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2021-04-29
La sinistra canta già vittoria sul ddl Zan. Ma la vera battaglia comincia adesso
Ansa
In un generalizzato tripudio che accomuna parlamentari di sinistra e giganti del pensiero come Fedez si è sbloccato al Senato l'iter della legge Zan. La Commissione giustizia, con 13 voti contro 11, ha approvato la calendarizzazione del provvedimento, già passato alla Camera, che era rimasto a lungo fermo per una serie di rinvii. Già la prossima settimana il leghista Andrea Ostellari, che è il presidente della Commissione, presenterà la sua relazione e avvierà la discussione. Il folto schieramento favorevole all'approvazione esulta, ma la strada appare ancora molto lunga. E permane nella Commissione una spaccatura verticale, come si vede dai numeri del voto sul calendario dei lavori e dalla nuova polemica che si è immediatamente aperta sullo stesso Ostellari.
Il senatore leghista ha infatti tenuto per sé l'incarico di relatore e la cosa non è piaciuta al fronte che vorrebbe spingere sull'acceleratore. «Ostellari che si autonomina relatore è l'ennesima forzatura di chi vuole affossare una legge voluta dalla maggioranza del Senato», ha twittato Alessandro Zan, deputato del Pd e primo firmatario del ddl. «Neanche il tempo di festeggiare», ha storto il naso Fedez su Twitter. «Siamo sconfortati di fronte a questo cieco ostruzionismo», ha protestato la senatrice grillina Alessandra Maiorino, membro della commissione. «Un atto di prepotenza per perdere altro tempo», è il messaggio postato sulle reti sociali da Laura Boldrini, deputata del Pd.
Eppure, da ex presidente della Camera, la Boldrini dovrebbe sapere bene che Ostellari non ha compiuto un «atto di prepotenza», ma ha applicato il regolamento di Palazzo Madama. «Il voto sul calendario dei lavori ha certificato che, in Commissione giustizia, la maggioranza è spaccata», spiega il senatore. «Al successivo incardinamento del disegno di legge Zan, seguiranno le audizioni e il dibattito sulle proposte emendative. Il regolamento prevede che il relatore di ciascun disegno di legge sia il presidente della commissione, che ha la facoltà di delegare questa funzione ad altri commissari. Poiché sono stato confermato presidente, grazie al voto della maggioranza dei componenti della Commissione, per garantire chi è favorevole al ddl e chi non lo è, tratterrò questa delega».
Dunque, secondo Ostellari, la sua è una scelta di garanzia. Il presidente della Commissione aveva tentato di evitare la spaccatura su un tema «non urgente» anche a tutela della nuova maggioranza di governo. «Pd, M5s, Italia viva e Leu sono restati sordi agli appelli all'unità e hanno consumato lo strappo, imponendo l'incardinamento», dice il senatore leghista Simone Pillon, anch'egli componente della Commissione giustizia, «abbiamo sperato fino all'ultimo che prevalesse il buon senso» per evitare l'approvazione di «una ciofeca». Ma ormai la discussione della legge Zan è diventata un assalto alla baionetta contro la Lega. Con l'arrivo del nuovo segretario Enrico Letta, il ddl contro l'omofobia è diventato una delle bandiere del Pd assieme all'introduzione dello ius soli, benché proprio a sinistra si stia allargando il fronte di chi è contrario. Un appello di politici e intellettuali gauchisti che si oppongono al testo «pasticciato e ideologico» ha raccolto oltre 160 firme, dalla regista Cristina Comencini all'ex presidente dell'Arcigay Aurelio Mancuso. Una femminista storica come Marina Terragni ha detto alla Verità che si tratta di «una legge liberticida» che si farà strada in un clima culturale da pensiero unico nel quale «chi si oppone verrà zittito». La pressione mediatica punta a modificare l'idea di identità sessuale e i rapporti tra i sessi e a trasformare la libertà di pensiero in discriminazione.
È paradossale che la legge contro l'odio inizi il percorso in Senato in questo clima di fortissima contrapposizione e di delegittimazione a senso unico. Ostellari non scende in polemica con chi lo critica: «Seguo il regolamento offrendo le dovute garanzie che consentiranno un ampio dibattito», dice alla Verità. La sua relazione riguarderà il ddl Zan ma anche le altre proposte che sono state presentate al Senato sull'argomento: «Tutti parlano della legge Zan perché ha già superato l'esame della Camera», spiega il senatore, «ma a Palazzo Madama sono stati depositati altri testi. Io sarò relatore di tutti i testi sul tema e aprirò la discussione su tutti». Si preannuncia un dibattito lungo e articolato. Anche perché Ostellari ha intenzione di sentire tutte le posizioni: «Il primo compito della commissione sarà quello di ascoltare». La lista delle audizioni sarà ampia: «Sentiremo favorevoli e contrari, parlamentari, associazioni e chiunque potrà dare un contributo». Dopodiché si aprirà il capitolo del miglioramento della legge approvata a Montecitorio: «Non solo il centrodestra», dice Ostellari, «ma anche parte della sinistra e del mondo femminista hanno annunciato proposte di modifica. Pure noi della Lega presenteremo emendamenti correttivi. La commissione ascolterà e poi migliorerà». Per i tifosi della legge Zan è presto per cantare vittoria.
La Cei conferma: «Dubbi sul testo». Poi invita a un «dialogo aperto»
Non c'è ancora la data, ma la calendarizzazione in Senato del ddl Zan è passata in Commissione giustizia. Puntuale ieri mattina è arrivata anche la nota diramata dai vescovi italiani per rilevare i «diversi dubbi» sul testo che vorrebbe combattere l'omotransfobia, ma il comunicato della Cei sembra affetto dal virus del «dialogo», tanto che è difficile comprendere bene la posizione della Chiesa italiana nel merito.
La Cei spiega che il documento di ieri è stato redatto «coerentemente a quanto già espresso nel comunicato del 10 giugno 2020», ma gli echi di quel testo risultano lontani. Se il 10 giugno l'ufficio di presidenza del cardinale Gualtiero Bassetti diceva che «per questi ambiti non solo non si riscontra alcun vuoto normativo, ma nemmeno lacune che giustifichino l'urgenza di nuove disposizioni», nel comunicato di ieri si legge che «è necessario che un testo così importante cresca con il dialogo e non sia uno strumento che fornisca ambiguità interpretative».
La chiarezza non sarà un dono del ddl Zan, ma nemmeno i comunicati dei vescovi sembrano brillare di questa qualità. La legge contro l'omotransfobia è una «nuova disposizione» di cui non c'è «urgenza», oppure, come scritto ieri, è un testo che deve crescere «con il dialogo»? L'impressione è che i vescovi vogliano semplicemente smarcare la Chiesa italiana su un tema incandescente per lasciare ai laici la patata bollente.
Peraltro, un punto chiave del comunicato di ieri fa intendere che la Chiesa non vuole chiudersi di fronte a un ipotetico «bene possibile» ravvisato nelle pieghe del caso per caso o coppia per coppia. Non solo attenzione e rispetto dovuti alla persona, «in qualunque situazione esistenziale si trovi», ma di più. Perché se da un lato i vescovi sentono «il dovere di riaffermare serenamente la singolarità e l'unicità della famiglia, costituita dall'unione dell'uomo e della donna», subito dopo precisano di doversi «lasciar guidare ancora dalla Sacra Scrittura, dalle scienze umane e dalla vita concreta di ogni persona per discernere sempre meglio la volontà di Dio».
Tra le righe appare quell'approccio multidisciplinare e pastorale che è la cifra del cambio di paradigma in atto nel mondo della teologia morale dopo l'esortazione apostolica Amoris laetitia e che tende a individuare appunto un certo «bene possibile» in molte unioni, anche omosessuali. Con il corollario di uno sviluppo della dottrina che avverrebbe per un approfondimento della comprensione della volontà di Dio.
In Germania il prossimo 10 maggio ci sarà un esempio concreto dei rischi del nuovo approccio. Nella chiesa teutonica, impegnata in un cammino sinodale in cui le richieste di ammodernamento vanno dalle sacerdotesse fino alla benedizione delle coppie gay, è stata organizzata una giornata di benedizione di tutti gli innamorati, incluse chiaramente le coppie omosessuali. È la risposta stizzita al «non licet» arrivato dalla Congregazione per la dottrina della fede alla benedizione delle coppie omosessuali.
Nel sito dell'iniziativa, #liebegewinnt (l'amore vince), i benedicenti (tra cui anche vescovi) spiegano che accompagneranno «anche in futuro le coppie che hanno un rapporto stabile e benediremo il loro rapporto». Non a casa l'iniziativa benedicente del 10 maggio è un invito «a utilizzare numerosi segni creativi che mostrino quante persone nella Chiesa percepiscono come un arricchimento e una benedizione la variopinta diversità dei differenti progetti di vita e delle storie d'amore delle persone».
La questione offre uno spaccato della intima divisione che abita la Chiesa su questi temi, perché non è solo questione di approccio pastorale, ma c'è chi vuole andare oltre. Fino a voler riscrivere il Catechismo della Chiesa laddove dice che gli atti omosessuali sono ritenuti «intrinsecamente disordinati» e «contrari alla legge naturale». Se questo avvenisse i vescovi italiani si toglierebbero dai guai posti da un ddl Zan, perché non dovrebbero più predicare cose troppo scomode. Resterebbero le parole di san Paolo, ma si potrebbe sempre dire che le «scienze umane» oggi ce la fanno comprendere in modo diverso.
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Arriva il sì alla calendarizzazione dalla Commissione giustizia Il relatore leghista Ostellari annuncia però un «ampio dibattito».In un comunicato a tratti ambiguo i vescovi italiani ribadiscono le loro perplessità.Lo speciale contiene due articoli.In un generalizzato tripudio che accomuna parlamentari di sinistra e giganti del pensiero come Fedez si è sbloccato al Senato l'iter della legge Zan. La Commissione giustizia, con 13 voti contro 11, ha approvato la calendarizzazione del provvedimento, già passato alla Camera, che era rimasto a lungo fermo per una serie di rinvii. Già la prossima settimana il leghista Andrea Ostellari, che è il presidente della Commissione, presenterà la sua relazione e avvierà la discussione. Il folto schieramento favorevole all'approvazione esulta, ma la strada appare ancora molto lunga. E permane nella Commissione una spaccatura verticale, come si vede dai numeri del voto sul calendario dei lavori e dalla nuova polemica che si è immediatamente aperta sullo stesso Ostellari.Il senatore leghista ha infatti tenuto per sé l'incarico di relatore e la cosa non è piaciuta al fronte che vorrebbe spingere sull'acceleratore. «Ostellari che si autonomina relatore è l'ennesima forzatura di chi vuole affossare una legge voluta dalla maggioranza del Senato», ha twittato Alessandro Zan, deputato del Pd e primo firmatario del ddl. «Neanche il tempo di festeggiare», ha storto il naso Fedez su Twitter. «Siamo sconfortati di fronte a questo cieco ostruzionismo», ha protestato la senatrice grillina Alessandra Maiorino, membro della commissione. «Un atto di prepotenza per perdere altro tempo», è il messaggio postato sulle reti sociali da Laura Boldrini, deputata del Pd.Eppure, da ex presidente della Camera, la Boldrini dovrebbe sapere bene che Ostellari non ha compiuto un «atto di prepotenza», ma ha applicato il regolamento di Palazzo Madama. «Il voto sul calendario dei lavori ha certificato che, in Commissione giustizia, la maggioranza è spaccata», spiega il senatore. «Al successivo incardinamento del disegno di legge Zan, seguiranno le audizioni e il dibattito sulle proposte emendative. Il regolamento prevede che il relatore di ciascun disegno di legge sia il presidente della commissione, che ha la facoltà di delegare questa funzione ad altri commissari. Poiché sono stato confermato presidente, grazie al voto della maggioranza dei componenti della Commissione, per garantire chi è favorevole al ddl e chi non lo è, tratterrò questa delega».Dunque, secondo Ostellari, la sua è una scelta di garanzia. Il presidente della Commissione aveva tentato di evitare la spaccatura su un tema «non urgente» anche a tutela della nuova maggioranza di governo. «Pd, M5s, Italia viva e Leu sono restati sordi agli appelli all'unità e hanno consumato lo strappo, imponendo l'incardinamento», dice il senatore leghista Simone Pillon, anch'egli componente della Commissione giustizia, «abbiamo sperato fino all'ultimo che prevalesse il buon senso» per evitare l'approvazione di «una ciofeca». Ma ormai la discussione della legge Zan è diventata un assalto alla baionetta contro la Lega. Con l'arrivo del nuovo segretario Enrico Letta, il ddl contro l'omofobia è diventato una delle bandiere del Pd assieme all'introduzione dello ius soli, benché proprio a sinistra si stia allargando il fronte di chi è contrario. Un appello di politici e intellettuali gauchisti che si oppongono al testo «pasticciato e ideologico» ha raccolto oltre 160 firme, dalla regista Cristina Comencini all'ex presidente dell'Arcigay Aurelio Mancuso. Una femminista storica come Marina Terragni ha detto alla Verità che si tratta di «una legge liberticida» che si farà strada in un clima culturale da pensiero unico nel quale «chi si oppone verrà zittito». La pressione mediatica punta a modificare l'idea di identità sessuale e i rapporti tra i sessi e a trasformare la libertà di pensiero in discriminazione. È paradossale che la legge contro l'odio inizi il percorso in Senato in questo clima di fortissima contrapposizione e di delegittimazione a senso unico. Ostellari non scende in polemica con chi lo critica: «Seguo il regolamento offrendo le dovute garanzie che consentiranno un ampio dibattito», dice alla Verità. La sua relazione riguarderà il ddl Zan ma anche le altre proposte che sono state presentate al Senato sull'argomento: «Tutti parlano della legge Zan perché ha già superato l'esame della Camera», spiega il senatore, «ma a Palazzo Madama sono stati depositati altri testi. Io sarò relatore di tutti i testi sul tema e aprirò la discussione su tutti». Si preannuncia un dibattito lungo e articolato. Anche perché Ostellari ha intenzione di sentire tutte le posizioni: «Il primo compito della commissione sarà quello di ascoltare». La lista delle audizioni sarà ampia: «Sentiremo favorevoli e contrari, parlamentari, associazioni e chiunque potrà dare un contributo». Dopodiché si aprirà il capitolo del miglioramento della legge approvata a Montecitorio: «Non solo il centrodestra», dice Ostellari, «ma anche parte della sinistra e del mondo femminista hanno annunciato proposte di modifica. Pure noi della Lega presenteremo emendamenti correttivi. La commissione ascolterà e poi migliorerà». Per i tifosi della legge Zan è presto per cantare vittoria.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/sinistra-canta-vittoria-ddl-zan-2652814621.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-cei-conferma-dubbi-sul-testo-poi-invita-a-un-dialogo-aperto" data-post-id="2652814621" data-published-at="1619643866" data-use-pagination="False"> La Cei conferma: «Dubbi sul testo». Poi invita a un «dialogo aperto» Non c'è ancora la data, ma la calendarizzazione in Senato del ddl Zan è passata in Commissione giustizia. Puntuale ieri mattina è arrivata anche la nota diramata dai vescovi italiani per rilevare i «diversi dubbi» sul testo che vorrebbe combattere l'omotransfobia, ma il comunicato della Cei sembra affetto dal virus del «dialogo», tanto che è difficile comprendere bene la posizione della Chiesa italiana nel merito. La Cei spiega che il documento di ieri è stato redatto «coerentemente a quanto già espresso nel comunicato del 10 giugno 2020», ma gli echi di quel testo risultano lontani. Se il 10 giugno l'ufficio di presidenza del cardinale Gualtiero Bassetti diceva che «per questi ambiti non solo non si riscontra alcun vuoto normativo, ma nemmeno lacune che giustifichino l'urgenza di nuove disposizioni», nel comunicato di ieri si legge che «è necessario che un testo così importante cresca con il dialogo e non sia uno strumento che fornisca ambiguità interpretative». La chiarezza non sarà un dono del ddl Zan, ma nemmeno i comunicati dei vescovi sembrano brillare di questa qualità. La legge contro l'omotransfobia è una «nuova disposizione» di cui non c'è «urgenza», oppure, come scritto ieri, è un testo che deve crescere «con il dialogo»? L'impressione è che i vescovi vogliano semplicemente smarcare la Chiesa italiana su un tema incandescente per lasciare ai laici la patata bollente. Peraltro, un punto chiave del comunicato di ieri fa intendere che la Chiesa non vuole chiudersi di fronte a un ipotetico «bene possibile» ravvisato nelle pieghe del caso per caso o coppia per coppia. Non solo attenzione e rispetto dovuti alla persona, «in qualunque situazione esistenziale si trovi», ma di più. Perché se da un lato i vescovi sentono «il dovere di riaffermare serenamente la singolarità e l'unicità della famiglia, costituita dall'unione dell'uomo e della donna», subito dopo precisano di doversi «lasciar guidare ancora dalla Sacra Scrittura, dalle scienze umane e dalla vita concreta di ogni persona per discernere sempre meglio la volontà di Dio». Tra le righe appare quell'approccio multidisciplinare e pastorale che è la cifra del cambio di paradigma in atto nel mondo della teologia morale dopo l'esortazione apostolica Amoris laetitia e che tende a individuare appunto un certo «bene possibile» in molte unioni, anche omosessuali. Con il corollario di uno sviluppo della dottrina che avverrebbe per un approfondimento della comprensione della volontà di Dio. In Germania il prossimo 10 maggio ci sarà un esempio concreto dei rischi del nuovo approccio. Nella chiesa teutonica, impegnata in un cammino sinodale in cui le richieste di ammodernamento vanno dalle sacerdotesse fino alla benedizione delle coppie gay, è stata organizzata una giornata di benedizione di tutti gli innamorati, incluse chiaramente le coppie omosessuali. È la risposta stizzita al «non licet» arrivato dalla Congregazione per la dottrina della fede alla benedizione delle coppie omosessuali. Nel sito dell'iniziativa, #liebegewinnt (l'amore vince), i benedicenti (tra cui anche vescovi) spiegano che accompagneranno «anche in futuro le coppie che hanno un rapporto stabile e benediremo il loro rapporto». Non a casa l'iniziativa benedicente del 10 maggio è un invito «a utilizzare numerosi segni creativi che mostrino quante persone nella Chiesa percepiscono come un arricchimento e una benedizione la variopinta diversità dei differenti progetti di vita e delle storie d'amore delle persone». La questione offre uno spaccato della intima divisione che abita la Chiesa su questi temi, perché non è solo questione di approccio pastorale, ma c'è chi vuole andare oltre. Fino a voler riscrivere il Catechismo della Chiesa laddove dice che gli atti omosessuali sono ritenuti «intrinsecamente disordinati» e «contrari alla legge naturale». Se questo avvenisse i vescovi italiani si toglierebbero dai guai posti da un ddl Zan, perché non dovrebbero più predicare cose troppo scomode. Resterebbero le parole di san Paolo, ma si potrebbe sempre dire che le «scienze umane» oggi ce la fanno comprendere in modo diverso.
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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