2024-07-14
I soldi a Kiev violano il trattato dell’Alleanza
Volodymyr Zelensky e Jens Stoltenberg (Ansa)
A Washington i membri si sono assunti l’impegno di sostenere una delle parti in conflitto. Ma senza averne titolo.Che i trattati internazionali fossero chiffons de papier lo si sospettava. A questo sospetto sembra che non sfugga, ora, neppure il trattato istitutivo della Nato. Dal suo testuale tenore risulta, infatti, chiaramente non solo che esso ha finalità esclusivamente difensive ma anche che la sua area di applicazione è strettamente limitata ai Paesi che fanno parte dell’alleanza, con esclusione, per giunta, dei loro territori che non si trovino in Europa o nell’America settentrionale.In base al trattato in questione, quindi, la Nato, come tale, non avrebbe titolo alcuno per interventi di sorta a sostegno dell’Ucraina, non essendo quest’ultima, a tutt’oggi, compresa tra i membri dell’alleanza, fermo restando, naturalmente, che ciascuno di tali membri ha il diritto di decidere, da solo o d’intesa con altri (come finora avvenuto) se e come adottare, a suo esclusivo rischio e pericolo, quel tipo di interventi. Sembra costituire, quindi, una flagrante violazione del trattato la decisione assunta all’esito del recente vertice Nato tenutosi a Washington, in base alla quale i Paesi aderenti sarebbero tenuti a fornire all’Ucraina, entro il prossimo anno, un finanziamento ammontante, nel totale, ad almeno 40 miliardi di euro affinché essa «possa prevalere» nel confronto militare con la Russia. Questo significa che non sono più i singoli Stati, ma è la Nato, nel suo complesso, ad assumere, scaricandone l’esecuzione ai Paesi membri, l’impegno di un diretto intervento a favore di una parte contro l’altra in un conflitto armato del quale, in realtà, non avrebbe titolo alcuno per occuparsi, se non nella misura in cui, dai suoi sviluppi, potessero derivare pericoli per la sicurezza dei suoi membri o di taluno di essi. Il che potrebbe giustificare soltanto l’adozione di misure preventive di rafforzamento degli apparati difensivi - quali, infatti, con grande clamore, si sono adottate o si dice che debbano essere adottate - ma non mai l’intervento di cui si è appena detto. E il peggio è che, una volta ammesso che un tale intervento possa, invece, aver luogo, nulla impedisce di pensare che da quello finanziario possa passarsi a quello militare. Ovviamente, di una tale prospettiva ci si guarda bene dal parlare, ben consapevoli, come si è, che essa sarebbe, oggi come oggi, ancora del tutto indigesta alla pubblica opinione. Si preferisce, quindi, lasciar credere che, per un qualche miracolo, continuando a sostenere dall’esterno l’Ucraina, si riesca a realizzare quella «pace giusta» che, in sostanza, altro non sarebbe se non il frutto della totale sconfitta della Russia sul campo; e ciò dandosi, inoltre, per scontato che la Russia sarebbe disposta a rassegnarvisi senza ricorrere a quella che, in extremis, potrebbe essere la mossa risolutiva per impedirla: vale a dire l’impiego delle armi nucleari. Dopodiché la Nato altro non potrebbe fare se non attaccare a sua volta, per rappresaglia, la Russia, dando così inizio alla terza guerra mondiale. Stando così le cose, allorché il Parlamento italiano dovrà pure, in un modo o nell’altro, essere interpellato perché l’Italia dia, per la sua parte, attuazione all’accordo di Washington, qualcuno dovrebbe, in quella sede, ricordarsi che esiste un articolo 11 della Costituzione che vieta il ricorso alla guerra «come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». E il contribuire a che una guerra in atto finisca solo a condizione che una parte «prevalga» militarmente sull’altra - senza neppure alcun riguardo all’entità delle perdite umane e materiali che ciò richiederebbe, come anche al pericolo che, in luogo della pace, si abbia una catastrofica estensione del conflitto - costituirebbe una lampante violazione del suddetto divieto.Rassegnarsi a una tale violazione significherebbe, quindi, ammettere che, oltre ai trattati internazionali, anche le Costituzioni, a cominciare da quella italiana, siano annoverabili fra gli chiffons de papier.Pietro Dubolino, presidente di sezione a riposo della Corte di Cassazione
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