Sondaggio, per sei lavoratori su 10 salario non adeguato al costo della vita
Per il 60% dei lavoratori il salario non è adeguato al costo della vita
Per sei occupati su dieci le retribuzioni non sono adeguate al costo della vita. Non solo: le disuguaglianze aumentano soprattutto per i giovani, le donne e i migranti. E i lavoratori sono più precari e in buona parte sottopagati.
Lo riferisce il Rapporto Censis-Ugl «Tra nuove disuguaglianze e lavoro che cambia: quel che attende i lavoratori», che lancia un assist al ministro del lavoro, Andrea Orlando, sul tema della necessità di aumenti salariali. Argomento che non piace a Confindustria e che il presidente Carlo Bonomi ha bollato sostanzialmente come ricattatorio nei confronti delle imprese.
Ma i numeri del Censis parlano chiaro. Il rapporto riferisce che per il 64,3% dei lavoratori italiani (68,8 % tra operai ed esecutivi) la propria retribuzione non è adeguata al costo della vita. «Tale insoddisfazione - evidenzia l’indagine - dipende anche dal fatto che nel periodo 2010-2020 le retribuzioni lorde dei lavoratori italiani siano diminuite dell'8,3 per cento reale». Peggio dell'Italia hanno fatto solo Grecia (-16,1 per cento reale) e Spagna (-8,6 per cento reale).
L’analisi ha poi anche evidenziato un pesante conflitto generazionale e le disparità nelle retribuzioni fra uomini e donne. In particolare, secondo lo studio, i giovani fino a 29 anni guadagnano il 40 per cento in meno dei lavoratori over 55, mentre le donne hanno una busta paga più leggera (-37%) rispetto ai maschi. Il rapporto ha poi anche sottolineato un’anomalia sul fronte contratti: chi ha un lavoro a tempo determinato intasca il 32 per cento in meno di chi è a tempo indeterminato.
Per quanto riguarda, invece, le differenze geografiche, resta la questione meridionale: chi lavora nel Mezzogiorno guadagna il 28 per cento in meno di chi risiede nel Nord-Ovest. Inoltre dallo studio risulta che il 10,4 per cento dei lavoratori dipendenti è sottopagato, cioè può contare su una retribuzione mensile inferiore ai valori soglia di 953 euro per il full-time, di 533 euro per il part-time. Il 19,8% è impiegato part-time, mentre lavora da remoto il 52% degli occupati. Il 65,9% richiede formazione per la sicurezza informatica. «L’allentarsi del rapporto soggettivo con il lavoro ne ha agevolato la svalorizzazione.
Tuttavia, oggi é possibile immaginare una nuova stagione che superi le crescenti disuguaglianze, sperimentando anche modalità originali di coinvolgimento dei lavoratori nel destino delle aziende» spiega l’indagine che evidenzia l’aumento delle disuguaglianze con un mercato del lavoro sempre più duro per per giovani, donne, migranti e lavoratori meno qualificati. Nella percezione collettiva sono aumentate le disparità e il lavoro è diventato epicentro di contraddizioni.
Da un lato restano le opportunità legate al remote working e al digitale, dall'altro la precarietà che diventa una condizione strutturale di lungo periodo. Sullo sfondo le prospettive di ulteriori rincari dei prezzi per effetto della guerra in Ucraina, oltre ad altri temi spinosi come lo smantellamento delle tutele contrattuali e una crescente disuguaglianza.