2025-05-01
Scambio Stm-Fincantieri. Pd fregato due volte
Pier Carlo Padoan (Imagoeconomica)
Salta per la seconda volta la nomina di Marcello Sala (che esce dal Tesoro e va in Nexi) nel consiglio dell’azienda di microchip. I mali partono nel 2018, quando il governo dem accettò la nomina di un francese in cambio di un sì ai cantieri Stx. Che non arrivò mai.Non c’è pace per StMicroelectronics, gioiellino dei semiconduttori. Martedì sera si è tenuto l’advisory board della società partecipata da Italia e Francia. Obiettivo? Ritentare la nomina di Marcello Sala nel comitato di sorveglianza composto da 9 membri dopo che a marzo la nomina era stata bocciata per il veto della componente francese. Nemmeno il secondo tentativo è andato in porto. Non solo. I vertici hanno anche respinto di portare la nomina nella prossima assemblea degli azionisti. Ieri, un comunicato del Mef ha segnalato che il capo dipartimento dell’economia del Mef lascia per prendere incarico nel cda di Nexi. Al suo posto Francesco Soro. Il responsabile della partecipata era già dato in uscita, ma non è certo da escludere che l’impasse su Stm abbia dato un colpo di accelerazione. Qualche pasticcio c’è stato, sicuramente. È evidente che oltre alla crisi dello stabilimento di Agrate c’è un tema di governance che il governo non riesce a girare a favore dell’Italia. Ma incolpare l’attuale esecutivo è un esercizio miope e poco corretto perché le cause della attuale crisi e il potere eccessivo dell’ad francese Jean Marc Chery vengono da lontano. Tra la fine del 2017 e il maggio del 2018. All’epoca l’azienda, che nasce negli anni Ottanta dalla fusione di Sgs e la francese Thomson, veniva da due lunghi periodi amministrati da italiani. Il primo era Pasquale Pistorio , che fu il fautore di quello che è stato per anni un piccolo miracolo. Riuscì a portare il gruppo sul mercato dei capitali stranieri (soprattutto americani) nonostante la diffidenza intrinseca dei fondi verso azienda partecipata da governi. Il secondo amministratore (dal 2005 al 2018) è stato Carlo Bozotti. Il particolare modello di governance dell’azienda con un consiglio di sorveglianza a 9 (tre francesi, tre italiani e tre indipendenti) lasciava all’ad grandi poteri di autonomia, ma era stato costruito su misure per la taglia dei due precedenti ad. Così, quando sotto il governo di Paolo Gentiloni con ministro Pier Carlo Padoan e consigliere Fabrizio Pagani si trattò di decidere per la discontinuità, i politici italiani accettarono di buon grado la nomina di Chery. Nonostante i numeri della divisione gestita fino ad allora dal manager francese indicassero risultati tutt’altro che buoni. Era general manager del settore Embedded processing solution (circa un terzo dei ricavi di Stm) e solo nel triennio 2013-2016 aveva accumulato perdite per circa 630 milioni di euro con un calo dei ricavi intorno al 35%. Anche la controparte francese decise per una figura non proprio di spicco. Forse perché più malleabile all’ascolto della politica rispetto ai suoi due predecessori. A spingere fu l’ex capo di gabinetto dell’Eliseo Alexis Kholer finito poi in Soc Gen e indagato nelle sue funzioni pubbliche per una vicenda legata all’armatore Aponte collegata a un’altra partita tra Francia e Italia. La tentata scalata dei cantieri dell’Atlantique da parte di Fincantieri. Il dettaglio non è irrilevante. Perché nello stesso periodo in cui si accendeva il semaforo verde per Chery si giocava la partita di Giuseppe Bono sulla cantieristica francese. Le due vicende furono messe su due piatti della bilancia da Parigi e Roma. La trattativa gestita in prima persona da Pagani (che poi si è trasferito in pianta stabile a Parigi prima con un incarico in Muzinich e che dal 2020 insegna a Science Po) consacrò lo scambio. Stm a guida francese e Stx (i cantieri) agli italiani. Con il risultato che dalla seconda metà del 2018 il governo parigino si rimangia l’accordo e poi con il sostegno dell’Antitrust Ue (il cui capo di gabinetto guarda caso proveniva sempre dall’Eliseo) ha portato a seccare l’operazione nel 2021. Beffando l’Italia e fregando Fincantieri. Solo che dall’altra parte (Stm) non è andata meglio. Al momento della nomina di Chery si aprì alla revisione della governance allargando il supervisory board e dando più poteri ai consiglieri. Inoltre sul tavolo c’era anche la questione del consiglio di sorveglianza che gode di un’altra anomalia. Spetta ai 9 membri valutare l’ingresso di una new entry. Meglio se fosse l’assemblea per evitare che uno dei due Paesi scegliesse di fatto i nomi dei tre indipendenti rendendoli un po’ meno indipendenti. Il cambio della governance sarebbe dovuto scattare entro i tre anni dalla nomina di Chery. Invece non è successo nulla. Con il risultato che si è arrivati alla crisi attuale e che nessuno nel consiglio di sorveglianza è riuscito ad evitare che la fabbrica francese di fatto si mangiasse un passo alla volta la produzione di quella di Agrate. Nonostante in quel triennio l’Italia abbia versato oltre 600 milioni di euro di fondi. Le attuali promesse dell’ad su Agrate infatti sono una sorta di presa in giro. I piani attuali dovevano già essere stati realizzati. A dimostrazione che i mali dell’Italia vengono da lontani e che quando i governi di sinistra trattano con i francesi sono capaci quasi solo di perdere da un lato e farsi fregare dall’altro.
Simona Marchini (Getty Images)