
Le vie di Giggino sono infinite. Altro che nove vite come i gatti, quelle di Luigi Di Maio non si contano più. In un modo o nell’altro si è sempre saputo riconvertire. E dopo che le opportunità in Italia si sono affievolite, ha iniziato a giocarsi le carte all’estero. Nel 2023 diventa rappresentante speciale dell’Unione europea per il Golfo Persico, e adesso è in corsa per un altro super incarico: coordinatore speciale delle Nazioni Unite per il processo di pace in Medio Oriente (Unsco).
Secondo quanto anticipato dal Foglio, è stato contattato direttamente dall’Onu qualche settimana fa. L’organizzazione internazionale lo ha individuato come uno dei principali candidati per quel ruolo. La procedura è ancora in corso, ma le parti coinvolte nell’operazione hanno già espresso parere favorevole, compreso il governo Meloni e la stessa Unione europea, che ha definito «eccellente» il suo lavoro nel Golfo.
L’ufficio di coordinatore speciale per il Medio Oriente è stato istituito nel 1994, con gli accordi di Oslo, e si propone di facilitare il processo di transizione e di «rispondere ai bisogni del popolo palestinese». Ha il compito di rappresentare il segretario generale dell’Onu in Medio Oriente e per questo, chi ricopre tale posizione, diventa automaticamente anche vice segretario generale delle Nazioni Unite. In pratica Di Maio coordinerebbe il sistema delle Nazioni Unite, ovvero i vari enti che fanno riferimento all’Onu nell’area, in tutti gli sforzi politici e diplomatici relativi al processo di pace circa il futuro di Israele e dei territori palestinesi, incluso il Quartetto per il Medio Oriente (il cui inviato speciale, in passato, è stato Tony Blair) che comprende le Nazioni Unite, gli Stati Uniti, l’Unione europea e la Russia, il cui scopo è favorire una soluzione pacifica al conflitto israelo-palestinese. Che, a oggi, significherebbe implementare il piano Trump per Gaza. Insomma, un lavoro immane, che autorevoli rappresentati prima di lui hanno miseramente fallito. Oltretutto Di Maio dovrebbe trasferirsi a Gerusalemme, dove ha sede la struttura.
Tutt’altro che un incarico semplice, seppur ben pagato. Come rappresentante speciale dell’Unione europea per il Golfo Persico guadagna adesso 13.000 euro mensili netti che salgono a oltre 16.000 in caso di trasferimento all’estero. La retribuzione dell’Onu per il Medio Oriente può superare, invece, i 250.000 dollari all’anno più indennità di località (che sono molto alte per il Medio Oriente) nonché altri benefici. A questo va aggiunto lo stipendio da vice segretario dell’Onu che supera i 150.000 dollari all’anno ai quali, anche qui, si aggiungono le indennità di alloggio o famiglia.
Le retribuzioni dell’Onu sono spesso esenti dalle tasse nazionali, aumentando il potere d’acquisto. Insomma, con questo lavoretto Di Maio potrebbe sfiorare il mezzo milione di stipendio all’anno. L’ultimo che ha ricoperto quel ruolo, la diplomatica ed ex ministra olandese Sigrid Kaag, già coordinatrice Onu per gli aiuti umanitari e la ricostruzione a Gaza, dopo appena sei mesi ha lasciato la poltrona a giugno con parole durissime: «Questo ufficio è nato con gli Accordi di Oslo, quando c’era ancora il sogno di un percorso verso i due Stati. Ora non è più scontato. A un certo punto bisogna chiedersi: questa istituzione ha ancora senso?». Dopo di lei l’incarico è andato a Ramiz Alakbarov, un funzionario azerbaigiano dell’Onu con decenni di esperienza, già coordinatore Onu in Etiopia e in Afghanistan.
Se adesso il delicato incarico andasse a Di Maio, il momento sarebbe decisamente critico. E per uno che non ha terminato nemmeno gli studi universitari e che mastica a malapena l’inglese è un fardello a dir poco sorprendente. Eppure, il ragazzo di Pomigliano d’Arco, prossimo ai 40 anni, è pieno di qualità nascoste. Non potrebbe che essere così per uno che a 27 anni era vicepresidente della Camera, il più giovane nella storia d’Italia, che nel 2017 è stato scelto come capo politico del Movimento 5 stelle e nell’anno di grazia 2018 ha visto la sua scalata ricoprendo le cariche di ministro del Lavoro, nonché di vicepresidente del Consiglio nel governo Conte I (2018-2019), quindi di ministro degli Esteri nel governo Conte II (2019-2021) e nel governo Draghi (2021-2022). Nel 2022, fuori dal Movimento dopo aver rotto con Giuseppe Conte e Beppe Grillo, ha cercato successo fondando un suo partito, Insieme per il futuro, ma è stato escluso dal Parlamento e sembrava arrivata per lui la via del tramonto. E, invece, tutt’altro.
Ad aprile 2023 si aprono le porte di una nuova carriera internazionale. L’Alto rappresentante dell’Ue, Josep Borrell, lo indica come candidato ideale per fare l’inviato dell’Unione europea per il Golfo. E così Di Maio, superando nella selezione tanti navigati diplomatici di carriera, risale in cattedra. Adesso potrebbero aver confezionato per lui un altro compito estremamente delicato in questa fase storica. Con le operazioni militari di Israele ai danni della Striscia di Gaza e una crisi umanitaria ancora in corso, sarebbe coinvolto attivamente nel piano di pace che gli Stati Uniti hanno promosso per la Palestina. Ma per uno che ha sconfitto la povertà questo è un gioco da ragazzi.






