2025-11-09
«In cella per un video sui migranti a zonzo»
L’attivista francese Jean-Eudes Gannat: «È bastato documentare lo scempio della mia città, con gli afghani che chiedono l’elemosina. La polizia mi ha trattenuto, mia moglie è stata interrogata. Dietro la denuncia ci sono i servizi sociali. Il procuratore? Odia la destra».Jean-Eudes Gannat è un attivista e giornalista francese piuttosto noto in patria. Nei giorni scorsi è stato fermato dalla polizia e tenuto per 48 ore in custodia. E per aver fatto che cosa? Per aver pubblicato un video su TikTok in cui filmava alcuni immigrati fuori da un supermercato della sua città. «Quello che mi è successo è piuttosto sorprendente, direi persino incredibile», ci racconta. «Martedì sera ho fatto un video in cui passavo davanti a un gruppo di migranti afghani che si trovano nella città dove sono cresciuto. Sono lì da alcuni anni, e ogni sera, vestiti in abiti tradizionali, stanno per strada a chiedere l’elemosina; non si capisce bene cosa facciano. Sono seduti per terra, ecco. Li ho filmati dicendo che non capivo come mai, anche nel profondo della campagna francese, in piena campagna, ci siano ormai dei migranti che stanno lì senza fare nulla. Ecco, è tutto ciò che ho detto. Ho aggiunto un testo dicendo che ero stufo di vivere con i cugini dei talebani. Erano circa le 18 o 19 quando ho pubblicato questo video, e il giorno dopo, mercoledì a mezzogiorno, ho ricevuto una telefonata dalla polizia che mi ha detto che dovevo presentarmi al commissariato per questo motivo».L’hanno convocata, e poi?«Sono stato quindi interrogato e posto in stato di fermo, a causa di questo piccolo video su TikTok che dura 20 secondi. Il fermo è durato da mercoledì a venerdì a mezzogiorno, con molte audizioni e domande. Anche mia moglie è stata interrogata: lei non è stata messa in stato di fermo, non è stata chiusa in cella come me, ma l’hanno fatta venire per farle delle domande sui nostri figli, da quanto tempo abitavamo lì, il nostro indirizzo, il mio lavoro...».E quale era la motivazione ufficiale della sua presa in custodia? «Ufficialmente si tratta di istigazione all’odio razziale per via dell’etnia, della religione o della nazionalità di una persona. In realtà, è successo che i quattro afghani hanno sporto denuncia contro di me, probabilmente aiutati da un’assistente sociale, poiché sono alloggiati nell’ex ospedale della mia città. L’ospedale è dismesso. Sono ospitati da un’associazione finanziata con sovvenzioni pubbliche, cioè con le nostre tasse, e sono andati a sporgere denuncia subito dopo la pubblicazione del mio video, per istigazione all’odio razziale».Quindi per questo motivo lei è rimasto in cella per tutto quel tempo?«Sì. Due giorni e mezzo, 48 ore».Quando ci sarà il processo?«All’inizio, volevano processarmi immediatamente. Sono rimasto 48 ore in stato di fermo, e il giudice - anzi, il procuratore della Repubblica di Angers, che mi detesta, che odia i patrioti e la destra - voleva farmi passare in comparizione immediata, cioè avrei dovuto giudicato subito dopo il fermo. Tempo fa mi sono difeso contro alcuni rivoltosi: c’erano grandi sommosse nel 2023, dopo la morte di un delinquente di nome Nahel, e tutte le banlieue francesi si erano infiammate. Mi ero difeso contro dei rivoltosi che attaccavano la sede del mio movimento, e anche allora ero stato posto in stato di fermo. Avevo persino perso la nascita del mio terzo figlio, perché il procuratore insisteva per farmi processare lo stesso giorno. Ebbene, questa volta è accaduta la stessa cosa: voleva che fossimo giudicati il giorno stesso. Ma, di fronte allo scandalo mediatico che si è creato, ha cambiato idea, e ora sono sotto controllo giudiziario fino al 6 maggio prossimo. In base a questo controllo giudiziario, mi è vietato, in attesa del processo, di utilizzare TikTok e Twitter per un mese».Pure...«Il procuratore voleva che il divieto riguardasse tutti i social network per sei mesi, ma alla fine è rimasto solo TikTok e Twitter per un mese. Mi è anche vietato tornare a fare la spesa nel supermercato davanti al quale li avevo filmati, che è il supermercato dove facciamo normalmente la spesa: siamo nove figli, la mia famiglia vive lì e fa la spesa lì da anni, da quando ero bambino. Ma loro, invece, hanno il diritto di tornarci». Visto che la accusano di essere un odiatore, posso chiederle quale è la sua posizione sull’immigrazione di massa?«L’immigrazione di massa è la questione fondamentale del nostro secolo, perché, in realtà, milioni e milioni di extraeuropei sono venuti in Europa, attirati dal nostro stile di vita, dalle nostre ricchezze, e utilizzati dai grandi gruppi industriali per far pressione al ribasso sui salari. È il sistema economico globalizzato che rende tutto questo possibile, insieme, nel caso della Francia, a sussidi sociali eccessivamente generosi e a un’ideologia di sinistra che porta noi europei a detestarci per ciò che siamo, fino al punto di aver preferito gli altri - con la A maiuscola - per diversi decenni. Ora le cose stanno cambiando un po’, ma questa immigrazione di massa causa enormi problemi di sicurezza, problemi di terrorismo, problemi economici, e anche se non ci fossero questi problemi, questa immigrazione di massa - che sia musulmana o cristiana, proveniente da Paesi extraeuropei - modifica la natura stessa di ciò che siamo come europei, cioè bianchi e cristiani». Anche alla luce di quello che le è accaduto crede che in Europa non ci sia più libertà di espressione?«È evidente: noi, in Europa e in particolare nell’Unione europea, siamo maestri nel dare lezioni di democrazia a tutti i Paesi del mondo: a Trump, a Putin, a Bashar Al-Assad e a chiunque altro. Ma la realtà è che la libertà di espressione in Europa è fortemente minacciata. Lo vediamo con i social network censurati, lo vediamo in Francia, con leggi recenti sui social come la legge Avia, lo vediamo con canali televisivi chiusi dall’Arcom, l’istituto che regola le emittenti. Ma in realtà, si tratta di un processo antico, che oggi comincia a scioccare gli europei. In Francia si sta verificando un certo risveglio su questa questione. Tuttavia, fin dalla fine della seconda guerra mondiale, almeno in Francia, è stato progressivamente costruito un apparato legislativo fatto di leggi contro il razzismo, leggi contro il negazionismo, che sono altrettante limitazioni alla libertà di espressione, e sono utilizzate per colpevolizzare gli europei e impedir loro di dire ciò che vedono. C’è una citazione di Charles Péguy, celebre scrittore cristiano francese, che dice: “Bisogna avere il coraggio di dire ciò che si vede, ma soprattutto bisogna avere il coraggio di vedere ciò che si vede”. Ed è proprio questo che invito a fare i nostri compatrioti francesi, ma anche i nostri amici italiani, tedeschi, svizzeri, inglesi. Devono avere il coraggio di vedere ciò che vedono. Nel Vangelo c’è una frase che dice: “Hanno occhi ma non vedono, hanno orecchie ma non odono”. Ebbene, noi abbiamo occhi per vedere e dobbiamo proclamare la verità di ciò che vediamo, ma anche di ciò in cui crediamo, nonostante la repressione possibile, anche giudiziaria. Credo che questo sia indispensabile, il primo passo verso la liberazione da questa morsa generalizzata».Lei di sicuro quel coraggio lo ha avuto. «Lei parla del mio coraggio. La verità è che è stata mia moglie a essere davvero coraggiosa, perché è lei che si è occupata dei bambini, che è stata interrogata dalla polizia mentre aveva i figli a suo carico. È lei che è rimasta a casa. E ancora una volta, bisogna lodare il coraggio e il ruolo delle donne nella nostra società, in una società cristiana: è su di loro che tutto poggia».