
Per spezzare il circolo vizioso delle nomine su base correntizia, bisogna passare al sorteggio dei candidati. È la via più certa verso l'imparzialità dei magistrati. Le polemiche che in questi giorni accompagnano le notizie sull'inchiesta della Procura della Repubblica di Perugia sui comportamenti di alcuni componenti del Consiglio superiore della magistratura intenti ad immaginare, insieme a uomini di partito, le nomine delle più importanti Procure, a cominciare da quella di Roma, dopo il pensionamento di Giuseppe Pignatone, possono fare molto male alla magistratura. Infatti, sull'onda dello scandalo, per cui un politico sotto indagini avrebbe voluto concorrere alla scelta del suo inquisitore, vanno emergendo ipotesi varie, come quella della separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri, della sottoposizione di questi alle direttive del governo, della eliminazione dell'obbligatorietà dell'azione penale. Se ne parla da tempo con opposte valutazioni, ma il pericolo è di riforme, come spesso accade in Italia, adottate sull'onda delle emozioni.Andiamo dunque per ordine, partendo dalla riforma fondamentale, visto che parliamo di nomina dei responsabili degli uffici direttivi, in particolare delle Procure, cui spetta l'esercizio dell'azione penale. Il problema, come sta emergendo, è quello della composizione del Consiglio superiore, espressione dell'indipendenza di quell'«ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere» che è la magistratura, come si legge nell'articolo 104 della Costituzione. Presieduto dal capo dello Stato e con componenti di diritto il primo presidente della Corte e il procuratore generale della Cassazione, il Consiglio è composto per due terzi da magistrati ordinari eletti «tra gli appartenenti alle varie categorie» e per un terzo da eletti dalle Camere.L'esperienza ci dice di una progressiva degenerazione del sistema dovuto all'elezione dei componenti togati che ha provocato il consolidamento degli interessi dei gruppi, le correnti che organizzano il consenso all'interno della magistratura e non svolgono solamente un ruolo «culturale» sui temi della giustizia. Influiscono sulla scelta dei componenti togati del Csm i quali, in quella sede, decidono su promozioni e assegnazioni e sull'esercizio dell'azione disciplinare, insomma esercitano un potere rilevante che dai gruppi si trasferisce nel Csm e da questo torna ai gruppi in forma di scelte. Insomma, spesso un magistrato che si candida ad un posto direttivo, presidente di tribunale o di corte d'appello, procuratore della Repubblica o procuratore generale, ha speranza di veder accolta la propria istanza solamente se appoggiato da un gruppo che conta autorevoli rappresentanti nel Csm.Tra i primi a criticare questo sistema Piercamillo Davigo, all'atto del suo insediamento nel ruolo di presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Non va bene disse perché introduce elementi personalistici che nulla hanno a che fare con scelte che dovrebbero essere guidate da una obiettiva valutazione della specifica professionalità ed esperienza in relazione all'esercizio di una determinata funzione.Le correnti della magistratura, tuttavia, non ci stanno. Negano che la loro influenza nel Csm ne condizioni le scelte. Il tema è antico ma in questa stagione la polemica si è aggravata e la lotta «di potere», un'espressione che dovrebbe essere bandita quando si parla di giustizia, è diventata ancora più esasperata da quando l'improvvida decisione di Matteo Renzi di disporre con legge pensionamenti anticipati, presentati come un ampio «ricambio generazionale», che non c'è stato e non c'è, ha scatenato la lotta per l'assegnazione dei posti di vertice di gran parte degli uffici giudiziari.Nella gestione delle nomine, come ha dimostrato l'inchiesta di Perugia, le scelte vengono pesantemente determinate dalle varie componenti presenti nel Csm dove siedono laici eletti dal Parlamento, cioè dai partiti, e togati scelti dalle varie correnti della magistratura, eletti dai colleghi. L'esperienza insegna che, per ottenere un posto di responsabilità e di prestigio, il candidato deve avere il gradimento delle due componenti. Ed è inevitabile che i curricula dei partecipanti alle procedure siano esaminati almeno sotto due profili, uno per qualche verso «politico», come emerge dalle critiche di Matteo Salvini ad alcuni giudici che a lui sono apparsi ideologicamente qualificati, l'altro dell'appartenenza ad una determinata corrente dell'Anm. Fuori di questa logica non c'è spazio. Clamoroso il caso di Giovanni Falcone, che nonostante l'esperienza che poteva vantare nella lotta alla mafia, fu superato nell'attribuzione del posto di capo dell'Ufficio istruzione di Palermo da un collega, certamente più anziano, ma con un'esperienza che forse sarebbe stato meglio utilizzare altrove. Una soluzione s'impone, dunque, rapidamente per restituire serenità alla magistratura con una modifica incisiva della composizione degli organi di autogoverno. Ma serve una modifica della Costituzione che prevede l'elezione. La soluzione è una sola, quella di prevedere che i componenti togati siano scelti sulla base di un sorteggio tra tutti i magistrati in servizio, tenendo conto di anzianità e funzioni svolte, in modo da assicurare all'organo di autogoverno esperienze e professionalità diverse capaci di una equilibrata valutazione delle candidature ai vari posti di funzione. Ci sarà sempre la possibilità che un magistrato sorteggiato nel Csm possa essere «sensibile» alle aspettative del collega di concorso o che ha condiviso con lui qualche esperienza professionale. Ma non ci sarà più una scelta per motivi di appartenenza correntizia a tutti i costi, anche quando sia evidente che il candidato non ha i requisiti per ricoprire il ruolo per il quale concorre.
Un frame del video dell'aggressione a Costanza Tosi (nel riquadro) nella macelleria islamica di Roubaix
Giornalista di «Fuori dal coro», sequestrata in Francia nel ghetto musulmano di Roubaix.
Sequestrata in una macelleria da un gruppo di musulmani. Minacciata, irrisa, costretta a chiedere scusa senza una colpa. È durato più di un’ora l’incubo di Costanza Tosi, giornalista e inviata per la trasmissione Fuori dal coro, a Roubaix, in Francia, una città dove il credo islamico ha ormai sostituito la cultura occidentale.
Scontri fra pro-Pal e Polizia a Torino. Nel riquadro, Walter Mazzetti (Ansa)
La tenuità del reato vale anche se la vittima è un uomo in divisa. La Corte sconfessa il principio della sua ex presidente Cartabia.
Ennesima umiliazione per le forze dell’ordine. Sarà contenta l’eurodeputata Ilaria Salis, la quale non perde mai occasione per difendere i violenti e condannare gli agenti. La mano dello Stato contro chi aggredisce poliziotti o carabinieri non è mai stata pesante, ma da oggi potrebbe diventare una piuma. A dare il colpo di grazia ai servitori dello Stato che ogni giorno vengono aggrediti da delinquenti o facinorosi è una sentenza fresca di stampa, destinata a far discutere.
Mohamed Shahin (Ansa). Nel riquadro, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (Imagoeconomica)
Per il Viminale, Mohamed Shahin è una persona radicalizzata che rappresenta una minaccia per lo Stato. Sulle stragi di Hamas disse: «Non è violenza». Monsignor Olivero lo difende: «Ha solo espresso un’opinione».
Per il Viminale è un pericoloso estremista. Per la sinistra e la Chiesa un simbolo da difendere. Dalla Cgil al Pd, da Avs al Movimento 5 stelle, dal vescovo di Pinerolo ai rappresentanti della Chiesa valdese, un’alleanza trasversale e influente è scesa in campo a sostegno di un imam che è in attesa di essere espulso per «ragioni di sicurezza dello Stato e prevenzione del terrorismo». Un personaggio a cui, già l’8 novembre 2023, le autorità negarono la cittadinanza italiana per «ragioni di sicurezza dello Stato». Addirittura un nutrito gruppo di antagonisti, anche in suo nome, ha dato l’assalto alla redazione della Stampa. Una saldatura tra mondi diversi che non promette niente di buono.
Nei riquadri, Letizia Martina prima e dopo il vaccino (IStock)
Letizia Martini, oggi ventiduenne, ha già sintomi in seguito alla prima dose, ma per fiducia nel sistema li sottovaluta. Con la seconda, la situazione precipita: a causa di una malattia neurologica certificata ora non cammina più.
«Io avevo 18 anni e stavo bene. Vivevo una vita normale. Mi allenavo. Ero in forma. Mi sono vaccinata ad agosto del 2021 e dieci giorni dopo la seconda dose ho iniziato a stare malissimo e da quel momento in poi sono peggiorata sempre di più. Adesso praticamente non riesco a fare più niente, riesco a stare in piedi a malapena qualche minuto e a fare qualche passo in casa, ma poi ho bisogno della sedia a rotelle, perché se mi sforzo mi vengono dolori lancinanti. Non riesco neppure ad asciugarmi i capelli perché le braccia non mi reggono…». Letizia Martini, di Rimini, oggi ha 22 anni e la vita rovinata a causa degli effetti collaterali neurologici del vaccino Pfizer. Già subito dopo la prima dose aveva avvertito i primi sintomi della malattia, che poi si è manifestata con violenza dopo la seconda puntura, tant’è che adesso Letizia è stata riconosciuta invalida all’80%.






