2022-04-11
Scuola a pezzi. Ma non dovevate salvarla?
Prof no vax pagati per non fare nulla, un concorsone ridicolo, la Dad che rimane, gli impianti di aerazione ignorati. E aule trasformate in depositi di banchi rotti. Il ministro Patrizio Bianchi aveva il compito di fare dimenticare Lucia Azzolina: sta riuscendo a fare peggio.Il pedagogista Giorgio Chiosso: «Gli insegnanti sono lasciati soli, il senso di responsabilità di alcuni non basta a cambiare il sistema. Nel fare le scelte si pensa solo a non perdere tempo».Quiz ai precari, il linguista Massimo Arcangeli: «Per il ministero sarebbe un problema se in troppi superassero le prove».Lo speciale contiene tre articoli.All’inizio erano i banchi con le rotelle, fiore all’occhiello del secondo governo di Giuseppe Conte, brillante trovata dell’allora ministra Lucia Azzolina. Dovevano essere l’argine alla diffusione del Covid nelle classi, in realtà hanno fatto felici solo le aziende costruttrici. Costo dell’operazione 119 milioni di euro più 199 milioni per quelli tradizionali monoposto. Una valanga di soldi, ma il virus giustificava anche spese dissennate. Dopo più di un anno, il virus continua a girare indisturbato nelle classi, ma in compenso i ragazzi soffrono il mal di schiena. In Veneto l’assessore regionale all’Istruzione, Elena Donazzan, ha detto chiaramente che «sono assurdi e poco salutari». Sono il simbolo della lunga catena di errori compiuti negli ultimi due anni nelle scuole italiane.Ma dopo la Azzolina è arrivato Patrizio Bianchi, un bolognese amico di Romano Prodi scelto da Mario Draghi per correggere il tiro al ministero dell’Istruzione. Doveva salvare la scuola dopo i disastri della ministra a 5 stelle, invece la scuola italiana è sempre più a pezzi. Il massimo del paradosso si è raggiunto nei giorni scorsi con le misure per riportare a scuola i docenti non vaccinati. In base al decreto Riaperture, dovrebbero svolgere «attività di supporto all’istituzione scolastica» ma non possono insegnare e stare a contatto con gli alunni. Cosa si intenda per «attività di supporto» è un mistero. In attesa di lumi vengono parcheggiati in qualche locale a fare nulla. Risultato: siccome vanno sostituiti in classe, per ogni insegnante non vaccinato bisogna pagare due stipendi, il suo e quello del supplente. C’è poi la contraddizione che altro personale scolastico non vaccinato continua svolgere le mansioni ordinarie spesso a contatto con gli studenti. Fioccano le lettere dei docenti su Internet. Il sito Orizzontescuola.it riporta messaggi indignati: si parla di «mobbing di Stato contro persone sane», di «esilio dalle classi», di «provvedimento punitivo del governo», di «illegittimo demansionamento senza nessuna certificazione di inidoneità» o di «vendetta su chi ha osato scegliere di non vaccinarsi». Sono state segnalate scuole che hanno assegnato agli esclusi dalle aule il compito di catalogare libri e sistemare archivi mentre gli alunni, nei mesi decisivi per il voto finale, sono affidati a supplenti spesso alle prime armi. Un’altra carta risolutiva verso il ritorno alla normalità doveva essere un sistema di organizzazione delle aule con impianti di riciclo dell’aria. Se ne era parlato fin dall’inizio della pandemia, non se n’è fatto nulla a parte spalancare le finestre anche nelle giornate fredde. Eppure uno studio della Fondazione Hume in collaborazione con la Regione Marche ha dimostrato che nelle scuole dotate di un impianto di ventilazione meccanica controllata il rischio di contagio scende dell’80%. «Così si limita la propagazione del virus più del vaccino, che comunque è insostituibile contro la malattia grave e la morte», va dicendo da tempo il presidente della Fondazione, Luca Ricolfi, ma nessuno lo ascolta. Il sistema adottato in 316 classi nelle Marche grazie a un finanziamento di 9 milioni dalla Regione ha garantito sempre lezioni in presenza evitando la mitica Dad, la didattica a distanza. Perno della gestione di Azzolina, la Dad significa classi chiuse. Fallita l’operazione distanziamento, improvvisamente gli insegnanti si sono trovati a dover organizzare lezioni da remoto, senza esperienza né strumenti. Da casa i genitori hanno cercato alla meglio di rispondere all’emergenza tra mille difficoltà, come la connessione Internet carente e la mancanza di strumenti informatici (pc e tablet). Per molti studenti è stata una sorta di lunga vacanza che rimarrà come un buco formativo nel curriculum quando si confronteranno con il mercato del lavoro e per gli insegnanti è un incubo vista la difficoltà al ritorno alla normalità in presenza. Ma neppure con Bianchi la Dad è stata accantonata in una girandola di decreti ministeriali che per mesi ha cambiato le regole a seconda del numero di contagiati nelle aule. E ora che in teoria si dovrebbe andare verso la normalità le situazioni paradossali si sono moltiplicate, perché la Dad c’è ancora. Dal 1° aprile sopravvive per i positivi asintomatici o paucisintomatici, con procedure farraginose. La famiglia deve inoltrare all’istituto la richiesta di seguire le lezioni da casa accompagnata da certificato medico, che però spesso arriva tardi (accade soprattutto nei fine settimana). In mancanza, il preside il ragazzo finisce in una sorta di limbo perdendo giorni di lezione. C’è poi il capitolo concorsone. Il ritorno alla normalità per la scuola doveva essere accompagnato da un aumento del numero di insegnanti di ruolo regolarizzando molti precari. Il maxi concorso, tanto atteso, alla fine è arrivato ma con un sorpresone: i quiz sembrano fatti apposta per non essere superati. La percentuale degli ammessi alla prova orale è molto bassa: in alcune regioni, meno della metà dei posti banditi. Una trappola fatta di domande ambigue, fuorvianti e talvolta sbagliate. «È un rischiatutto», tuonano i sindacati. Una lotteria nella quale a perdere è la scuola.Naturalmente, il caos ha dato luogo a immancabili contestazioni studentesche. A Milano, da inizio anno si sono susseguite 25 occupazioni di scuole superiori, una protesta lunga quasi tre mesi. Lo stesso clima si respira a Roma. Per settembre si preannunciano altri disagi perché un’altra promessa del governo è clamorosamente fallita: quella di garantire il distanziamento con un numero maggiore di aule. Solo a Roma a settembre 3.000 alunni rischiano di restare senza classe: una scuola della capitale su 4 è priva di spazi. L’assurdo è che in certi istituti le aule ci sarebbero ma non possono essere usate perché sono state trasformate in magazzini. Sono occupate fino al soffitto da sedie, armadi e banchi rotti, perfino dagli scrittoi a rotelle targati Lucia Azzolina. Oppure si trovano in stabili pericolanti. O ancora sono occupati dagli ex custodi degli edifici. In pensione. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/scuola-pezzi-non-dovevate-salvarla-2657131895.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="non-ce-un-freno-al-decadimento" data-post-id="2657131895" data-published-at="1649654178" data-use-pagination="False"> «Non c’è un freno al decadimento» Giorgio Chiosso (YouTube) «Saranno ricordati come la generazione del Covid. Porteranno una macchia indelebile nel loro curriculum e dovranno impegnarsi il doppio per recuperare i due anni di insegnamento carente durante la pandemia». Giorgio Chiosso, professore emerito di pedagogia all’università di Torino, lancia il sasso: «C’è un collusivo decadimento della scuola di cui solo in parte la Dad è responsabile». Si poteva fare di più e meglio? «Non me la sento di condannare la didattica a distanza. La Dad di per sé non è uno strumento negativo, dipende da come si usa. Ci sono esempi di professori che hanno saputo e voluto rimodulare la propria professionalità e garantire agli studenti un percorso scolastico senza tanti buchi dovuti alle lezioni intermittenti. Ma ci sono altresì tanti (troppi) esempi pessimi, di chi si è lasciato andare nel disastro generale e ha gettato la spugna». A che cosa si riferisce? «In generale gli insegnanti sono stati presi di sorpresa dalla nuova organizzazione emergenziale della scuola e si sono sentiti soli. Ha agito molto il senso di responsabilità individuale a prescindere dalle indicazioni delle istituzioni. È emersa l’assenza di una formazione tecnologica del corpo docente alla quale bisognerà provvedere con tempestività. I concorsi dovranno tener conto di questa nuova voce e mi sembra che i quiz previsti per i concorsi in atto appartengano a una vecchia logica. Sono già superati e incapaci di riflettere le esigenze di una scuola moderna». Il concorsone ha quindi dato la spallata finale a una scuola già allo sbando? «Se potessi dare un consiglio, direi di abolire i quiz. Vanno recuperate le prove orali e scritte in presenza con una dislocazione geograficamente circoscritta. Limitare le aree delle selezioni eviterebbe l’affollamento che oggi è uno dei limiti dei concorsi e che ha spinto, inseguendo il principio dell’efficientismo, ad adottare i quiz. Le domande con risposte multiple introducono inoltre il concetto di scuola come accumulo di nozioni. Insegnare è cosa ben diversa dall’insieme appiccicata di nozioni. I quiz spesso sono simili alle lotterie che poco hanno a che fare con le competenze. Ma ormai la logica che guida ogni scelta è quella di non perdere tempo e il presunto efficientismo sembra lo strumento adatto a questo scopo». Concorsi decentrati, come? «I concorsi dovrebbero essere circoscritti a piccole zone territoriali. Invece di farli regionali, meglio provinciali o per gruppi di scuole. Una soluzione di cui si sta discutendo tra gli esperti, e che io condivido, è che le prove siano gestite dalle singole scuole. Tutti i licei di una certa area geografica, per esempio, dovrebbero mettere i posti a concorso in ragione delle loro necessità. Fondamentali sono le prove scritte. Può sembrare una banalità, ma io ho presieduto tante commissioni di esami e posso assicurare che anche a livello di concorsi per dirigenti scolastici emergevano difficoltà ortografiche e grammaticali. È essenziale inoltre dimostrare capacità di ragionamento». Come si è arrivati a tutto questo precariato? «La responsabilità è in gran parte dei sindacati e di una parte della burocrazia ministeriale che negli ultimi 40 anni hanno reso difficile l’accesso alla professione, da una parte tutelando i precari che si sono moltiplicati, e dall’altro rifiutando le selezioni geograficamente circoscritte perché, dicevano, avrebbero favorito le discriminazioni territoriali». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/scuola-pezzi-non-dovevate-salvarla-2657131895.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="i-quiz-ai-precari-sono-fatti-apposta-per-assumerne-il-meno-possibile" data-post-id="2657131895" data-published-at="1649654936" data-use-pagination="False"> «I quiz ai precari sono fatti apposta per assumerne il meno possibile» Massimo Arcangeli (Facebook) «In un primo momento ho pensato che la bassa percentuale dei promossi al primo test del concorsone dei precari fosse dovuta alla scarsa preparazione dei candidati. Ora invece, ricevendo decine di segnalazioni ho maturato l’idea che sia una strategia pianificata a tavolino. I quiz sono formulati in modo tale da garantire un’alta scrematura e non per far emergere i più bravi». Il professor Massimo Arcangeli, come linguista e docente universitario, da giorni è diventato il punto di riferimento per quei candidati che sono incappati nella tagliola del concorsone e ne sono usciti disorientati: «Al mio profilo Facebook arrivano decine di segnalazioni sulle domande della selezione». Come mai la percentuale di chi ha superato la selezione è bassa? «Sarebbe troppo facile dire che abbiamo una classe docente di ciucci. In realtà esaminando i test, in base alle segnalazioni, emerge l’incongruenza di questo concorso. Domande mal poste, ambigue, talvolta addirittura con errori madornali nel testo. Anche per chi, come me, studia la lingua italiana da una vita, sarebbe facile sbagliare e cadere nei tranelli». Ma con quale scopo? «I vincitori di concorso saranno perlopiù difficilmente riassorbibili in tempi brevi nel sistema scolastico. Quindi sarebbe un bel problema se fossero in tanti a superare le prove. Meno sono e più sono gestibili. Ci sono casi in cui su un’intera classe di partecipanti alle prove solo una persona ha superato l’esame». Ci fa qualche esempio di quiz sbagliato o assurdo? «Ce n’è uno che fa drizzare i capelli. Si cita l’articolo 34 della Costituzione, ma le risposte da opzionare si riferiscono all’articolo 33. In un quiz si chiede se la Lim, la lavagna elettronica, prima dell’uso vada connessa, sincronizzata o calibrata: a quanto pare a nessuno importa dei contenuti che saranno comunicati sulla lavagna». Sembra Rischiatutto. «Si chiede a quale punto del Piano nazionale scuola digitale corrisponda la didattica digitale integrata, se il 4, il 7, l’8 o il 10. C’è un quesito sul Canto notturno di un pastore errante dell’Asia in cui il candidato deve indicare quale aggettivo, tra quattro, Leopardi non usa mai. In un quiz gli insegnanti di scienze motorie di scuola media devono dire se il cammino è una sequenza o una successione di passi. Una follia». Si possono davvero testare così le competenze di un insegnante? «Sono prove puramente nozionistiche. Si selezionano docenti che sono mnemonicamente preparati ma manca la verifica delle capacità di relazionarsi con una classe, con i genitori, di esporre un tema in modo argomentato coinvolgendo gli studenti. Alcuni quiz non hanno nulla a che vedere con la materia che si andrà a insegnare. È il caso della domanda sulle procedure per accendere la lavagna elettronica. A me questo esame sembra un’offesa al corpo docente». Come si è arrivati a questo? «È il risultato di una globalizzazione di stampo anglo-americano. Stiamo distruggendo un sistema culturale. La formula del test è stato scelto perché fa risparmiare. La procedura online è economica grazie alla correzione automatica».
Simona Marchini (Getty Images)