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2021-10-23
Musica elettronica, invenzione italiana. Si chiamava Intonarumori
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A sinistra Luigi Russolo con il suo "intonarumori" nel 1913 (Getty Images)
Chi ricorda la musica elettronica degli anni settanta e ottanta certamente ha ben presente il ruolo preponderante delle tastiere, meglio note come sintetizzatori. Gli effetti sonori "sintetici" ossia non esistenti in natura ma creati dall'elettronica, hanno avuto un ruolo primario in long playing e canzoni leggendarie. Basti pensare all'uso del sintetizzatore analogico Ems Vcs-3, che ha permesso di creare un concept album immortale datato 1973 come «The Dark Side of The Moon» dei Pink Floyd. Qualcuno certamente ricorderà i tappeti inconfondibili dei gruppi pop anni '80 generati dal mitico synth Yamaha DX-7, fino agli esperimenti digitali a 8 o 16 bit. In quegli anni caratterizzati dalla spinta all'innovazione permessa dallo sviluppo degli strumenti digitali molti ricorderanno una band inglese che nella musica elettronica fondava la propria anima creativa. Uno dei fondatori, Trevor Horn, aveva composto una hit che nel 1979 anticipò lo spirito del decennio successivo: Video killed the radio stars. Negli anni '80 Horn si unì artisticamente a Paul Morley e altri sessionmen formando gli «Art of Noise». Che tradotto in italiano significa «L'arte del rumore». Questo nome altro non era che un omaggio ad un compositore italiano al quale riconoscevano il merito di aver tracciato un secolo prima le basi della musica elettronica.
Tornati indietro di un secolo, ci troviamo a Modena nel 1913. Qui, in un laboratorio, due esponenti della corrente avanguardistica del futurismo lavoravano ad una macchina che riuscisse a riprodurre rumori di diversa natura e che soprattutto fosse in grado di modularli per includerli in una nuova concezione della musica orchestrale. Quei due artisti erano Luigi Russolo, nato nel 1885 a Portogruaro da una famiglia di musicisti e il suo amico Francesco Balilla Pratella, un compositore professionista. Entrambi intimi del fondatore del movimento futurista Filippo Tommaso Marinetti, studiarono a lungo un metodo per trasporre nella musica i dettami del manifesto del Futurismo.
Futurismo come estrema propaggine del positivismo, come un suo sviluppo in senso letterario, culturale, artistico e politico, che dell'innovazione tecnico-scientifica faceva uno strumento di rivoluzione del linguaggio e della società e di tensione all'azione finalizzato allo stravolgimento dei costumi. Tutto ciò che era tradizionale e statico era vecchio e stantìo, da rinnovare con una tensione diretta verso il mondo del futuro, slegato dai canoni tradizionali. La musica non fece eccezione nella concezione dell'universo comunicativo dei futuristi. Per Luigi Russolo, accanto agli strumenti classici che componevano l'orchestra, avrebbe dovuto trovare spazio il rumore armonizzato, essenza della nuova civiltà dinamica, industriale, urbanizzata. Nessuno degli strumenti tradizionali avrebbe potuto ricreare il fragore di una città, quello dei motori di aeroplani e di automobili, o del frastuono cadenzato delle fabbriche. Solo un'invenzione, oggetto della tensione innovativa come sintesi materiale movimento fondato da Filippo Tommaso Marinetti, avrebbe potuto raggiungere lo scopo provocatorio della rottura degli schemi musicali tradizionali, dell'armonia e della melodia canoniche. All'epoca i pionieri futuristi non avevano dalla loro parte l'aiuto dell'elettronica, che oggi irrompe in ogni aspetto della vita quotidiana. Tuttavia le scienze della meccanica avevano raggiunto livelli avanzati, tali da potersi avvicinare potenzialmente all'idea di "virtuale e sintetico" per mezzo di meccanismi sempre più complessi e sofisticati. Tali conquiste, pensò Russolo, potevano essere applicate anche alla musica, che avrebbe così potuto includere sonorità nuove ed impossibili da riprodurre fino ad allora con gli strumenti musicali acustici dell'orchestra di fiati, corde, archi e percussioni. La sfida per Russolo era quella di potere dominare i rumori, determinarne la durata, la modulazione e il timbro. In poche parole, l'obiettivo era quello di riuscire ad intonare le tipologie dei diversi rumori rendendoli modulabili come in uno strumento musicale. Un compito tutt'altro che semplice, considerati i mezzi a disposizione puramente meccanici. L'artista di Portogruaro aveva a disposizione corde, ingranaggi, bulloni, legno e manovelle. Fu da questi elementi primari che nacque il primo sintetizzatore della storia, l'"Intonarumori". Inizialmente lo strumento era composto da più elementi, ognuno in grado di riprodurre una tipologia di rumore distinta. I suoni emessi dalle scatole in legno nelle quali erano montati ingranaggi, corde, lastre in metallo e altri oggetti meccanici progettati per riprodurre rumori simili a quelli della città futurista: divisi in categorie, comprendevano scoppiatori, crepitatori, gorgogliatori, frusciatori, ronzatori, sibilatori, ululatori, rombatori e stropicciatori. Inizialmente azionati singolarmente per mano del musicista che muoveva una manovella al lato della scatola, ogni intonarumori prevedeva l'amplificazione del suono attraverso un megafono conico in cartone o metallo. Ma la vera innovazione portata da Russolo fu la possibilità di modulare dinamica e timbro di ogni singolo rumore, caratteristica basilare ancora presente nei sintetizzatori moderni. Questa possibilità era garantita da una soluzione tecnica tanto semplice (vista al giorno d'oggi) quanto geniale. Mentre l'intensità (piano-forte) era regolata a seconda della forza esercitata sulla già citata manovella, l'intonazione (ossia la modulazione delle note) avveniva per mezzo di una leva posta sulla parte superiore della scatola che il musicista azionava con la mano sinistra. Spostando la leva avanti o indietro, il meccanismo variava la tensione di una corda che muovendosi su una scala graduata rendeva il suono più grave o acuto, seguendo una scala musicale enarmonica, vale a dire che a differenza di quella cromatica tipica degli strumenti d'orchestra tradizionale o di quella diatonica (tipica di alcuni strumenti come gli accordion), comprendeva intervalli di quarto di tono, una caratteristica degli strumenti più antichi ancora oggi presente nella musica tradizionale orientale.
Inizialmente, il primo esemplare di intonarumori presentava una certa complessità di azionamento a causa del frazionamento delle singole unità di rumori rappresentate da più di 20 suoni diversi. Più tardi Russolo concepirà l'evoluzione dello strumento in quello che verrà battezzato rumorarmonio. A differenza del primo intonarumori, quest'ultimo assomigliava sempre di più ad un sintetizzatore moderno, in quanto l'azionamento manuale dei controlli di volume, tono e modulazione erano concentrati in una sorta di consolle ed elettrificati. Il nuovo strumento, realizzato dal futurista veneto nel 1922, fu chiamato anche russolofono in omaggio al suo creatore.
L'invenzione di Luigi Russolo fu il mezzo per mettere in pratica la concezione futurista della musica che, senza bisogno di sottolinearlo, mirava allo sconvolgimento di tutti i canoni precedenti. L'artista fu autore del manifesto musicale "L'Arte dei Rumori" (1916), un excursus sull'evoluzione della musica nei secoli, il saggio che influenzò quasi un secolo più tardi gli Art Of Noise. Nel trattato vi è una visione dello sviluppo evolutivo della musica parallelo a quello degli strumenti. Se nell'antichità l'armonia era sconosciuta così come la complessità degli accordi (impossibili da modulare) dal canto gregoriano in poi furono stabiliti i canoni che evolveranno nella concezione moderna della scrittura musicale. Dalle semplici terzine base degli accordi, nacquero forme musicali sempre più complesse che comprendevano anche accordi dissonanti. La rottura degli schemi, secondo la teoria musicale di Russolo, doveva balzare ancora più avanti per adattarsi alla civiltà della rivoluzione industriale, delle macchine, degli aeroplani. Se la civiltà pre-industriale era caratterizzata dal silenzio a da archetipi musicali dominati dalla melodia, la musica del futuro doveva riprodurre il rumore includendolo nell'orchestra come un elemento fisso e caratterizzante la composizione musicale. Poco distante da quello che viene chiamato synth pad (o tappeto) creato dai sintetizzatori contemporanei, usati tanto nella musica elettronica quanto nel pop e nel rock.
Il suono originale dell'intonarumori di Luigi Russolo
L' eredità di Russolo nella musica elettronica: Ems Vcs-3
La determinazione di Russolo e dei futuristi fece sì che l'intonarumori e più tardi il rumorarmonio venissero presentati al pubblico nei teatri. Dopo una fugace dimostrazione di un singolo scoppiatore nel 1913 presso il teatro Storchi di Modena, Russolo decise di portare la sua invenzione e le sue composizioni all'appuntamento col grande pubblico, con l'intenzione di "svecchiarne" l'orecchio musicale. L'appuntamento fu al Teatro Dal Verme nel centro di Milano il 21 aprile 1914, dove Marinetti avrebbe presentato al pubblico dei melomani della tradizione operistica l'invenzione di Russolo. La serata fu caratterizzata dalla presenza dei più agguerriti loggionisti, mentre la platea rimase semideserta. Russolo per l'occasione presentò tre movimenti per orchestra e intonarumori: il risveglio di una città,"pranzo su una terrazza del Kursaal e convegno di automobili ed aeroplani. Non si udì quasi nulla dei suoni sintetici del nuovo strumento perchè il pubblico cominciò a fischiare, urlare ed imprecare contro i musicisti sul palco e nei confronti di Russolo che li dirigeva. A nulla valse la preghiera di Marinetti di risevare i fischi alla fine dell'esibizione per poterla portare a termine. Anzi, agli improperi seguì un lancio di ortaggi che fece degenerare la serata. Marinetti, in compagnia dei fondatori del futurismo Carrà e Boccioni affrontarono il pubblico rispondendo alle provocazioni scendendo dal palco e degenerando in una rissa a suon di pugni e calci, fino all'intervento dei Carabinieri. Ma la zuffa proseguì fuori dal teatro fino al ristorante Savini in galleria Vittorio Emanuele, che fu costretto ad abbassare le serrande fino a che, nella notte fonda, nel silenzio della città contrapposto al fragore dei tempi moderni amato dai futuristi, la rissa si placò. Russolo rimase infuriato, tanto che nei mesi successivi cercò la rivincita. Questa volta, nell'aprile del 1914 aspettò fuori dal Conservatorio un deputato di Treviglio, l'onorevole Cameroni. L'inventore del rumore armonizzato lo sfidò a causa di un articolo che era comparso firmato dal politico sul periodico "L'Italia" che ridicolizzava la musica futurista e i suoi autori. Cameroni prese un pugno in faccia mentre era a braccetto con la moglie e ne seguì una rissa che coinvolse più persone. Alle dinamiche a lungo studiate e applicate alla modulazione del rumore futurista fece seguito qualcosa di altrettanto dinamico come il suono prodotto da schiaffi e pugni.
Russolo non si diede per vinto e fino agli anni '30, con alterne fortune, portò la sua invenzione per i teatri d'Italia e persino a Parigi. Si spegnerà nel 1947 a Laveno, sulla sponda lombarda del Lago Maggiore senza rendersi conto di quanto l'intonarumori avrebbe donato all'evoluzione della musica elettronica contemporanea.
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Le basi della musica sint-elettronica ebbero origine all'inizio del ventesimo secolo grazie al genio di Luigi Russolo, artista e compositore futurista. Inventò nel 1913 uno strumento in grado di riprodurre suoni artificiali, l'«intonarumori».Chi ricorda la musica elettronica degli anni settanta e ottanta certamente ha ben presente il ruolo preponderante delle tastiere, meglio note come sintetizzatori. Gli effetti sonori "sintetici" ossia non esistenti in natura ma creati dall'elettronica, hanno avuto un ruolo primario in long playing e canzoni leggendarie. Basti pensare all'uso del sintetizzatore analogico Ems Vcs-3, che ha permesso di creare un concept album immortale datato 1973 come «The Dark Side of The Moon» dei Pink Floyd. Qualcuno certamente ricorderà i tappeti inconfondibili dei gruppi pop anni '80 generati dal mitico synth Yamaha DX-7, fino agli esperimenti digitali a 8 o 16 bit. In quegli anni caratterizzati dalla spinta all'innovazione permessa dallo sviluppo degli strumenti digitali molti ricorderanno una band inglese che nella musica elettronica fondava la propria anima creativa. Uno dei fondatori, Trevor Horn, aveva composto una hit che nel 1979 anticipò lo spirito del decennio successivo: Video killed the radio stars. Negli anni '80 Horn si unì artisticamente a Paul Morley e altri sessionmen formando gli «Art of Noise». Che tradotto in italiano significa «L'arte del rumore». Questo nome altro non era che un omaggio ad un compositore italiano al quale riconoscevano il merito di aver tracciato un secolo prima le basi della musica elettronica. Tornati indietro di un secolo, ci troviamo a Modena nel 1913. Qui, in un laboratorio, due esponenti della corrente avanguardistica del futurismo lavoravano ad una macchina che riuscisse a riprodurre rumori di diversa natura e che soprattutto fosse in grado di modularli per includerli in una nuova concezione della musica orchestrale. Quei due artisti erano Luigi Russolo, nato nel 1885 a Portogruaro da una famiglia di musicisti e il suo amico Francesco Balilla Pratella, un compositore professionista. Entrambi intimi del fondatore del movimento futurista Filippo Tommaso Marinetti, studiarono a lungo un metodo per trasporre nella musica i dettami del manifesto del Futurismo. Futurismo come estrema propaggine del positivismo, come un suo sviluppo in senso letterario, culturale, artistico e politico, che dell'innovazione tecnico-scientifica faceva uno strumento di rivoluzione del linguaggio e della società e di tensione all'azione finalizzato allo stravolgimento dei costumi. Tutto ciò che era tradizionale e statico era vecchio e stantìo, da rinnovare con una tensione diretta verso il mondo del futuro, slegato dai canoni tradizionali. La musica non fece eccezione nella concezione dell'universo comunicativo dei futuristi. Per Luigi Russolo, accanto agli strumenti classici che componevano l'orchestra, avrebbe dovuto trovare spazio il rumore armonizzato, essenza della nuova civiltà dinamica, industriale, urbanizzata. Nessuno degli strumenti tradizionali avrebbe potuto ricreare il fragore di una città, quello dei motori di aeroplani e di automobili, o del frastuono cadenzato delle fabbriche. Solo un'invenzione, oggetto della tensione innovativa come sintesi materiale movimento fondato da Filippo Tommaso Marinetti, avrebbe potuto raggiungere lo scopo provocatorio della rottura degli schemi musicali tradizionali, dell'armonia e della melodia canoniche. All'epoca i pionieri futuristi non avevano dalla loro parte l'aiuto dell'elettronica, che oggi irrompe in ogni aspetto della vita quotidiana. Tuttavia le scienze della meccanica avevano raggiunto livelli avanzati, tali da potersi avvicinare potenzialmente all'idea di "virtuale e sintetico" per mezzo di meccanismi sempre più complessi e sofisticati. Tali conquiste, pensò Russolo, potevano essere applicate anche alla musica, che avrebbe così potuto includere sonorità nuove ed impossibili da riprodurre fino ad allora con gli strumenti musicali acustici dell'orchestra di fiati, corde, archi e percussioni. La sfida per Russolo era quella di potere dominare i rumori, determinarne la durata, la modulazione e il timbro. In poche parole, l'obiettivo era quello di riuscire ad intonare le tipologie dei diversi rumori rendendoli modulabili come in uno strumento musicale. Un compito tutt'altro che semplice, considerati i mezzi a disposizione puramente meccanici. L'artista di Portogruaro aveva a disposizione corde, ingranaggi, bulloni, legno e manovelle. Fu da questi elementi primari che nacque il primo sintetizzatore della storia, l'"Intonarumori". Inizialmente lo strumento era composto da più elementi, ognuno in grado di riprodurre una tipologia di rumore distinta. I suoni emessi dalle scatole in legno nelle quali erano montati ingranaggi, corde, lastre in metallo e altri oggetti meccanici progettati per riprodurre rumori simili a quelli della città futurista: divisi in categorie, comprendevano scoppiatori, crepitatori, gorgogliatori, frusciatori, ronzatori, sibilatori, ululatori, rombatori e stropicciatori. Inizialmente azionati singolarmente per mano del musicista che muoveva una manovella al lato della scatola, ogni intonarumori prevedeva l'amplificazione del suono attraverso un megafono conico in cartone o metallo. Ma la vera innovazione portata da Russolo fu la possibilità di modulare dinamica e timbro di ogni singolo rumore, caratteristica basilare ancora presente nei sintetizzatori moderni. Questa possibilità era garantita da una soluzione tecnica tanto semplice (vista al giorno d'oggi) quanto geniale. Mentre l'intensità (piano-forte) era regolata a seconda della forza esercitata sulla già citata manovella, l'intonazione (ossia la modulazione delle note) avveniva per mezzo di una leva posta sulla parte superiore della scatola che il musicista azionava con la mano sinistra. Spostando la leva avanti o indietro, il meccanismo variava la tensione di una corda che muovendosi su una scala graduata rendeva il suono più grave o acuto, seguendo una scala musicale enarmonica, vale a dire che a differenza di quella cromatica tipica degli strumenti d'orchestra tradizionale o di quella diatonica (tipica di alcuni strumenti come gli accordion), comprendeva intervalli di quarto di tono, una caratteristica degli strumenti più antichi ancora oggi presente nella musica tradizionale orientale. Inizialmente, il primo esemplare di intonarumori presentava una certa complessità di azionamento a causa del frazionamento delle singole unità di rumori rappresentate da più di 20 suoni diversi. Più tardi Russolo concepirà l'evoluzione dello strumento in quello che verrà battezzato rumorarmonio. A differenza del primo intonarumori, quest'ultimo assomigliava sempre di più ad un sintetizzatore moderno, in quanto l'azionamento manuale dei controlli di volume, tono e modulazione erano concentrati in una sorta di consolle ed elettrificati. Il nuovo strumento, realizzato dal futurista veneto nel 1922, fu chiamato anche russolofono in omaggio al suo creatore. L'invenzione di Luigi Russolo fu il mezzo per mettere in pratica la concezione futurista della musica che, senza bisogno di sottolinearlo, mirava allo sconvolgimento di tutti i canoni precedenti. L'artista fu autore del manifesto musicale "L'Arte dei Rumori" (1916), un excursus sull'evoluzione della musica nei secoli, il saggio che influenzò quasi un secolo più tardi gli Art Of Noise. Nel trattato vi è una visione dello sviluppo evolutivo della musica parallelo a quello degli strumenti. Se nell'antichità l'armonia era sconosciuta così come la complessità degli accordi (impossibili da modulare) dal canto gregoriano in poi furono stabiliti i canoni che evolveranno nella concezione moderna della scrittura musicale. Dalle semplici terzine base degli accordi, nacquero forme musicali sempre più complesse che comprendevano anche accordi dissonanti. La rottura degli schemi, secondo la teoria musicale di Russolo, doveva balzare ancora più avanti per adattarsi alla civiltà della rivoluzione industriale, delle macchine, degli aeroplani. Se la civiltà pre-industriale era caratterizzata dal silenzio a da archetipi musicali dominati dalla melodia, la musica del futuro doveva riprodurre il rumore includendolo nell'orchestra come un elemento fisso e caratterizzante la composizione musicale. Poco distante da quello che viene chiamato synth pad (o tappeto) creato dai sintetizzatori contemporanei, usati tanto nella musica elettronica quanto nel pop e nel rock.Il suono originale dell'intonarumori di Luigi Russolo L' eredità di Russolo nella musica elettronica: Ems Vcs-3 La determinazione di Russolo e dei futuristi fece sì che l'intonarumori e più tardi il rumorarmonio venissero presentati al pubblico nei teatri. Dopo una fugace dimostrazione di un singolo scoppiatore nel 1913 presso il teatro Storchi di Modena, Russolo decise di portare la sua invenzione e le sue composizioni all'appuntamento col grande pubblico, con l'intenzione di "svecchiarne" l'orecchio musicale. L'appuntamento fu al Teatro Dal Verme nel centro di Milano il 21 aprile 1914, dove Marinetti avrebbe presentato al pubblico dei melomani della tradizione operistica l'invenzione di Russolo. La serata fu caratterizzata dalla presenza dei più agguerriti loggionisti, mentre la platea rimase semideserta. Russolo per l'occasione presentò tre movimenti per orchestra e intonarumori: il risveglio di una città,"pranzo su una terrazza del Kursaal e convegno di automobili ed aeroplani. Non si udì quasi nulla dei suoni sintetici del nuovo strumento perchè il pubblico cominciò a fischiare, urlare ed imprecare contro i musicisti sul palco e nei confronti di Russolo che li dirigeva. A nulla valse la preghiera di Marinetti di risevare i fischi alla fine dell'esibizione per poterla portare a termine. Anzi, agli improperi seguì un lancio di ortaggi che fece degenerare la serata. Marinetti, in compagnia dei fondatori del futurismo Carrà e Boccioni affrontarono il pubblico rispondendo alle provocazioni scendendo dal palco e degenerando in una rissa a suon di pugni e calci, fino all'intervento dei Carabinieri. Ma la zuffa proseguì fuori dal teatro fino al ristorante Savini in galleria Vittorio Emanuele, che fu costretto ad abbassare le serrande fino a che, nella notte fonda, nel silenzio della città contrapposto al fragore dei tempi moderni amato dai futuristi, la rissa si placò. Russolo rimase infuriato, tanto che nei mesi successivi cercò la rivincita. Questa volta, nell'aprile del 1914 aspettò fuori dal Conservatorio un deputato di Treviglio, l'onorevole Cameroni. L'inventore del rumore armonizzato lo sfidò a causa di un articolo che era comparso firmato dal politico sul periodico "L'Italia" che ridicolizzava la musica futurista e i suoi autori. Cameroni prese un pugno in faccia mentre era a braccetto con la moglie e ne seguì una rissa che coinvolse più persone. Alle dinamiche a lungo studiate e applicate alla modulazione del rumore futurista fece seguito qualcosa di altrettanto dinamico come il suono prodotto da schiaffi e pugni. Russolo non si diede per vinto e fino agli anni '30, con alterne fortune, portò la sua invenzione per i teatri d'Italia e persino a Parigi. Si spegnerà nel 1947 a Laveno, sulla sponda lombarda del Lago Maggiore senza rendersi conto di quanto l'intonarumori avrebbe donato all'evoluzione della musica elettronica contemporanea.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 19 dicembre con Flaminia Camilletti
Alberto Stasi (Ansa)
Ieri, nell’aula del tribunale di Pavia, quell’ombra è stata cancellata dall’incidente probatorio. «È stato chiarito definitivamente che Stasi è escluso». Lo dice senza giri di parole all’uscita dal palazzo di giustizia Giada Bocellari, difensore con Antonio De Rensis di Stasi. «Tenete conto», ha spiegato Bocellari, «che noi partivamo da una perizia del professor Francesco De Stefano (il genetista che nel 2014 firmò la perizia nel processo d’appello bis, ndr) che diceva che il Dna era tutto degradato e che Stasi non poteva essere escluso da quelle tracce». È il primo elemento giudiziario della giornata di ieri. La stessa Bocellari, però, mette anche un freno a ogni lettura forzata: «Non è che Andrea Sempio verrà condannato per il Dna. Non verrà mai forse neanche rinviato a giudizio solo per il Dna». Gli elementi ricavati dall’incidente probatorio, spiega, sono «un dato processuale, una prova che dovrà poi essere valutata e questo lo potrà fare innanzitutto la Procura quando dovrà decidere, alla fine delle indagini, cosa fare». Dentro l’aula, però, la tensione non è stata solo scientifica. È stata anche simbolica. Perché Stasi era presente. Seduto, in silenzio. E la sua presenza ha innescato uno scontro.
«È venuto perché questa era una giornata importante», spiega ancora Bocellari, aggiungendo: «Tenete conto che sono undici anni che noi parliamo di questo Dna e finalmente abbiamo assunto un risultato nel contraddittorio». Una scelta rivendicata senza tentennamenti: «Tenete conto anche del fatto che lui ha sempre partecipato al suo processo, è sempre stato presente alle udienze e quindi questo era un momento in cui esserci, nel massimo rispetto anche dell’autorità giudiziaria che oggi sta procedendo nei confronti di un altro soggetto». E quel soggetto è Sempio. Indagato. Ma assente. Una scelta opposta, spiegata dai suoi legali. «In ogni caso non avrebbe potuto parlare», chiarisce Angela Taccia, che spiega: «Il Dna non è consolidato, non c’è alcuna certezza contro Sempio. Il software usato non è completo, anzi è molto scarno, non si può arrivare a nessun punto fermo». Lo stesso tono lo usa Liborio Cataliotti, l’altro difensore di Sempio. «Confesso che non mi aspettavo oggi la presenza di Stasi. Però non mi sono opposto, perché si è trattato di una presenza, sia pur passiva, di chi è interessato all’espletamento della prova. Non mi sembrava potessero esserci controindicazioni alla sua presenza». Se per la difesa di Sempio la presenza di Stasi è neutra, sul fronte della famiglia Poggi il clima è diverso. L’avvocato Gian Luigi Tizzoni premette: «Vedere Stasi non mi ha fatto nessun effetto, non ho motivi per provare qualsiasi tipo di emozione». Ma la linea processuale è chiara. Durante l’udienza i legali dei Poggi (rappresentati anche dall’avvocato Francesco Compagna) hanno chiesto che Stasi uscisse dall’aula perché «non è né la persona offesa né l’indagato». Richiesta respinta dal gip Daniela Garlaschelli come «irrilevante e tardiva», perché giunta «a sei mesi di distanza dall’inizio dell’incidente probatorio». Stasi è stato quindi ammesso come «terzo interessato». Ma l’avvocato Compagna tiene il punto: «Credo che di processuale ci sia poco in questa vicenda, è un enorme spettacolo mediatico». E attacca sul merito: «La verità è che le unghie sono prive di significato, visto che la vittima non si è difesa e giocare su un dato che non è scientifico è una follia».
La perita Denise Albani, ricorda Compagna, «ha ribadito che non si può dire come, dove e quando quella traccia è stata trasferita e quindi non ha valore». Deve essersi sentito un terzo interessato anche il difensore dell’ex procuratore aggiunto di Pavia Mario Venditti (indagato a Brescia per un’ipotesi di corruzione in atti giudiziari riferita all’archiviazione della posizione di Sempio nel 2017). L’avvocato Domenico Aiello, infatti, ha alzato il livello dello scontro: «Non mi risulta che esista la figura della parte processuale del “terzo interessato”. Si è palesato in aula a Pavia il titolare effettivo del subappalto di manodopera nel cantiere della revisione». E insiste: «Sarei curioso di capire se sia soddisfatto e in quale veste sarà registrato al verbale di udienza, se spettatore abusivo o talent scout od osservatore interessato. Ancora una grave violazione del Codice di procedura penale. Spero non si sostituisca un candidato innocente con un altro sfortunato innocente e a spese di un sicuro innocente».
Ma mentre le polemiche rimbalzano fuori dall’aula, dentro il dato resta tecnico. E su quel dato, paradossalmente, tutti escono soddisfatti. «Dal nostro punto di vista abbiamo ottenuto risposte che riteniamo molto ma molto soddisfacenti sulla posizione di Sempio», dice Cataliotti. Taccia conferma: «Siamo molto soddisfatti di com’è andata oggi». La difesa di Sempio ribadisce che il dato è neutro, parziale, non decisivo. La difesa di Stasi incassa l’esclusione definitiva del Dna. E alla fine l’incidente probatorio ha fatto la sua parte. Ha prodotto una prova. Ha chiarito un equivoco storico. E ha lasciato ognuno con il proprio argomento in mano. Fuori dall’aula, però, il processo mediatico si è concentrato tutto sulla presenza di Stasi e sull’assenza di Sempio, come se l’innocenza o la colpevolezza di qualcuno fosse misurabile a colpi di apparizioni sceniche.
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E come si può chiamare un tizio che promette «appena posso (violare la legge, ndr) lo rifaccio»?. «Costi quel che costi», disse Luca Casarini, «al vostro ordine continuerò a disobbedire, perché obbedisco ad altro, di fronte al quale le vostre leggi ingiuste e criminali, ciniche e orribili non possono niente». Quelle contestate sono le leggi dello Stato italiano, approvate dal Parlamento italiano, vigilate dalla Corte costituzionale italiana, rispettate dalla maggioranza degli italiani. Ma per Casarini e compagni si possono ignorare. Anzi, si devono violare. E nessuno può permettersi il diritto di critica e di chiamarli pirati. «Abbiamo disobbedito a un ordine ingiusto e inumano del ministero dell’Interno», disse Beppe Caccia, capo missione di Mediterranea, «ma così facendo abbiamo obbedito al diritto marittimo, alla Costituzione italiana, alle leggi dell’umanità». Chi si può arrogare il diritto di stabilire che ci si può infischiare di una legge? Ve la immaginate quale sarebbe la reazione di fronte a un tizio che ignora il codice della strada o la normativa fiscale e dice che lui risponde a una legge superiore? E vi ricorda qualche cosa la definizione di «legge criminale»? Negli anni della contestazione lo Stato era criminale, le misure repressive, i divieti autoritari. Come sia finita si sa.
Il soccorso in mare ha un obiettivo politico: è un’azione che mira a «contrastare e a sovvertire il sistema capitalista e patriarcale» come ha spiegato don Mattia Ferrari, il cappellano di Mediterranea. «Abbiamo abbattuto un muro. Quello innalzato in mare dal decreto sicurezza bis. Siamo stati costretti a farlo», ha aggiunto Carola Rackete, la capitana che nella foga di attraccare nonostante le fosse stato negato il diritto allo sbarco andò a sbattere con la sua nave contro una motovedetta della Guardia di finanza. E costoro non si possono definire pirati? Chiamarli tali, perché come diceva il filosofo Giulio Giorello a proposito dei bucanieri, ritengono la loro coscienza «superiore a ogni legge», sarebbe diffamatorio? E quale offesa alla propria reputazione, quale danno, avrebbero patito, di grazia? È evidente che le querele hanno un obiettivo: tappare la bocca a chi esprime un giudizio critico, impedire alla libera stampa di dire quel che pensa e di chiamare le cose con il loro nome.
Da una settimana si discute di giornali comprati e venduti, perché John Elkann ha messo in vendita Repubblica e La Stampa. Ma la minaccia all’articolo 21 della Costituzione non viene da un imprenditore greco o italiano che compra una testata, bensì dal tentativo di imbavagliare chi si oppone, con le inchieste e le notizie, alla strategia dell’immigrazione, arma - come predica don Ferrari - usata per abbattere il sistema capitalistico e patriarcale. Sono certo che di fronte alla sentenza contro Panorama non si leveranno le voci degli indignati speciali. Quelle si alzano solo quando condannano Roberto Saviano a pagare mille euro per aver chiamato bastardi Meloni e Salvini. Visti i risultati, mi conveniva titolare «I nuovi bastardi».
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