2024-06-18
«In due anni la Russia finirà di conquistare le regioni che rivendica»
L’esperto James W. Carden: «Per evitare il peggio è opportuno congelare la linea del fronte. L’ostilità a Mosca ci danneggia, ma neanche Trump può cambiare le cose».Vive a Washington James W. Carden, da oltre dieci anni si occupa delle relazioni tra Usa e Russia, e durante l’amministrazione Obama lavorava all’Ufficio per gli Affari russi, ove ha contribuito in modo determinante a garantire l’approvazione di un memorandum d’intesa tra Usa e Russia in materia di cooperazione regionale. È anche consulente e membro del cda del Centro di filosofia politica Simone Weil, redattore ed editorialista delle riviste The American conservative e The Nation, e collabora regolarmente con antiwar.com e responsiblestatecraft.com del Quincy Institute. Assieme al compianto Stephen F. Cohen - forse il più importante storico della Russia moderna - e alla brillante moglie di questi, Katrina vanden Heuvel, James Carden ha cofondato l’American committee for the Usa-Russia accord (Acura).James, vuole cominciare col dirci qualcosa di Acura?«Il Comitato ritiene che l’atmosfera di ostilità reciproca tra Usa e Russia non serva agli interessi della sicurezza nazionale americana, né alla causa di un mondo più pacifico. Leggo dalla nostra dichiarazione di intenti: “È importante riconoscere di avere seri disaccordi con la Russia, ma questi non dovrebbero chiudere la porta al dialogo o alla possibilità di cooperare su questioni di reciproco interesse nazionale”». Il vostro impegno è di oltre un decennio precedente l’occupazione russa in Ucraina. Siete finanziati da Mosca?«Certo che no! Né da alcun ente straniero. Anche se ci hanno accusato di essere in combutta col Cremlino. Semplicemente eravamo tra i pochissimi in America ad aver chiaro cosa sarebbe successo con l’espansione della Nato in Ucraina: sapevamo - e lo scrivevamo - che ci sarebbe stata una guerra».Ed eccola, la guerra. Cosa ne pensa?«Ha radici in una disputa su una cosa banale: mancati accordi commerciali con la Ue che l’allora presidente ucraino Viktor Yanukovych si rifiutava di firmare nel 2013. I neoconservatori americani e gli interventisti liberali fecero combutta coi nazionalisti galiziani dell’Ucraina occidentale - eredi di collaborazionisti nazisti come Stepan Bandera e della Divisione Waffen-SS Galizia - per provocare la guerra. Nel 2015 ero nel Donbass, in piena guerra (perché è da allora che cominciava questa guerra, non nel 2022), e provo una buona dose di simpatia umana per le persone che vivono in quella regione. Ho visto nonne e bambini nascosti in bunker di epoca sovietica per sfuggire ai bombardamenti ordinati dall’oligarca ucraino trasformato in presidente, Petro Poroshenko, la cui cosiddetta “operazione antiterrorismo”, come ora sappiamo, fu lanciata per volere del direttore della Cia, John Brennan. Pensavo allora - come penso oggi - che quello che stavamo facendo fosse una cosa vergognosa: fomentare una guerra civile totalmente inutile e immorale in un Paese lontano che non ha alcuna importanza strategica per noi, solo per far cadere il governo russo, rischiando al contempo una guerra nucleare e uccidendo persone innocenti senza motivo. Eppure, c’è un gruppo di ideologi radicati nell’establishment della politica estera di Washington - sia repubblicani sia democratici - che credono che condurre questa guerra sia nell’interesse americano, che sia stato un “buon investimento” perché la Russia ha perso decine, se non centinaia di migliaia di soldati, mentre la Nato non ha sofferto affatto». Ha appena nominato l’establishment della politica estera di Washington: può dirci qualcosa di più?«La cosa principale da capire è che esso è bipartisan e premia i fallimenti. Perché funziona così? Perché l’establishment della politica estera si regge sul denaro: il denaro dell’industria della Difesa finanzia il mondo dei think tank, che a sua volta impiega e protegge queste persone che hanno così spesso fallito. Il principale think tank di Washington, la Brookings Institution, è gestito grazie al denaro che riceve dai governi stranieri, dalla Nato e dall’industria bellica. Pertanto, l’establishment è incentivato all’intervento armato e al militarismo. Il successo o il fallimento di una politica o di un’operazione è irrilevante: l’unica cosa che conta è che ci siano delle operazioni (e non si tratta necessariamente di operazioni militari, per operazioni intendo tutti i tipi di impegno all’estero, compreso il lavoro “umanitario” che - come nel caso di gran parte del lavoro svolto in luoghi come l’Afghanistan - non porta a nulla). Queste operazioni sono finanziate dai contribuenti attraverso il Pentagono, l’Intelligence community, il Dipartimento di Stato e l’Us-Aid (Agenzia Usa per lo sviluppo internazionale, ndr). Queste operazioni sono la linfa vitale dell’establishment della politica estera: un letale circolo vizioso». Una vittoria di Donald Trump alle prossime elezioni farebbe la differenza?«Sono dell’idea - e ammetto che potrei sbagliarmi di grosso - che Joe Biden vincerà un secondo mandato grazie anche alla candidatura di Robert F. Kennedy, Jr. che, a mio avviso, sottrarrà voti a Trump in alcuni Stati critici. E non credo che, se vincesse, Trump porterà un cambiamento significativo nella conduzione degli affari esteri degli Stati Uniti, perché sembra destinato a commettere gli stessi errori del suo primo mandato: nominerà membri del già citato establishment di Washington che sono profondamente legati all’industria bellica».Cosa pensa della recente proposta di cessate il fuoco di Vladimir Putin? «Mi spiace dirlo, ma non la vedo come una proposta seria. Si tratta di richieste, non di un tentativo di compromesso. Chiedere che Kiev si ritiri dalle quattro province nominate da Putin, in cambio di nulla, sembra irrealistico. Sarebbe più accettabile una proposta che congeli il conflitto sulla linea di contatto. Ma se la Russia vuole mantenere la totalità delle quattro province contese, allora dovrà conquistarle, e sospetto che lo farà nei prossimi due anni».Tuttavia, dal momento che la narrazione costante qui nella Ue è stata il timore che la Russia ambisse a conquistare l’intera Ucraina e, addirittura, procedere oltre, la proposta di Putin non è «in cambio di nulla». Mi sembra un ottimo affare per la Ue porre fine alla guerra e limitare il bottino di Putin a territori che, dopo tutto, è dal 2014 che sono presi a pesci in faccia dal governo centrale…«Penso che gli obiettivi finali di Putin non siano ancora chiari. La sua proposta potrebbe essere, sì, vista come un buon punto di partenza per la pace, ma sembra pensata per essere rifiutata. Potrebbe essere il preludio di un’offensiva più ampia con cui i russi prendono di mira Odessa e forse creano un ponte di terra con la Transnistria. Non abbiamo modo di saperlo. Il minimo che Putin cerca è la garanzia della neutralità ucraina, senza la quale egli non può terminare la guerra. Questa richiesta dovrebbe essere facilmente e rapidamente accettata da Washington e Bruxelles - e sarebbe di grande aiuto per porre fine al conflitto. Ma non vedo segnali di Washington che indichino l’accettazione dello status di neutralità per l’Ucraina - anche se nel marzo 2022 si disse pronta ad accettarlo. La guerra è imperniata sulla questione della neutralità. Preghiamo che prevalgano teste più calme e più sagge».Insomma, per la pace si può solo pregare?«Con la Russia che minaccia disinvoltamente la guerra nucleare e gli Stati Uniti e la Ue guidati da persone non all’altezza, lo consiglierei vivamente».
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.