
Le tonnellate di nitrato d'ammonio stoccate al porto spingono per l'esplosione accidentale. Ora spunta un armatore che abbandonò un carico della sostanza. Ma la dinamica fa pensare anche a esplosivi militari. E infatti Israele e Hezbollah si scambiano accuse.Hezbollah e Israele si accusano di aver avuto un ruolo nelle due esplosioni che martedì sera hanno distrutto il porto di Beirut e parte della capitale del Libano, provocando almeno 130 morti, 4.000 feriti (la Difesa ha confermato che il militare italiano rimasto ferito sta bene) e un centinaio di dispersi. Danni stimati tra i 3 e i 5 miliardi di dollari e almeno 300.000 persone senza casa. L'effetto delle esplosioni è stato apocalittico: boato udito fino a Nicosia, sull'isola di Cipro, distante più di 240 chilometri.Per le milizie sciite filoiraniane l'esplosione sarebbe stata causata da un sabotaggio dello Stato ebraico. Secondo il quale, invece, il magazzino esploso sarebbe stato utilizzato da Hezbollah come deposito di armi. Non è sfuggita, inoltre, una coincidenza: domani era attesa (rinviata ieri al 18 agosto) la sentenza del Tribunale speciale per il Libano, con sede all'Aja, sull'omicidio dell'ex premier Rafiq Hariri avvenuto il 14 febbraio 2005 (imputati quattro uomini di Hezbollah in contumacia). Smentite da tre fonti del Pentagono citate dalla Cnn le dichiarazioni del presidente statunitense Donald Trump, che aveva parlato di una bomba.Le indagini si preannunciano lunghe e complesse. Le teorie cospirazioniste, intanto, stanno lasciando spazio alla convinzione che le due esplosioni siano state causate dalla cattiva gestione. Le autorità libanesi hanno ammesso che le deflagrazioni sono avvenute in un deposito nei pressi del porto, dov'erano custodite 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio (una sostanza utilizzata per produrre fertilizzanti e, in certe condizioni, altamente esplosiva), confiscate anni fa ad alcuni contrabbandieri. La sostanza è deflagrata forse per le scintille sprigionatesi durante un'operazione di saldatura nel magazzino.Il responsabile delle dogane, Badri Daher, ha dichiarato la sua agenzia aveva ripetutamente chiesto che il nitrato di ammonio venisse rimosso dal porto, ma «ciò non è accaduto». «Lasciamo agli esperti determinarne i motivi», ha aggiunto. Sempre secondo Daher, che ha precisato che vicino al nitrato c'erano dei fuochi d'artificio, la magistratura libanese venne informata sei volte sulla pericolosità del nitrato di ammonio presente nel porto di Beirut dal 2014, con la richiesta da parte delle autorità doganali del via libera alla sua esportazione, ma l'autorizzazione non venne mai concessa. Secondo ShipArrested.com, che si occupa della vicenda dal 2014, all'origine della catastrofe ci sarebbe una nave, la Rhosus, battente bandiera moldava ma di proprietà di un armatore russo di stanza a Cipro, Igor Grechushkin. Salpata dalla Georgia, nel settembre 2013, direzione Mozambico fu costretta a una sosta nel porto di Beirut a causa di problemi tecnici. Ispezionata dalle autorità libanesi fu bloccata. Secondo il capitano, Boris Prokoshev, Grechushkin, invece di affrontare i problemi, «ha abbandonato la nave, dicendo di essere finito in bancarotta, ha smesso di pagare i salari e ha privato la nave di tutti i collegamenti, tra cui internet, satellite e telefono».Ma qualche dubbio rimane. Danilo Coppe, tra gli esplosivisti più quotati d'Italia, nel 2019 ha fatto da consulente all'abbattimento dei resti del Morandi: «Non credo al nitrato di ammonio, penso ci fosse un deposito di munizioni ed esplosivi». Il che sembra andare nella stessa direzione dei sospetti delle intelligence israeliana e occidentali.Intanto, sono stati messi agli arresti domiciliari (sotto la supervisione dell'esercito libanese) tutti gli ufficiali dell'autorità portuale della città, responsabili dello stoccaggio dei materiali nei magazzini e della sicurezza della struttura. Il premier Hassan Diab ha dichiarato tre giorni di lutto nazionale e rivolto un appello ai «Paesi amici» del Libano, invitandoli «a stare al suo fianco e ad aiutarci a guarire le nostre profonde ferite». Aiuti arriveranno dalla Francia (oggi il presidente Emmanuel Macron sarà in Libano). Pronti a fornire sostegno, tra gli altri, Germania, Italia, Stati Uniti, Unione europea e pure Israele, ma anche Turchia e Qatar.Le definizioni «Svizzera del Medio Oriente» per il Libano e «Parigi del Medio Oriente» per Beirut sono ormai un lontano ricordo. Alla crisi economica, alle proteste politiche e all'epidemia di coronavirus che già avevano azzoppato il Libano, si è dunque aggiunta una tragedia che forse era evitabile. «Stiamo assistendo a un'enorme catastrofe», ha detto il capo della Croce Rossa libanese, George Kettani. Come non bastasse, è scattato anche un allarme per la possibile presenza di sostanze tossiche nell'aria.Dopo le due esplosioni si è tornato a parlare di carestia e la popolazione sembra ancor più insofferente davanti agli scaricabile della politica (chi addita Hezbollah e chi addita Israele): il porto di Beirut fuori gioco significa maggiori difficoltà a rifornire di cibo i libanesi. Quello di Tripoli, nel Nord, non è altrettanto connesso con il Paese. Ecco perché considerata la dipendenza del Libano, dalle importazioni alimentari parla di carestia non è così avventato.
Massimo Doris (Imagoeconomica)
Secondo la sinistra, Tajani sarebbe contrario alla tassa sulle banche perché Fininvest detiene il 30% del capitale della società. Ma Doris attacca: «Le critiche? Ridicole». Intanto l’utile netto cresce dell’8% nei primi nove mesi, si va verso un 2025 da record.
Nessun cortocircuito tra Forza Italia e Banca Mediolanum a proposito della tassa sugli extraprofitti. Massimo Doris, amministratore delegato del gruppo, coglie l’occasione dei conti al 30 settembre per fare chiarezza. «Le critiche sono ridicole», dice, parlando più ai mercati che alla politica. Seguendo l’esempio del padre Ennio si tiene lontano dal teatrino romano. Spiega: «L’anno scorso abbiamo pagato circa 740 milioni di dividendi complessivi, e Fininvest ha portato a casa quasi 240 milioni. Forza Italia terrebbe in piedi la polemica solo per evitare che la famiglia Berlusconi incassi qualche milione in meno? Ho qualche dubbio».
Giovanni Pitruzzella (Ansa)
Il giudice della Consulta Giovanni Pitruzzella: «Non c’è un popolo europeo: la politica democratica resta ancorata alla dimensione nazionale. L’Unione deve prendere sul serio i problemi urgenti, anche quando urtano il pensiero dominante».
Due anni fa il professor Giovanni Pitruzzella, già presidente dell’Autorià garante della concorrenza e del mercato e membro della Corte di giustizia dell’Unione europea, è stato designato giudice della Corte costituzionale dal presidente della Repubblica. Ha accettato questo lungo colloquio con La Verità a margine di una lezione tenuta al convegno annuale dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, dal titolo «Il problema della democrazia europea».
Ansa
Maurizio Marrone, assessore alla casa della Regione Piemonte in quota Fdi, ricorda che esiste una legge a tutela degli italiani nei bandi. Ma Avs la vuole disapplicare.
In Italia non è possibile dare più case agli italiani. Non appena qualcuno prova a farlo, subito si scatena una opposizione feroce, politici, avvocati, attivisti e media si mobilitano gridando alla discriminazione. Decisamente emblematico quello che sta avvenendo in Piemonte in queste ore. Una donna algerina sposata con un italiano si è vista negare una casa popolare perché non ha un lavoro regolare. Supportata dall’Asgi, associazione di avvocati di area sorosiana sempre in prima fila nelle battaglie pro immigrazione, la donna si è rivolta al tribunale di Torino che la ha dato ragione disapplicando la legge e ridandole la casa. Ora la palla passa alla Corte costituzionale, che dovrà decidere sulla legittimità delle norme abitative piemontesi.
Henry Winkler (Getty Images)
In onda dal 9 novembre su History Channel, la serie condotta da Henry Winkler riscopre con ironia le stranezze e gli errori del passato: giochi pericolosi, pubblicità assurde e invenzioni folli che mostrano quanto poco, in fondo, l’uomo sia cambiato.
Il tono è lontano da quello accademico che, di norma, definisce il documentario. Non perché manchi una parte di divulgazione o il tentativo di informare chi stia seduto a guardare, ma perché Una storia pericolosa (in onda dalle 21.30 di domenica 9 novembre su History Channel, ai canali 118 e 409 di Sky) riesce a trovare una sua leggerezza: un'ironia sottile, che permetta di guardare al passato senza eccessivo spirito critico, solo con lo sguardo e il disincanto di chi, oggi, abbia consapevolezze che all'epoca non potevano esistere.






