La leader Cisl spegne le proteste: «Non portano soldi ai lavoratori»

Cgil sempre più isolata. All’indomani dello sciopero, proclamato dal segretario generale, Maurizio Landini, per protestare contro la legge di Bilancio, emerge sempre più la spaccatura tra i sindacati. Mentre la Cgil continua con la politica contundente, annunciando una sorta di stato di allerta permanente e la Uil dopo aver fatto la «ruota di scorta della Cgil» ha finalmente assunto una posizione più autonoma, la Cisl marca la differenza rispetto alla strategia della piazza e ribadisce il metodo del dialogo. Una politica da attuare non solo per la discussione sulla manovra ma da far propria, con una visione di più lungo periodo, su tutte che riguardano il futuro del Paese.
Ieri il sindacato guidato da Daniela Fumarola ha indetto la sua manifestazione, «Migliorare la manovra, costruire un Patto», a Roma, in Piazza Santi Apostoli, per arricchire la legge di Bilancio e lanciare un nuovo patto sociale, un accordo della responsabilità su obiettivi condivisi. In particolare su salari, tutele nel mercato del lavoro, pensioni, scuola, ricerca e partecipazione. «In un tempo in cui tanti strappano, dividono e urlano, noi vogliamo cucire, unire e costruire dei sì concreti», ha detto Fumarola, ribadendo che la strada migliore per arrivare ai risultati «non è il conflitto ma il dialogo con il governo», non la piazza di chi vuole distruggere ma «la piazza della responsabilità». La segretaria crede ancora nel «valore dell’unità sindacale - alla gara a chi urla di più, certo noi non abbiamo mai partecipato e mai parteciperemo -, ma bisogna ritrovarsi sui contenuti e sul metodo che non è il conflitto».
Dichiarazioni sulle quali si misura la distanza siderale con la Cgil che, anche come braccio armato del Pd, ha scelto invece lo scontro, senza se e senza ma. Anche se significa sacrificare risultati per i lavoratori come è accaduto, in queste settimane, con la mancata firma dei contratti e come ora si sta ripetendo con il rifinanziamento del fondo per la legge 76 del 2025 sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione, al capitale e agli utili delle imprese che manca nella manovra. «Un buco clamoroso», afferma Fumarola. La legge è stata promossa dalla Cisl per dare attuazione all’articolo 46 della Costituzione, rafforzare la collaborazione, preservare l’occupazione e valorizzare il lavoro mentre la Cgil ha votato contro, ritenendo che questa indebolisse la contrattazione collettiva e la rappresentanza sindacale.
Due posizioni diametralmente opposte e ora che nella manovra mancano i soldi per tale misura, la Cisl si trova da sola a rivendicarli al governo. «La partecipazione non si umilia», ha detto la leader sindacale in Piazza Santi Apostoli, «Guai se dovessimo capire che sulla pelle dei lavoratori è stato consumato qualche strano scambio tra i banchi del governo e della maggioranza». E se il rifinanziamento non dovesse arrivare, «la Cisl saprà alzare in ben altro modo le bandiere» avverte la sindacalista che sollecita anche l’ampliamento della defiscalizzazione nella contrattazione di primo livello, ai salari fino a 38.000 euro.
Ma è sul metodo che Fumarola insiste, ovvero la definizione di «un nuovo patto tra tutte le forze sociali e imprenditoriali e lo stesso governo per sedersi intorno a un tavolo e fissare obiettivi che devono traghettare il nostro Paese verso un futuro migliore. Il metodo del confronto va consolidato, non usato a corrente alternata. Apriamo una stagione di concertazione nuova per trovare soluzioni e decidere insieme». Infine, l’invito rivolto alle altre due confederazioni: «Possiamo avere culture, storie e linguaggi diversi. Ma il Paese ha bisogno che sul terreno dei contenuti, degli obiettivi e delle proposte a vincere sia la concretezza». Questa strada si percorre tramite «il confronto che va consolidato, non usato a corrente alternata. Apriamo una stagione di concertazione nuova per trovare soluzioni e decidere insieme. Il conflitto lo riserviamo quando non c’è più speranza di dialogo».
Fumarola delinea il profilo di un sindacato autorevole, ovvero che sia «forte, autonomo, riformista, capace di contrattare, negoziare e ottenere risultati». E senza nominare la Cgil ma con una chiara allusione, ribadisce «noi non siamo il sindacato che si specchia nei cortei e si dimentica dei contratti. Bisogna smettere di pensare che fa sul serio solo chi alza i decibel, mostra i denti e affossa i negoziati. Noi siamo liberi, ci assumiamo la responsabilità di fare scelte anche scomode. Siamo il sindacato del riformismo, quello che preferisce una conquista vera a cento comunicati stampa che preferisce un tavolo in più e uno striscione in meno. Il nostro mestiere non è incendiare i luoghi di lavoro: è difenderli, migliorarli. Rispettiamo le altre posizioni sindacali, ma pretendiamo rispetto vero».






