i toni e spostare la tensione lungo il Mediterraneo destinando al nostro Paese il maggior gradiente di destabilizzazione. È infatti l'Italia la sola nazione che in questo momento (l'ha detto chiaro Mario Draghi usando per Erdogan l'appellativo di dittatore) punta a indebolire gli storici rapporti di Ankara con l'Ue tramite Berlino. Una operazione complessa perché cade dall'alto e deve fare i conti con le tre facce della Turchia: quella dell'alleato Nato e quella dell'avversario sul terreno libico e quella del partner sull'immigrazione. Tant'è che Erdogan parte da quest'ultimo ruolo per riaffermare la propria volontà di creare l'impero blu. I rapporti consolidati nell'ultimo anno e mezzo con la Guardia costiera libica permettono ai turchi di contribuire alla gestione dei flussi migratori, dirottano con maggiore intensità i barconi verso il nostro Paese e al tempo stesso alleggeriscono la direzione spagnola e quella greca. Ankara sa bene che in questi giorni si tratta per rinnovare l'accordo con Bruxelles da almeno 6 miliardi. A Berlino fa comodo perché risolve la questione della rotta balcanica e a Erdogan consente di avere sempre tra le mani un rubinetto da aprire e chiudere. Gli consente anche di evitare le accuse di Draghi. Giusto ieri i rappresentanti di Ue e Unhcr elogiavano la Turchia quale Paese che più si dà da fare per accogliere i migranti. Quale dittatore lo farebbe? In un mondo come quello europeo che vive di facciata bastano due dichiarazioni ufficiali per rifarsi l'immagine e basta una sterzata nei luoghi giusti per rimettere in crisi il nostro Paese. Erdogan sa che il trattato di Malta è solo fuffa. Ma la strategia della tensione si misura anche nel contenzioso del mare. I nostri pescherecci, che dovrebbero comunque evitare di prestare il fianco, sono finiti nel mirino delle mitragliatrici libiche e, ieri al largo di Cipro, vittime dell'assalto di altre navi turche. Lì è intervenuta la nostra Marina e la Guardia costiera turca. Ciascuno ha cercato di allontanare i propri connazionali. Il tutto è avvenuto sotto l'egida dell'operazione «Sea guardian» con bandiera Nato. Eppure ciò non deve trarre in inganno, fa parte delle varie facce del Sultano. Un fatto che deve essere molto chiaro dalle parti di Palazzo Chigi. Lo si comprende da come viene gestita la nascente cabina di regia sull'immigrazione. Ieri si sono incontrati i titolari di Interno, Esteri, Trasporti e Difesa. Nessuno ha comunicato. Non tanto perché non si siano prese decisioni in merito. Ma perché la strategia passa per Chigi dove l'opzione Malta 2 non è presa tanto sul serio. Primo perché sarebbe un accordo facoltativo e quindi totalmente aleatorio. Secondo perché finirebbe con l'aiutare il nostro avversario principale. La Turchia infatti avrebbe maggior gioco per chiudere l'accordo con Bruxelles. Per questo bisogna ripartire dalla Libia. Il governo Dbeibah è più diviso e sebbene continui a guardare a Roma con interesse non vede all'orizzonte contratti e attività concrete. Ci sono sempre spinte che indicano per il nostro Paese la possibilità di tornare leader del Sud del Mediterraneo. La diplomazia di Tripoli sta organizzando un imminente viaggio per a Roma. Dbeibahsarebbe disposto a prender l'area ma ancora non è prevista né l'agenda né i contenuti dell'incontro. D'altronde se fino a poco tempo fa gli interlocutori erano pochi, adesso c'è la fila. La guerra è chiaramente arrivata ai capitoli finali e quindi sempre più nazioni puntano a tornare in Libia e a dire la propria nel Maghreb. «I Paesi dell'Ue e dell'Africa del Nord hanno concordato sulla necessità di promuovere la migrazione legale, e di unire gli sforzi per combattere contro il traffico di esseri umani ed i network criminali», ha spiegato ieri il ministro dell'Interno portoghese, Eduardo Cabrita, al termine della Conferenza sulla gestione dei flussi migratori, a cui hanno partecipato anche la commissaria europea, Ylva Johansson, ed il vicepresidente, Margaritis Schinas. Alla riunione - una delle iniziative principali della presidenza di turno portoghese sul tema della migrazione - hanno preso parte i ministri dell'Interno degli Stati membri dell'Ue, oltre ai rappresentanti di Libia, Algeria, Egitto, Mauritania, Marocco, Niger, Senegal e Tunisia. Alle spalle di queste iniziative di facciata ci sono invece i veri interventi militari che mirano a controllare i confini pieni di buchi del Sahara. La presenza dei soldati italiani, francesi e tedeschi serve a creare un cuscinetto di sicurezza e al tempo stesso evitare che la Libia ricaschi nella guerra civile. Se però i libici restano a Bengasi e Tripoli anche i russi rimarranno sul territorio. Per l'Italia è un gioco a incastro millimetrico. Che cade anche in un momento difficile per la nostra intelligence. Ieri il numero uno del Dis è stato sentito dal Copasir sul rischio per i pescherecci ma l'audizione si incrociata con il caso sollevato da Report sull'incontro tra Renzi e Mancini . Il tutto mentre al Copasir manca un equilibrio istituzionale e a breve i vertici dello stesso Dis e dell'Aisi potrebbero cambiare.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/strategia-tensione-erdogan-isolare-italia-2652953312.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="peschereccio-italiano-preso-a-sassate-negli-ultimi-10-giorni-gia-tre-attacchi" data-post-id="2652953312" data-published-at="1620760161" data-use-pagination="False"> Peschereccio italiano preso a sassate. Negli ultimi 10 giorni già tre attacchi Ufficio stampa Marina Militare Ancora un assalto contro un peschereccio della marineria di Mazara del Vallo, il cui sindaco Salvatore Quinci oggi verrà ascoltato dalla commissione Esteri della Camera in merito alla controversia tra Italia e Libia per lo sfruttamento ittico del Golfo della Sirte. Il Michele Giacalone, che ieri si trovava nelle acque tra Cipro e la Siria, è stato preso di mira da alcuni motopesca turchi con una sassaiola. L'armatore Luciano Giacalone ha raccontato all'Agi che «erano già accaduti episodi simili, ma mai di questa portata. Il peschereccio si trova in quell'area, in acque internazionali, dopo che il 3 maggio scorso aveva subito un tentativo di abbordaggio da parte dei libici». In quell'occasione il Michele Giacalone e altri otto pescherecci erano stati vittima di un tentativo di abbordaggio da parte degli uomini fedeli a Khalifa Haftar a circa 40 miglia di Bengasi. Tra questi otto c'era anche l'Aliseo, che qualche giorno dopo è stato mitragliato da 35 miglia da Misurata dalla Guardia costiera libica. La Marina militare ha ricostruito l'accaduto in una nota. Ieri, alle ore 10.10 circa, nelle acque a Nord di Cipro, «si è verificata un'interazione tra un imprecisato numero di pescherecci turchi e due pescherecci nazionali». Cioè il Michele Giacalone e il San Giorgio primo. «I pescherecci turchi hanno lanciato materiali (pietre e fumogeni) e realizzato manovre cinematiche ravvicinate (una delle quali è sfociata in un contatto con il motopesca Giacalone, che ha riportato danni lievi)», si legge ancora. Nell'area sono intervenute la fregata Margottini, che ha lanciato il proprio elicottero, e una motovedetta della Guardia costiera turca, «che ha ingaggiato le imbarcazioni turche per indurle a cessare l'azione». Nave Margottini ha ingaggiato i nostri pescherecci inducendoli ad allontanarsi precauzionalmente: questi hanno comunicato l'intenzione di ricongiungersi a un altro gruppo di motopesca nazionali operanti sei miglia più a Ovest. Gli interventi della Guardia costiera turca e della Marina militare italiana «sono stati chiaramente di natura deescalatoria e hanno consentito di ripristinare il controllo della situazione», conclude la nota della Marina. È tornata a farsi sentire anche Coldiretti Impresapesca, dopo gli interventi in seguito alle tensioni dei giorni scorsi nelle acque che la Libia ha unilateralmente dichiarato di sua competenza e che l'Italia ritiene ad alto rischio: «Occorre assicurare la sicurezza dei pescatori italiani e porre fine al far west che ha causato aggressioni, ferimenti e sequestri portando al dimezzamento della flotta siciliana di Mazara del Vallo nel giro di 10 anni». «I nostri pescatori non riescono più a lavorare», ha raccontato invece il presidente del Distretto della pesca di Mazara del Vallo, Nino Carlino, all'agenzia Dire. «Abbiamo interessato le massime istituzioni dello Stato per cercare di trovare una soluzione. I nostri natanti vanno in mare per la pesca del gambero rosso, attività svolta soltanto dalla marineria mazarese e che richiede fondali pari a 400-600 metri, con particolari caratteristiche. Un unicum nel Mediterraneo e così», ha spiegato ancora Carlino, «sono costretti a spaziare in tratti di mare dove possono trovare questo tipo di prodotto molto ricercato nel mondo». Il caso di ieri si somma a quelli della scorsa settimana. E riaccendo lo sconforto dei pescatori. «Siamo rovinati, non possiamo andare avanti così», ha dichiarato all'Adnkronos l'armatore Giacalone. «In qualunque area andiamo ci cacciano. Chiediamo che le istituzioni si diano da fare per fare un accordo soprattutto con la Libia e mettano le barche di Mazara nelle condizioni di poter lavorare». Ieri Repubblica raccontava che il governo Draghi sta chiedendo «aiuti di Bruxelles a Tripoli per fermare le partenze e l'ingerenza» della Turchia di Recep Tayyip Erdogan. Quello degli sbarchi, dunque, non è l'unico tema che preoccupa Roma quando guarda a Tripoli e ad Ankara. Lo dimostrano gli ultimi fatti. Tanto che pochi giorni fa Luigi Di Maio, ministro degli Esteri, spiegava a La7 che il governo sta lavorando a un accordo con la Libia sulla pesca: «Ma non voglio dare illusioni», aveva detto riferendosi al fatto che la Libia è un Paese ancora instabile. Secondo quanto rivelato dall'agenzia Nova, l'idea è quella di creare una compagnia mista che possa consentire agli italiani di pescare nelle acque rivendicate dai libici e poi garantire una quota del pescato con accordi precostituiti. Altrimenti, il rischio è quello di una vera e proprio guerra del pesce, con la Marina chiama a difendere le imbarcazioni italiane. Qualcosa, comunque, di assai remoto, visto che una mossa simile non farebbe che alimentare le tensioni con la Guardia costiera libica. L'Italia, dunque, scommette su un patto con Tripoli, il Paese teatro del primo viaggio all'estero di Mario Draghi da quando è diventato presidente del Consiglio. Per proteggere i pescatori, certo. Ma anche per riconquistare terreno politico nei confronti della Turchia, che è il primo sponsor di Tripoli con cui nel 2019 aveva firmato un accordo sulla delimitazione delle rispettive Zone economiche esclusive. Quell'intesa fu percepita a Bruxelles come «anti Ue» e fu una delle diverse mosse ostili di Ankara nel Mediterraneo.