Il dossier, le Pmi italiane battono la crisi: «Ma bisogna evitare l’effetto long-Covid»
2022-05-11
Verità e Affari
Per sei occupati su dieci le retribuzioni non sono adeguate al costo della vita. Non solo: le disuguaglianze aumentano soprattutto per i giovani, le donne e i migranti. E i lavoratori sono più precari e in buona parte sottopagati.
Lo riferisce il Rapporto Censis-Ugl «Tra nuove disuguaglianze e lavoro che cambia: quel che attende i lavoratori», che lancia un assist al ministro del lavoro, Andrea Orlando, sul tema della necessità di aumenti salariali. Argomento che non piace a Confindustria e che il presidente Carlo Bonomi ha bollato sostanzialmente come ricattatorio nei confronti delle imprese.
Ma i numeri del Censis parlano chiaro. Il rapporto riferisce che per il 64,3% dei lavoratori italiani (68,8 % tra operai ed esecutivi) la propria retribuzione non è adeguata al costo della vita. «Tale insoddisfazione - evidenzia l’indagine - dipende anche dal fatto che nel periodo 2010-2020 le retribuzioni lorde dei lavoratori italiani siano diminuite dell'8,3 per cento reale». Peggio dell'Italia hanno fatto solo Grecia (-16,1 per cento reale) e Spagna (-8,6 per cento reale).
L’analisi ha poi anche evidenziato un pesante conflitto generazionale e le disparità nelle retribuzioni fra uomini e donne. In particolare, secondo lo studio, i giovani fino a 29 anni guadagnano il 40 per cento in meno dei lavoratori over 55, mentre le donne hanno una busta paga più leggera (-37%) rispetto ai maschi. Il rapporto ha poi anche sottolineato un’anomalia sul fronte contratti: chi ha un lavoro a tempo determinato intasca il 32 per cento in meno di chi è a tempo indeterminato.
Per quanto riguarda, invece, le differenze geografiche, resta la questione meridionale: chi lavora nel Mezzogiorno guadagna il 28 per cento in meno di chi risiede nel Nord-Ovest. Inoltre dallo studio risulta che il 10,4 per cento dei lavoratori dipendenti è sottopagato, cioè può contare su una retribuzione mensile inferiore ai valori soglia di 953 euro per il full-time, di 533 euro per il part-time. Il 19,8% è impiegato part-time, mentre lavora da remoto il 52% degli occupati. Il 65,9% richiede formazione per la sicurezza informatica. «L’allentarsi del rapporto soggettivo con il lavoro ne ha agevolato la svalorizzazione.
Tuttavia, oggi é possibile immaginare una nuova stagione che superi le crescenti disuguaglianze, sperimentando anche modalità originali di coinvolgimento dei lavoratori nel destino delle aziende» spiega l’indagine che evidenzia l’aumento delle disuguaglianze con un mercato del lavoro sempre più duro per per giovani, donne, migranti e lavoratori meno qualificati. Nella percezione collettiva sono aumentate le disparità e il lavoro è diventato epicentro di contraddizioni.
Da un lato restano le opportunità legate al remote working e al digitale, dall'altro la precarietà che diventa una condizione strutturale di lungo periodo. Sullo sfondo le prospettive di ulteriori rincari dei prezzi per effetto della guerra in Ucraina, oltre ad altri temi spinosi come lo smantellamento delle tutele contrattuali e una crescente disuguaglianza.
Il long-Covid, ovvero l’effetto di lungo periodo, rischia di avere un impatto paragonabile al momento più acuto del Covid stesso, quando tra lockdown e chiusure era scattato l’allarme rosso sulla tenuta del sistema produttivo italiano.
È uno dei dati che emerge dall’Osservatorio sulla piccola e media impresa di Global Strategy, società internazionale di management consulting e financial advisory, realizzato prendendo in considerazione i bilanci di 55 mila aziende con un fatturato dai 5 ai 250 milioni di euro per il periodo che va dal 2019 al 2020 con la tendenza per i mesi successivi
L'ANALISI
L’elemento che emerge in modo chiaro è quanto la pandemia abbia colpito a macchia di leopardo, con settori che hanno sofferto pesantemente mentre altri che addirittura hanno visto la crescita del giro d’affari. E dunque se il settore moda fa registrare un forte calo del 17,3%, come pure in negativo ci sono i comparti dell’energia e dell’estrazione e dei prodotti in metallo abbiamo invece comparti in controtendenza come quelli dei servizi alle imprese, alimenti e bevande (sino al top delle costruzioni con una crescita a due cifre.
Se poi si entra nel dettaglio dei numeri aziendali si scopre che, a fronte di un calo medio della domanda e dei fatturati, vi sono miglioramenti per quanto riguarda il patrimonio netto e l’indebitamento. «Un dato però che non deve tranquillizzare - chiarisce Stefano Nuzzo, equity partner di Global Strategy -. I numeri positivi infatti sono per molta parte legati alla possibilità di rivalutazione degli asset e alla moratoria sui prestiti e sul fisco. In sostanza si è trattato del pacchetto di aiuti a sostegno dell’economia decisi dal governo in piena pandemia. Ma oggi questi sostegni finiscono ed i nodi vengono al pettine».
Ed eccoci quindi al long-covid. «Anche perché - aggiunge il manager - agli effetti di lungo periodo della pandemia ora si sommano l’impennata dei costi dell’energia e gli effetti della guerra in Ucraina». Da qui una diversa mappa dei settori più colpiti. «Oggi anche l’alimentare risente dei maggiori costi di approvvigionamento, come pure i comparti energivori e dell’automotive».
Ma dunque come affrontare il momento particolarmente difficile? «Intanto una premessa - risponde Nuzzo - dalla nostra indagine sui bilanci più virtuosi che abbiamo analizzato, emerge una imprenditoria estremamente resiliente». «Spesso queste aziende, pur con fatturati importanti, sono a conduzione familiare con l’imprenditore che vede nel lavoro e nello sviluppo dell’attività una ragione di vita - spiega ancora il manager -.
E dunque abbiamo visto il moltiplicarsi degli sforzi per trovare soluzioni facendo fronte alla situazione anche con i propri patrimoni personali. Non è un caso che gli investimenti, in taluni casi, non siano calati» «Ma la novità più significativa - dice ancora Nuzzo - è un salto strategico che si va imponendo. Prima di tutto l’imprenditore pianifica maggiormente sui tempi medio-lunghi. Anche sui fornitori c’è un ripensamento: acquistare troppo lontano non paga. Ma poi si è arrivati a comprendere che fare da soli non è più possibile. Se da un lato infatti, l’azienda familiare è resiliente, dall’altro le piccole dimensioni, specie in periodo di crisi, diventano un problema. Da qui l’idea di puntare ad aggregazioni».
Sta di fatto che siamo nel pieno di una tempesta perfetta di inflazione, guerra, aumento del costo delle materie prime e dell’energia, La colonna portante dell’economia italiana, ovvero la piccola e media impresa, può farcela da sola? «Le nostre aziende sono forti, lo dimostra la nostra ricerca - conclude Nuzzo - certo è importante che il piano di sostegni varato dal governo faccia davvero da volano alla ripresa dell’economia. Oggi l’impresa pensa di più al futuro. Lo deve fare alche lo Stato».
La casa è sempre al centro degli appetiti del fisco. E anche nel caso del Superbonus 110% le cose potrebbero finire male per i contribuenti, che potrebbero trovarsi con un aumento dell’Imu da pagare per l’immobile.
Non stiamo parlando delle cessioni del credito che hanno praticamente fermato molti lavori, in quanto alle banche, al momento, piacciono solo i privati che cedono il credito direttamente mentre fanno difficoltà alle imprese, ma anche di possibili variazioni di classe catastale una volta finiti i lavori. L’ipotesi ventilata fortunatamente però al momento non trova conferma in Confedilizia che segue da vicino la situazione.
Per l’associazione dei proprietari di case infatti se non vengono effettuati interventi che modificano la struttura dell’immobile, ad esempio la realizzazione di abbaini sul tetto o altri tipi di ampliamento, al momento per i soli interventi di efficientamento energetico ossia cappotto alle pareti esterne e coibentazione del tetto, non ci dovrebbero essere problemi di cambio di valori catastali, estimi e classe. Infatti, al termine di questa procedura i professioni incaricati devono chiedere solo una variazione di classe energetica, come del resto prescritto per ottenere lo sconto fiscale al 110%.
Ma se il superbonus 110 viene utilizzato per trasformare un rudere in una casa abitabile è ovvio che al termine del processo sarà necessario un nuovo accatastamento. Insomma per ora, ma la trappola è sempre in agguato anche se sarebbe probabilmente incostituzionale perché dichiarata a posteriori, non ci dovrebbero essere variazioni nell’accatastamento per le migliorie energetiche o di consolidamento strutturale con il sismabonus.
Naturalmente Confedilizia chiede al governo di fare chiarezza sul fronte dei bonus ristrutturazioni. Al momento il Superbonus è confermato al 110% per condomini e immobili bi o trifamigliari solo fino al 2023. Poi passa al 70% al 2024 e al 65% nel 2025. Per l’associazione dei proprietari sarebbe meglio avere un bonus certo strutturale e possibile per ogni tipo di immobile non solo quelli residenziali che in Italia sono oltre 31 milioni. Da sottolineare anche il motivo per cui è stato varato il Superbonus: nel 2020 serviva una misura forte per far ripartire l’economia stremata dalla pandemia.
Il Superbonus c’è riuscito. Secondo i dati dell’Agenzia delle entrate al 31 dicembre scorso le richieste di Superbonus 110 sono state pari a oltre 13 miliardi. Meglio del Superbonus 110 ha fatto il bonus facciate al 90% con quasi 14 miliardi di richieste. Ed è proprio su questa categoria di bonus che si sono concentrate il 46% di quei 4 miliardi frodati al fisco per lavori inesistenti. Il motivo è che il bonus facciate, quando è partito non richiedeva i controlli antifrode che sono stati sempre richiesti per il Superbonus 110%, per il quale, è bene sottolinearlo, le frodi si sono verificate solo nel 3% dei casi, e neanche tetti di spesa che erano invece previsti per il 110%.
Il risultato, dato che i lavori di questo tipo sono perlopiù in mano ad amministratori di condominio, è dunque stato negativo anche se, sempre secondo Confedilizia, lo stimolo all’economia è stato importante. Anche è soprattutto per via dello sconto in fattura che ha permesso a molti condomini di varare importanti lavori. Proprio lo sconto in fattura è uno dei punti che Confedilizia vorrebbe diventasse strutturale con, ovviamente tutti i controlli connessi.
Intanto, ieri si sono riaperti i termini per comunicare all’Agenzia delle Entrate la scelta dello sconto in fattura o della cessione del credito, Fino a venerdì 13 maggio, potranno essere trasmesse le comunicazioni, inviate dal 1° al 29 aprile, che sono state scartate o per le quali si sono verificati errori.
Il 2022 si apre con conti da sogno per BioNTech, l’azienda tedesca che insieme a Pfizer ha sviluppato il vaccino contro il Covid più diffuso al mondo. Il colosso di biotecnologia e biofarmaceutica ha più che triplicato ricavi e utili nei primi tre mesi del 2022 rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.
I ricavi totali sono passati da 2,048 miliardi di euro nel 2021 ai 6,374 miliardi di euro di ora, mentre l’utile netto è lievitato da 1,128 miliardi di euro a 3,699 miliardi di euro. L’utile per azione, quindi, è passato da 4,29 euro nel 2021 a 14,24 euro quest’anno. A far volare le prestazioni economiche di BioNTech sono stati, ovviamente, i vaccini e, in particolare, i grandi ordini arrivati sul finire del 2021.
IL FATTORE OMICRON
A incidere fortemente sulle partite di vaccini richieste nel mondo sono state le nuove ondate di contagi causate dal diffondersi di Omicron. L’arrivo di una variante in grado di aggirare la protezione delle due dosi ha spinto i governi a programmare una dose booster per i cittadini sul finire del 2021.
«Riteniamo che l'implementazione globale del nostro vaccino abbia probabilmente salvato milioni di vite e abbia avuto un impatto significativo sull'umanità – ha dichiarato Jens Holstein, cfo di BioNTech –. Come risultato di un aumento del volume degli ordini inizialmente piazzati alla fine del 2021 in seguito all'allora emergente variante Omicron, abbiamo iniziato l'anno 2022 con forti ricavi e utili, lasciandoci ben posizionati per raggiungere le linee guida finanziarie per il 2022 che abbiamo emesso alcuni mesi fa».
La performance finanziaria più che positiva per BioNTech, ha continuato Holstein, «ci aiuta anche a investire molto in ricerca e sviluppo negli anni a venire, alimentando il potenziale per guidare le future ondate di innovazione e crescita».
LE PREVISIONI PER IL 2022
Nel primo trimestre del 2022 BioNTech ha fatturato 750 milioni di dosi e ha firmato ordini per circa 2,4 miliardi di dosi da consegnare entro la fine dell’anno. Un numero inferiore rispetto al totale prodotto e fornito agli stati nel corso del 2021 (2,6 miliardi di dosi). Dai vaccini, quindi, l’azienda tedesca prevede di incassare dai 13 ai 17 miliardi di euro. Una previsione, anche in questo caso, al ribasso rispetto a quanto aveva incassato nel 2021: 19 miliardi di euro.
Non è un caso isolato. Anche Pfizer, azienda partner di BioNTech nella produzione dei vaccini, nelle sue previsioni per l’anno rilasciate settimana scorsa, ha considerato solo gli ordini già stipulati prevedendo per il 2022 entrate inferiori rispetto a quelle del 2021: 32 miliardi di dollari contro i 36,8 incassati l’anno scorso.
Chi invece scommette su una nuova ondata di richieste con l’arrivo dell’autunno è Moderna, che prevede vendite maggiori nella seconda metà dell’anno rispetto ai primi sei mesi.
QUARTA DOSE?
È chiaro, infatti, che a incidere sull’andamento dei conti delle big dei vaccini dipenderà l’andamento della pandemia, l’eventuale arrivo di nuove varianti in grado di superare la protezione del vaccino e, soprattutto, le scelte dei governi per un’eventuale quarta dose. In Italia, per fare un esempio, il secondo richiamo è previsto solo per over 80, per chi ha tra i 60 e i 79 anni e sia inserito nelle categorie a rischio e per fragili e immunodepressi. È chiaro che se venisse presa la decisione di allargare le platee di persone da sottoporre a una nuova vaccinazione, anche i guadagni delle case produttrici salirebbero.
VACCINO CONTRO OMICRON
BioNTech, intanto, è al lavoro con Pfizer per rilasciare una versione aggiornata del vaccino in modo che sia più efficace contro la variante Omicron, ormai dominante in tutto il mondo. «BioNTech e Pfizer stanno valutando i vaccini Covid-19», si legge nel comunicato sul sito dell’azienda tedesca, «tra cui un candidato adattato per Omicron e vaccini bivalenti diretti contro l'Omicron e altri ceppi di Sars-Cov-2».
Gli studi che le due aziende stanno portando avanti si pongono l’obiettivo di «fornire un'ampia protezione contro le varianti emergenti».