2023-01-16
Quando la scienza tarocca i dati
Tra le peggiori eredità della pandemia c’è una conferma: si alterano i risultati di vari studi, compresi quelli sui nuovi medicinali. A tutto vantaggio delle case farmaceutiche.Demolita una ricerca firmata dal presidente dell’Iss e da altri soloni del ministero.L’epidemiologo John Ioannidis: «Le decisioni sono state prese su dati scorretti. Anche le vaccinazioni di massa restano questione contestata».Lo speciale contiene tre articoli.«La distorsione dei risultati negli studi scientifici peer-reviewed ha raggiunto dimensioni epidemiche negli ultimi anni. Il problema è particolarmente eclatante nella biomedicina. Molti studi che sostengono che un farmaco o un trattamento sia benefico si sono poi rivelati falsi». Questa affermazione non è di un no vax e non è recente: era il lontano 2011 quando uno dei più autorevoli epidemiologi al mondo, il professor John Ioannidis dell’università di Stanford, la pronunciava. E ci sono voluti tre dolorosi anni pandemici affinché anche «il contadino dell’Ohio», figura mitologica e rappresentativa di chi per sua fortuna è lontano dalla politica, potesse constatare amaramente che «la scienza è in declino», come ha scritto la rivista Nature pochi giorni fa. È proprio questa, la pesante eredità che ci lascia il Covid: la fiducia nella scienza e negli scienziati è crollata. Come siamo arrivati a questo penoso epilogo? A fare da apripista è stata, negli anni Cinquanta, l’industria del tabacco, che ha influenzato i media, l’opinione pubblica e l’attività legislativa. L’industria farmaceutica non ha fatto altro che seguire la stessa tabella di marcia. Se dunque i progressi della scienza ci avevano proiettato fuori dal Medioevo e dentro al futuro, qualcosa è andato storto. Nature «non sa perché», pur osservando che l’indice di rilevanza dei paper scientifici tra il 1945 e il 2010 è crollato di oltre il 90%. Un altro articolo, uscito sulla rivista peer-reviewed Sni, prova a dare un nome a questa crisi della scienza: «L’industria farmaceutica è pericolosa per la salute. La conoscenza è profondamente manipolata da società e corporazioni dannose, i cui obiettivi sono fare business e sopprimere la nostra capacità di operare scelte consapevoli, al fine di acquisire il controllo globale della salute pubblica». Conclusione banale, forse, ma plausibile. Ioannidis lo aveva segnalato già 12 anni fa. «I conflitti di interesse abbondano e influenzano i risultati. L’industria adatta i programmi di ricerca per soddisfare le sue esigenze, il che modella anche le priorità accademiche, le entrate delle riviste e persino i finanziamenti pubblici». La pandemia ha offerto più di un esempio di ricerche distorsive, soprattutto sui temi tabù: cure, mascherine, origine del virus, vaccini ed eventi avversi, vaccinazione dei bambini. Il più eclatante è stato il famoso studio sulla idrossiclorochina (Icq). Il 20 maggio 2020, Donald Trump rivela di aver iniziato una profilassi preventiva del farmaco. Appena due giorni dopo, la prestigiosa rivista The Lancet stronca l’Icq, l’Oms blocca i trial e anche Aifa ne sospende l’uso. Il 2 giugno 2020, colpo di scena: The Lancet pubblica una nota di scuse e ritira lo studio. Ma la notizia è oscurata dai media e nel frattempo vengono suggeriti farmaci alternativi come il Remdesivir della Gilead. A novembre 2020, uno studio di Didier Raoult, uno dei più citati microbiologi al mondo (h-Index 167), dimostra che molti medici francesi, che pubblicamente avevano demolito l’Icq per promuovere il Remdesivir, sono a libro paga della Gilead. A febbraio 2021 una review della Cochrane collaboration analizza nuovamente l’Icq limitandosi a «non rilevare una valenza significativa nel migliorare la prognosi della malattia». Ma la reputazione del farmaco è ormai segnata e Raoult è allontanato dall’Istituto che dirige.Un altro tabù, oggetto di discussione scientifica, riguarda le mascherine. Ancora a fine novembre 2022, il televirologo Roberto Burioni ne ha promosso l’uso, suggerendo la lettura di uno studio di Nejm non randomizzato, che ne sosteneva l’utilità «per mitigare il razzismo». Ancora peggio ha fatto il Department of health britannico il 5 dicembre 2022, pubblicando una review su 25 studi per affermare che «le mascherine riducono la diffusione del Covid in comunità». «La review è piena di errori», hanno confutato Carl Heneghan, epidemiologo a Oxford, e Tom Jefferson, autore della Cochrane Collaboration, «e gran parte degli studi citati sono osservazionali». Gli unici due randomizzati (Bangladesh e Danmask) dimostrano infatti che non c’è evidenza che le mascherine siano efficaci in comunità. «Sta succedendo qualcosa di strano», hanno scritto Heneghan e Jefferson, «i politici vogliono che continuiamo a indossare le mascherine: perché? Perché pensano che l’importante sia far vedere che fanno qualcosa; anche se questo “qualcosa” non è basato sull’evidenza».Un altro clamoroso esempio è l’articolo «The proximal origin of Sars-CoV-2» pubblicato il 17 marzo 2020 su Nature, in cui gli scienziati Andersen, Rambaut, Lipkin, Holmes e Garry sostengono la tesi dell’«origine naturale» del virus. Ci sono voluti due anni per scoprire che appena un mese e mezzo prima, il 31 gennaio 2020, sia Andersen sia Garry avevano avvisato Anthony Fauci, consigliere scientifico del presidente Joe Biden, del contrario: «L’origine naturale è praticamente impossibile», scrivevano. Fauci però temeva la diffusione della tesi dell’incidente di laboratorio, perché gli Usa finanziavano quello di Wuhan. Dopo la clamorosa inversione di rotta e la pubblicazione su Nature, Garry e Andersen hanno ricevuto una sovvenzione dal Niaid di Fauci di 8,9 milioni di dollari. E come non dimenticare gli studi sulle «rare e lievi» miocarditi post vaccino, diffusi dal guru del nostro Roberto Burioni, il professor Eric Topol? Ancora il 3 ottobre 2022, Topol ha pubblicato su Twitter i risultati di un report, evidenziando l’incidenza «nella fascia 5-39 anni», sic, e concludendo trionfante che «i benefici della vaccinazione mRna superano di gran lunga il rischio». È toccato a Vinay Prasad, epidemiologo all’università della California, smontarlo: «Spesso Topol fornisce analisi scarse e sbagliate su molti argomenti», scrive Prasad. «In questo tweet, ad esempio, accosta i risultati dei dati di bambini di 5 anni a quelli di giovani di 25 anni. Eppure è ben noto che la miocardite post vaccino è in gran parte un fenomeno post-puberale. Topol», continua Prasad, «accorpa inoltre dati di ventenni con dati di uomini di 39 anni e, stenterete a crederci, dati di uomini con dati di donne». Utile chiarimento, se non fosse che Topol è uno degli scienziati più generosamente finanziati al mondo: il «suo» centro di ricerca Scripps Research risulta aver percepito oltre 6 miliardi di dollari di finanziamenti pubblici dal Nih di Collins e Fauci in poco più di un decennio, oltre alle sovvenzioni private di Bill Gates. L’ultimo caso riguarda l’Italia, e la massima istituzione in materia di salute pubblica: l’Istituto superiore di sanità. Il 10 dicembre 2021 l’Iss ha pubblicato sul proprio sito una fake news che è ancora online. «Sia pure in misura minore, anche nell’età infantile l’infezione da Sars-CoV-2 può comportare rischi per la salute», scriveva l’Iss, «tanto è vero che circa 6 bambini su 1.000 vengono ricoverati in ospedale e circa 1 su 7.000 in terapia intensiva». Ora, se i bambini di 5-11 anni (cui era diretta la campagna vaccinale in quei mesi) sono 3.194.351 e tra loro ci sono stati 1.453 ricoveri, basta dividere 1.453 per 3.194.351 e moltiplicare per 1.000 per scoprire che il risultato non è «6 su 1.000» come scrive l’Iss, ma 0,455 su 1.000. E basta dividere 36 terapie intensive per 3.194.351 bambini per scoprire che i bambini in terapia intensiva per Covid non sono «1 su 7.000» come scrive l’Iss, ma 1 su 88.732.«La capacità di dimostrare qualcosa di falso deve essere un segno distintivo della scienza», sosteneva ottimisticamente Ioannidis nel 2011. C’è riuscita? Si direbbe proprio di no.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/scienza-dati-covid-manipolazione-2659231386.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="uno-statistico-prende-in-castagna-brusaferro" data-post-id="2659231386" data-published-at="1673814479" data-use-pagination="False"> Uno statistico prende in castagna Brusaferro Cosa penserà un cittadino italiano apprendendo che l’«evidenza scientifica» che lo ha tenuto a casa per mesi durante il Covid non era tale? Tutto nasce dai famigerati dpcm dell’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte: il 24 ottobre 2020 il premier dispone l’istituzione delle zone a colori, del coprifuoco e della Dad. «Ce lo dice la scienza», si giustifica Conte. Passerà quasi un anno prima che la rivista Nature Communications pubblichi, a luglio 2021, lo studio che avrebbe dovuto dimostrare che quelle decisioni erano corrette. Gli autori senior sono proprio i suggeritori delle restrizioni governative: il presidente dell’Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro, membro del Comitato tecnico scientifico, e Stefano Merler. Questi è un esperto di modelli matematici e svolge la sua attività alla Fondazione Bruno Kessler (presieduta da Francesco Profumo), ente privato che lavora con Iss, ministero della Salute e Inail e collabora con diversi atenei, tra cui la Fudan University di Shanghai. Il 30 aprile 2020 sono proprio gli scienziati della Fudan a firmare su Science insieme con Merler lo studio Zhang et Al., sulle misure di distanziamento che, secondo gli autori, hanno permesso alla Cina di fermare il Covid. Merler è specializzato in modelli matematici predittivi: a maggio 2021 aveva vaticinato «fino a 1.300 morti al giorno a metà luglio», ma il 15 luglio 2021 i decessi furono 23. Tant’è che lo stesso Mario Draghi rilevò pubblicamente e polemicamente l’incongruenza, malcelando lo stupore. Anche lo studio Manica et. Al, firmato da Merler e Brusaferro, ha inanellato una serie di errori, spiegati dallo statistico Maurizio Rainisio, che ha lavorato nella ricerca clinica e nell’epidemiologia per molte grandi industrie farmaceutiche. Secondo Rainisio, «i dati riportati nell’articolo sono semplicemente incompatibili con i dati osservati. Non c’è alcuna evidenza scientifica che le zone abbiano influito in modo positivo sull’andamento dell’epidemia, il rapporto causa-effetto non è dimostrato: le valutazioni del loro studio sono stati giochi di prestigio più pericolosi che inutili». Un esempio? «Gli autori hanno paragonato l’Rt della settimana di inizio restrizioni a quello di tre settimane dopo, osservando che nella settimana 1 era più alto rispetto alla settimana 3, per poter dire che le restrizioni “funzionavano”. Ma l’Rt era già in discesa nello stesso modo tre settimane prima dell’introduzione delle zone, e dunque non ha affatto influenzato il calo». Sulla base di questa «scienza» l’Italia ha chiuso i battenti e l’economia è andata a picco. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/scienza-dati-covid-manipolazione-2659231386.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="nessuna-evidenza-che-i-lockdown-funzionino-davvero" data-post-id="2659231386" data-published-at="1673814479" data-use-pagination="False"> «Nessuna evidenza che i lockdown funzionino davvero» Lo scienziato più titolato per capire se possiamo ancora fidarci della scienza è John Ioannidis, uno dei più autorevoli epidemiologi al mondo. Professore all’università di Stanford, in California, docente di medicina, epidemiologia e scienze biomediche, tiene corsi di salute pubblica, statistica e metanalisi. Pioniere della medicina basata sull’evidenza, è lui che ha scritto, nel 2005, uno dei testi scientifici più consultati, dall’ammiccante titolo Perché gran parte delle ricerche sono false e, pochi anni dopo, l’articolo «Un’epidemia di false evidenze». Era il 2011. Cosa è cambiato dopo dodici anni? «Trasparenza, documentazione, accuratezza e condivisione dei dati sono aumentate. Quasi tutti dichiarano i conflitti d’interesse, anche se non sappiamo se in modo completo. Qualche miglioramento c’è stato». Cosa è peggiorato, invece? «Paghiamo il prezzo del successo. Girano tanti soldi intorno alla salute e alle politiche sanitarie pubbliche. La posta in gioco è più alta. Abbiamo modelli contorti e quintali di dati non necessariamente affidabili». La qualità è diventata inversamente proporzionale alla quantità? «È così. La scienza si è “covidizzata”: quasi tutti i settori hanno pubblicato sul Covid, ma la qualità è bassa». Quale eredità ci lascia la pandemia? «Non del tutto negativa. Abbiamo l’opportunità d’imparare dai nostri errori, ma c’è stata una forte polarizzazione. Bisogna condividere i dati, essere trasparenti, fare più trial randomizzati». Quali sono stati i maggiori tabù? «Quelli di cui, paradossalmente, ancora si discute: lockdown, mascherine, vaccini, strategie di vaccinazione, bambini. Argomenti tabù, ma al tempo stesso ne ha parlato chiunque: un mix esplosivo. Certo, riguardano la vita delle persone, ma non è un clima adatto per la ricerca». Che cosa pensa oggi dei lockdown? «Non c’è stata evidenza che funzionassero. Le decisioni sono state adottate in un clima di paura e si sono basate quasi sempre su dati non corretti. È ormai chiaro che non hanno salvato vite, anzi. Sono stati fatti molti errori, ma non è facile ammetterli». A causa delle pressioni politiche? «Certo. Gli errori in politica diventano vessilli ideologici di una posizione che si finisce con il supportare a prescindere, anche se è falsa». C’è finalmente consenso sul fatto che non si doveva fare una vaccinazione di massa? «No, rimane una questione contestata. Diversi paesi sono stati molto aggressivi sugli obblighi, generando sfiducia nei confronti della gestione sanitaria. Di conseguenza molti cittadini si sono fissati sulla narrazione che i vaccini uccidono le persone. Non siamo stati capaci di comunicare: abbiamo bisogno di evidenze rigorose e di trasmetterle alla gente, lasciandola però libera di decidere». Succederà? «Non ne sono sicuro. L’approccio attuale è di continuare a offrire richiami a ogni stagione, con pochi dati immunologici e i prezzi dei vaccini che lievitano: in America siamo passati da 20 dollari a dose a 130 dollari». Negli Usa hanno inserito l’anti Covid nelle vaccinazioni pediatriche di routine… «Sono assolutamente contrario a qualsiasi tipo di obbligo, è una strategia inefficace. I genitori devono avere le informazioni per poter decidere liberamente». Cosa pensa della censura sugli scienziati, emersa dopo la pubblicazione dei «Twitter files»? «Ognuno di noi ha capito che è stata strisciante ma pesantissima. Molti miei colleghi - peraltro davvero competenti sul tema - si sono autocensurati. Chi ha cercato di fare qualcosa è stato diffamato, censurato, distrutto». È stato un fenomeno diffuso? «Io stesso e tanti altri abbiamo avuto minacce di morte, anche rivolte ai nostri familiari. La mia vita è stata in molti casi orribile, solo perché cercavo di “fare scienza”. Io non ho inclinazioni politiche, voglio soltanto verificare i miei errori per ottenere evidenze più affidabili. Dobbiamo sapere chi c’è dietro la macchina della censura: lo dobbiamo alla scienza e ai cittadini. Al tempo stesso non dobbiamo assecondare la cultura dell’odio». Le persone ora si fidano meno della scienza… «L’unica soluzione è più trasparenza. Non si ricostruisce la credibilità della scienza dicendo che non sbaglia. Guai a considerarla come una religione». In Italia, in nome del vaccino, è stato perfino impedito di lavorare. «Lo so, è orribile. Non credo nell’obbligo. La letteratura suggerisce che gli obblighi aumentino le adesioni nel breve termine, ma generino perdita di fiducia nel lungo periodo. Credo che i colleghi contrari all’obbligo siano moltissimi». Domanda da un milione di dollari: la minore letalità del Covid, di cui parla nel suo ultimo paper, dipende dai vaccini o da Omicron, più «gentile»? «Si muore di meno perché il virus è meno aggressivo, perché ci siamo infettati tutti più volte e perché ci siamo vaccinati. Abbiamo anche più trattamenti e farmaci come il desametasone o il Tocilizumab. E poi abbiamo meno paura e un approccio più calmo al trattamento. È difficile dire quale di questi fattori abbia inciso di più, non si può fare un’equazione a cinque incognite». Non è soprattutto grazie ai vaccini? «È ingenuo dire che è soltanto per merito delle vaccinazioni. Qualcuno ha scritto che i vaccini hanno risparmiato 20 milioni di vite: è una speculazione, un ragionamento molto debole, che aumenta la sfiducia verso la scienza. Anche un bambino capisce che un’equazione a cinque incognite non può essere risolta». Perché è così difficile parlare di eventi avversi? «C’è un mix di tendenze estreme. Una parte della popolazione vuole nascondere le informazioni, un’altra parte le esaspera. Dobbiamo prestare attenzione agli eventi avversi e migliorare la farmacovigilanza». Le istituzioni continuano a dire che il beneficio sui giovani supera il rischio… «Devono essere libere di dirlo, ma portando dati a supporto. È la loro reputazione a essere in gioco. Se sbagliano una, due, tre volte, la gente comincerà a farsi domande». In Italia non siamo stati molto fortunati… «Nessuna raccomandazione deve passare sopra la volontà dei singoli. Alcune sono molto ragionevoli, ma se qualcuno non vuole assumere farmaci per qualsiasi ragione, deve essere rispettato». C’è la sensazione che lo schema sia rimasto lo stesso… «Molti politici stanno cercando di salvare la faccia, perché sono stati fatti così tanti errori che non è facile dire “ho sbagliato”. È più semplice, per loro, abbandonare con disinvoltura quel paradigma, pur continuando a difenderlo. Abbiamo però bisogno di pace e di riconciliazione». Nella comunità scientifica c’è questa consapevolezza? «Ci vuole tempo. Molti colleghi pensano che ammettere gli errori sia interpretato come un segno di debolezza». Basti vedere come si parla oggi della Cina rispetto al passato. A proposito, questo vaccino cinese funziona o no? «Questo è il tipico esempio in cui serve trasparenza. Non abbiamo molti dati, forse funzionano meno, ma non è vero che non funzionano. È un peccato se alcune attitudini come la mancanza di trasparenza o l’autocensura sono riprodotte in Europa o negli Stati Uniti».
Attività all'aria aperta in Val di Fassa (Gaia Panozzo)
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Lo spettacolo Gabriele d’Annunzio, una vita inimitabile, con Edoardo Sylos Labini e le musiche di Sergio Colicchio, ha debuttato su RaiPlay il 10 settembre e approda su RaiTre il 12, ripercorrendo le tappe della vita del Vate, tra arte, politica e passioni.
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