2025-11-09
Confindustria rimpiange i fondi che però anche lei chiese di tagliare
Dopo aver proposto di ridurre le sovvenzioni da 6,3 a 2,5 miliardi per Transizione 5.0., Viale dell’Astronomia lamenta la fine dei finanziamenti. Assolombarda: «Segnale deludente la comunicazione improvvisa».Confindustria piange sui fondi che aveva chiesto lei di tagliare? La domanda sorge spontanea dopo l’ennesimo ribaltamento di fronte sul piano Transizione 5.0, la misura con dote iniziale da 6,3 miliardi di euro pensata per accompagnare le imprese nella doppia rivoluzione digitale ed energetica. Dopo mesi di lamentele sulla difficoltà di accesso allo strumento e sul rischio di scarse adesioni, lo strumento è riuscito nel più classico dei colpi di scena: i fondi sono finiti. E subito gli industriali, che fino a ieri lo giudicavano un fallimento, oggi denunciano «forte preoccupazione» e chiedono di «tutelare chi è rimasto in lista d’attesa».Eppure solo qualche mese fa, tra marzo e aprile, il fronte industriale suonava tutt’altra musica. L’8 marzo Marco Nocivelli, vicepresidente di Confindustria per le politiche industriali, dichiarava a Innovation Post: «La stima di Confindustria sull’utilizzo dei fondi di Transizione 5.0 è 2-2,5 miliardi… d’accordo a dirottare altrove le risorse inutilizzabili, purché vadano a supporto dell’innovazione». Una settimana dopo, il 7 aprile, Emanuele Orsini, numero uno di Viale dell’Astronomia, rincarava la dose: «Ormai si è capito che Industria/Transizione 5.0 non funziona… inutile continuare a spingere su una misura che, se va bene, assorbirà due miliardi». A marzo il ministro per gli Affari europei, Tommaso Foti, seguendo proprio le lamentele di Confindustria, aveva parlato di un «bagno di realismo»: «Transizione 5.0 è partita male, non c’è più tempo per spendere tutti i 6 miliardi». Dei 6,3 miliardi iniziali, appena mezzo miliardo risultava richiesto dalle imprese. Una fotografia impietosa che portò alla decisione, richiesta con Confindustria, di ridurre la dote a 2,5 miliardi, destinando il resto a misure europee «più semplici e orientate alla competitività».Fino all’estate gli industriali si sono mostrati d’accordo: troppo complessa la misura, troppo strette le maglie del Pnrr, troppo poco tempo per investire. Poi la svolta. Il meccanismo - rivisitato dopo il confronto con la Commissione Ue ingaggiato dal ministro Urso - comincia a funzionare, le domande aumentano in fretta e i fondi - ridotti - si esauriscono. A quel punto, come in un copione già scritto, il fronte si capovolge: «Si tratta di una decisione che mette in difficoltà numerosissime imprese e che sta generando forte preoccupazione», ha dichiarato Nocivelli, chiedendo «meccanismi di fast track» per chi è rimasto fuori.Ma quale decisione? Quella di avvisare che i soldi sono finiti. Il ministro Adolfo Urso, che da mesi aveva previsto l’aumento del tiraggio, ha spiegato: «C’è stata una significativa accelerata delle richieste da parte delle imprese, quindi abbiamo chiuso lo sportello consentendo comunque la presentazione di nuovi progetti che speriamo di finanziare con altre risorse». E non ha perso l’occasione per replicare alle critiche: «Transizione 5.0 negli ultimi mesi ha avuto un’accelerazione, a dimostrazione che lo strumento era performante rispetto ai bisogni delle imprese». «La comunicazione improvvisa, da parte del ministero delle Imprese e del Made in Italy, relativamente all’esaurimento delle risorse legate a Transizione 5.0, rappresenta un deludente segnale di incoerenza rispetto alla volontà dichiarata di sostenere lo sforzo delle imprese», commenta invece il presidente di Assolombarda, Alvise Biffi. Si tratta di «una scelta preoccupante, anche alla luce della difficile congiuntura economica. Assistiamo, infatti, a un ulteriore fattore di incertezza che penalizza le aziende che contavano di utilizzare l’ultimo periodo stabilito dalla misura», in scadenza il 31 dicembre. «Le aziende, che all’inizio erano state scoraggiate dalla scarsa chiarezza delle regole previste da Transizione 5.0, si trovano adesso a fare i conti con una chiusura inattesa, che va in controtendenza rispetto alla necessaria pianificazione degli investimenti», aggiunge Biffi. Alla base dello sfogo ci sarebbe l’attesa durata 16-17 mesi, da gennaio 2024 a maggio scorso, per avere decreti attuativi efficaci, rivisti un paio di volte insieme al ministero. La partita, insomma, forse non è ancora finita.