2023-03-11
«A papà Sergio non piaceva la tv. E lei si è vendicata dimenticandolo»
Claudia Endrigo, la figlia del grande artista: «Era una faccia triste che cantava poesia. Ma era una persona allegra, con tanti interessi, adorava cucinare, gran raccontatore di barzellette. Resta amatissimo dalla gente e dai suoi colleghi».Impossibile dimenticare Sergio Endrigo e le canzoni che ha composto e interpretato. In un presente in cui il cinismo talvolta travalica la decenza, nel rivedere e risentire l’artista nato a Pola, in Istria, nel 1933 e volato via nel 2005, ci si emoziona. Cantava sentimenti edificanti ma soprattutto autentici, come traspariva dallo sguardo serio e ispirato. Il suo talento poetico emerse fin dal primo album, del 1962, che contiene, tra le altre, una ballata d’essai di amore e morte, Via Broletto 34, e il brano, intenso ma più adatto al grande pubblico, che lo acclamò, Io che amo solo te. A Sanremo, nel 1968, vinse con Canzone per te, nel 1969 giunse secondo con Lontano dagli occhi e nel 1970 fu terzo con L’arca di Noè. Interpretò testi per l’infanzia che il sistema dello spettacolo ridusse a stereotipo. Poi, subì una sorta di marginalizzazione che, tuttavia, non fu un oblio. Ancor oggi, infatti, gli italiani ne provano nostalgia. Con Claudia Endrigo, classe 1965, unica figlia del cantautore, nata a Roma e sempre vissuta nella capitale, autrice del libro Sergio Endrigo, mio padre (Baldini+Castoldi), riflettiamo su molti perché.Perché la figura di suo padre non è ricordata come dovrebbe, ad esempio a Sanremo?«Non lo so. Mi sono resa conto amaramente che questo è un Paese di figli e figliastri, per cui ci sono artisti osannati anche in vita e altri inspiegabilmente dimenticati come Amedeo Minghi, Bruno Lauzi, Mango. Papà è amatissimo dalla gente e dai suoi colleghi che continuano a cantarlo e non finirò mai di ringraziarli. È un ostracismo che non comprendo. Le racconto un episodio».Prego.«L’anno scorso vengo contattata da qualcuno della Rai che mi dice che il 7 settembre avrebbero fatto una puntata di Techetechetè dedicata a lui. Ho pensato: “Nevicherà”, perché in questi 18 anni la Rai non ha mai dedicato una puntata a Endrigo. Poi mi arriva un messaggio. Mi dicono che la trasmissione si chiamerà “I due poeti”. Chiedo: “Come i due poeti?”. Risposta: “No, perché c’è anche Paoli”. Dico: “Ma Gino Paoli non è morto”. Allora pretendo rispetto per me e per la figura di mio padre. Se era una puntata monotematica ne sarei stata felicissima, ma con Paoli assume tutto un altro significato. Non solo. È andata in onda il 6 settembre. L’anniversario della morte di mio padre è il 7. E allora ’affanculo, scusate». Non per insistere, ma vede un motivo specifico di questa sottovalutazione del ricordo?«Forse c’è, ma può darsi che io non sia in grado di vederlo. Le racconto un altro fatto. Quando Claudio Baglioni condusse il festival di Sanremo, decise di introdurre il “Premio Sergio Endrigo alla migliore interpretazione”. A parte che nessuno mi disse mai nulla, andato via Baglioni, il premio è scomparso. Ho chiesto con educazione a Stefano Coletta per quale motivo: non mi ha neanche risposto e nemmeno al mio avvocato che ha scritto alla Rai». Fabrizio De André, dopo il successo di Endrigo a Sanremo nel 1968, scrisse che quella fu «una vittoria del buon gusto, dell’autenticità ispirativa, della poesia sulla banalità». 50 anni dopo, all’ultimo Sanremo si sono viste cose di gusto discutibile. Che ne pensa?«Sanremo mi sembra un gigantesco circo surreale, dove la canzone è l’ultima delle protagoniste, quando invece dovrebbe essere la prima… Io lo seguo tutti gli anni perché spero sempre ci sia quel barlume di luce. L’anno scorso mi è piaciuta Brividi e poi nel 2020 Fai rumore di Diodato e poi Tosca. Ma nessuna canzone, quest’anno, mi ha fatto emozionare». Dopo la sua celebrità, quali ostacoli incontrò Endrigo e perché fu marginalizzato?«Secondo me per vari motivi. Purtroppo il disco Ci vuole un fiore, che ebbe un successo incredibile, ancora insegnato nelle scuole ai bambini, ha segnato un po’ una rottura».In che senso?«Nel senso che mio padre fu additato come cantautore per i bambini, quando lui non ha mai scritto un verso per bambini. Ha musicato Gianni Rodari, cantato Vinicius de Moraes con l’album l’Arca, ma anche l’Arca di Noè, che è considerata una canzone per bambini ma non lo è. Poi ha continuato a fare canzoni e album straordinari ma all’epoca la Warner e altri non hanno distribuito e promosso i dischi, non so perché. Ci sono dischi meravigliosi usciti dopo il 1974, fino a Altre emozioni, il suo ultimo brano, secondo me un capolavoro, del 2003, due anni prima di morire. Mio padre non ha mai ceduto ai compromessi, non è che proprio amasse il mondo della televisione, forse per questo è stato un po’ emarginato. Ricordo che negli ultimi anni ogni tanto veniva chiamato, solo per Ci vuole un fiore e gli dissi: “No, basta!”. E lui rispose: “Hai ragione, non ci vado”. Mi sembrava molto riduttivo. Sergio Endrigo non è solo Ci vuole un fiore, ha musicato Pier Paolo Pasolini, fatto un disco con Giuseppe Ungaretti, Vinicius de Moraes, è un cantore d’amore». È vero che si risentì quando Alighiero Noschese ne fece un’imitazione sarcastica, circondato da ballerine vestite da vedove?«Si risentì moltissimo. A uno della Bussola disse di far sapere a Noschese che “se continua così gli spacco la faccia”. Noschese smise». Malinconia o allegria sono stati d’animo che in chiunque si alternano…«Secondo me papa aveva la saudade, che non è tristezza, Vinicius De Moraes dice che non si può fare samba senza un po’ di tristezza. Ci sono due canzoni, Via Broletto e Quando c’era il mare in cui finisce male. Papà diceva che bisogna vivere e non morire d’amore, ma anche che difficilmente si canta l’amore felice. Gianni Morandi è stato etichettato come l’eterno ragazzo, papà avevano deciso che era triste. Diceva: “Io non ho la faccia che ride, Morandi ha la faccia che ride, anche se non ride”». Come ricorda la sua personalità?«Era una persona allegra, con tanti interessi, adorava cucinare, era un gran raccontatore di barzellette, ricordo estati meravigliose a Pantelleria, andavamo a pesca insieme… Poi è sopraggiunta la depressione, soprattutto per i problemi all’udito che ha avuto e nessuno ci ha capito nulla, e qualche problema economico». E la sua figura di padre, come lo rammenta?«Ricordo stupendo. Sono stata molto amata. Mi adorava, mi sentivo protetta, questo l’ho capito dopo la sua morte. Lui non era il padre-chioccia, non era geloso, mai stato possessivo, ma c’era. È stato il mio porto sicuro. Dopo la sua morte ho avuto un crollo, attacchi di panico, e ho capito che era proprio questo, lui c’era senza esserci, non era ingombrante». Difetti?«Detesto che quando uno muore diventa subito santo. Mio padre aveva difetti come tutti. Si portava questioni non risolte dell’infanzia, non ha quasi conosciuto il padre, che morì quando papà aveva 6 anni. Passò 3 anni a casa degli zii perché mia nonna non aveva mezzi. Sergio Bardotti, paroliere e grande amico di papà, una volta disse che il peggior nemico di mio padre era stato proprio lui stesso e quindi la scarsa fiducia in sé stesso. Il fatto di non aver studiato lo faceva sentire meno degli altri, mentre doveva essere il contrario perché il suo è tutto talento, ha imparato a suonare la chitarra da autodidatta… Morricone disse che Aria di neve era degna dei grandi compositori del passato. E poi era pigro, indolente, come me…».Che gratificazioni e delusioni ebbe dal mondo della canzone?«Ha avuto enormi gratificazioni, non si aspettava questo successo. Negli anni dopo la crisi, dopo Sanremo dell’86, soffriva moltissimo… Per un artista credo che essere messo immotivatamente all’angolo sia una delle cose più atroci che possano capitare… Io, all’ultimo Sanremo, mi sono profondamente commossa quando ho visto Peppino Di Capri sul palco… Pensavo a papà. E capisco perché Morandi cerchi di essere sempre sulla cresta dell’onda». Quale società avrebbe voluto?«Era sensibile alle ingiustizie, alla violenza, all’arroganza, ogni tanto penso amaramente (si commuove) che sono quasi contenta che non ci sia più, perché io non mi riconosco più nel mondo che stiamo vivendo, durante questa pandemia è uscito il peggio dell’umanità. Papà diceva che stronzi non si diventa, ma ci si nasce. Questa gente era già così prima, non vedeva l’ora di sputare e di additare i no vax come untori, dicendo “magari muori, intubato…”. Mi sono chiesta: “Ma questa gente appartiene al mio stesso genere umano?” Nooo… E allora penso: “Meno male che non c’è più”. Non ho mai avuto figli ma sono contenta di non avere dei ragazzi da lasciare in questo mondo, tale è l’imbarbarimento, basta vedere lo schifo degli odiatori seriali sui social…». Suo padre era timido?«Sì, era riservato e anche timido».Era credente?«No».E lei?«No, ma mi piacerebbe esserlo, perché la fede dà grande conforto, soprattutto quando si perdono i propri cari».Le capita di cercare una sua presenza, di immaginare di ritrovarlo?«Quando ero più giovane avevo paura della morte. Ora sono anni che non ne ho paura, anche se mi scoccerebbe un po’ soffrire. In fondo credo che tutti noi, quando ci manca qualcuno che abbiamo amato tanto, speriamo di ritrovarlo, chissà dove, non lo so. Ho sempre avuto cani e gatti, ora ho un cane e tre gatti, e quando muoiono spero sempre stiano correndo nei prati, liberi e felici. Credere che si sia un aldilà meraviglioso aiuta molto, io ogni tanto mi ci aggrappo, ma, insomma, non ci credo tanto, ecco». Cosa desidererebbe fosse fatto per ricordare Sergio Endrigo e la sua poetica? «Che fosse ristampato tutto il suo catalogo, cosa che non è mai stata fatta, anche perché me lo chiedono gli amanti della sua musica».
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