2023-03-05
Scholz cerca l’asse con Washington. Rischio concorrenza sleale all’Italia
Nell’incontro con Joe Biden di venerdì, sul tavolo anche il piano anti inflazione Usa che danneggia la Germania. Berlino può chiedere vantaggi in cambio del raffreddamento verso la Cina. Non dobbiamo farci tagliare fuori. Dopo un anno di indecisione strategica, dovuta sia alle divisioni politiche interne sia alla difficoltà di mutare radicalmente la sua postura internazionale consolidata nei decenni precedenti, la Germania sta iniziando a riorganizzarsi e a definire una nuova strategia. Capirla in tempo utile è di rilevanza centrale per l’Italia perché la direzione che prenderà Berlino ovviamente influenzerà quella dell’Ue. Non c’è ancora un segnale chiaro di una nuova Grand strategy tedesca, ma il recente incontro tra Joe Biden e Olaf Scholz, caratterizzato da un inusuale colloquio senza testimoni e senza i tipici riti diplomatici, segnala che qualcosa di importante stia accadendo e che merita analisi pur, al momento, ipotetica. Chi scrive ha annotato negli ultimi due mesi un infittirsi delle comunicazioni esclusive tra governo tedesco e statunitense e un progressivo allineamento, ma non completo, del primo ai criteri del secondo dopo una serie di divergenze pur silenziate. Pertanto era nelle cose che a un certo punto i due attori avrebbero dovuto chiarirsi a porte chiuse. Le cronache statunitensi, con toni piuttosto compiaciuti, riferiscono un approfondimento della collaborazione, facendo riferimento allo sforzo di sostegno bellico ed economico all’Ucraina. Ma tale convergenza, pur richiedendo un lavoro preparatorio intenso tra funzionari operativi e dell’intelligence, non implica necessariamente una relazione riservata a livello di premier perché poi le conseguenze devono essere rese pubbliche via atti parlamentari. Tali conseguenze, già prima del bilaterale riservato a Washington, sono state un maggiore ingaggio delle forze armate tedesche per la fornitura di armi pesanti all’Ucraina, per esercitazioni militari congiunte tra Germania, Polonia e Stati Uniti, e altro, il tutto per segnalare la coesione della Nato come rafforzamento della deterrenza contro la Russia. Quindi l’incontro riservato è servito ad accordarsi (anche) su altre materie. Quali? I due leader non hanno voluto rispondere a domande relative alla Cina e ciò potrebbe essere un indizio che uno dei temi ombreggiati sia stato questo. Washington è stata molto assertiva nel respingere il cosiddetto piano di pace cinese per l’Ucraina e nel dissuadere la Cina a dare sostegno sia armato sia economico alla Russia. Due interpretazioni: a) Scholz ha chiesto a Biden di raffreddare le tensioni con la Cina perché la Germania ha con essa le sue principali relazioni commerciali; b) o ha chiesto una compensazione per la Germania a seguito dell’allineamento con l’America e conseguente riduzione di tali relazioni. Una prima ipotesi è quella di un mix tra le due richieste, ma con più enfasi sulla seconda. Tale sensazione è corroborata dal fatto che nell’agenda pubblica dell’incontro c’era il tema delle relazioni economiche tra Stati Uniti e Ue - il presidente della Commissione Ue sarà a Washington tra pochi giorni per evitare frizioni - nel contesto di aiuti di Stato statunitensi di tale entità da mettere in difficoltà l’industria europea, quella tedesca dell’auto in particolare. Cosa ci sarebbe di bilaterale e riservato in questa materia ben pubblica? Poiché Biden non riuscirà a siglare un trattato economico con l’Ue simile a quello impostato nel 2013 da Barack Obama (Ttip) e i cui lavori sono stati sospesi nel 2016 - il Partito popolare tedesco ed europeo chiede peraltro di riprenderli - forse Scholz ha cercato una accordo bilaterale, fuori dalle competenze dell’Ue e travestito in qualche modo, a vantaggio dell’industria tedesca. L’indizio è quello di un movimento crescente di grandi gruppi tedeschi per espandere le operazioni in America, irrobustendo la loro residenzialità: non tanto o solo per le facilitazioni, ma perché vedendo un mercato cinese sempre più impervio, anche per la concorrenza cinese che ha copiato il copiabile dai tedeschi e ora li emargina, prendere più posizione nel mercato statunitense è un requisito esistenziale per tali aziende. La sensazione è che qualcosa succederà in materia. L’America sarebbe così imprudente da fornire un tale privilegio alla Germania? A Washington, come a qualsiasi impero, piace tenere divisi gli alleati, ma non sarebbe così sciocca da farlo in modo manifesto pur dovendo dare in cambio qualcosa a Berlino per ottenerne l’allineamento. Quindi? Un modo per favorire la Germania è quello di dichiarare l’Ue un’area di «friendshoring» (area di politica industriale concertata anche se non nazionale) dove il privilegio attrattivo di Berlino sarebbe già nei fatti senza che gli europei possano protestare per un trattamento ineguale. È un’ipotesi senza indizi, al momento, ma se c’è una cosa che Roma deve guardare con attenzione è proprio questa ipotesi stessa. Però un indizio c’è: la Francia è in questo periodo sorprendentemente molto collaborativa con l’Italia e l’intelligence di Parigi segue, diciamo, «in profondità» sia le vicende americane sia quelle tedesche. Avrà visto qualcosa di simile a quanto qui accennato? Ma andiamo al macroscenario: l’America sa che deve dare qualcosa alla Germania dopo che ha perso il mercato e gas russo e che ha chiesto a Berlino un allineamento anticinese. Donald Trump cercò di imporre a Berlino l’allineamento antirusso e anticinese con il bastone (all’epoca non sbagliando), ma la situazione è cambiata. Ora c’è pax americana contro pax sinica e l’America ha bisogno dell’Ue (e viceversa), ma la Germania ha subito un’amputazione di mercato e la sua stabilità interna (in un modello trainato dall’export) ha bisogno di compensare altrove quello che ha perso. Per inciso, l’Italia ha lo stesso problema pur minore e con una maggiore capacità di «andare globale». Solo ipotesi, ma suggeriscono a Roma consultazioni riservate sia a Washington sia a Berlino. Rischi? A chi scrive sembra che ci siano più opportunità competitive da non perdere.www.carlopelanda.com
Nel riquadro, Howard Thomas Brady (IStock)
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