2025-03-11
Diritti e precedenti sbagliati. Sui rimborsi ai migranti la Cassazione sfida la logica
Migranti sulla nave «Diciotti» della Guardia Costiera (Getty Images)
La Corte glissa sulla facoltà di sbarco dalla Diciotti. Ma se non c’era, la libertà personale non è stata violata... Inopportuno anche citare un verdetto Cedu: quel caso era diverso.Pietro Dubolino, Presidente di sezione emerito della Corte di CassazioneLa recente pronuncia della Corte di Cassazione con la quale è stato riconosciuto ad alcuni migranti soccorsi in mare dalla nave Diciotti il diritto a ottenere dallo Stato italiano il risarcimento dei danni loro derivati dall’asserito, indebito ritardo con il quale era stato concesso, dal ministro dell’Interno dell’epoca, Matteo Salvini, dapprima l’attracco della nave nel porto di Catania e poi lo sbarco in terraferma, si fonda, essenzialmente, su di un unico assunto: quello, cioè, che essi sarebbero stati indebitamente privati della libertà personale, in violazione dell’articolo 13 della Costituzione. La pronuncia in questione è stata resa a seguito di ricorso proposto da uno dei migranti avverso la decisione della Corte d’appello di Roma con la quale la richiesta di risarcimento era stata respinta, sulla base di varie argomentazioni tra le quali, in particolare, quella - per come riportata nel provvedimento della Cassazione - che «le norme internazionali non fondano un diritto allo sbarco». Su tale passaggio argomentativo la Cassazione ha appuntato la propria critica, osservando che «non si trattava di valutare se tali norme fondassero oppure no un tale diritto, quanto al contrario di valutare se, con quali presupposti e in che limiti tali norme autorizzassero il trattenimento dei migranti a bordo della unità dell’amministrazione statale che li aveva soccorsi»; ciò in quanto - si prosegue - a sostegno della richiesta di risarcimento era posta l’asserita «lesione del diritto (“inviolabile”) alla libertà personale ex art. 13 Cost., cagionata a causa dell’illegittimo trattenimento a bordo della nave “U. Diciotti”». Senonché, a ben vedere, si tratta di un ragionamento che appare, a sua volta, meritevole di critica, sul piano della consequenzialità logica. Per sostenere, infatti, che il trattenimento dei migranti a bordo della nave che li aveva soccorsi costituisse una indebita limitazione della loro libertà personale occorrerebbe dare per accertato che essi avessero, appunto, in base a norme internazionali o, se si vuole, anche interne, proprio quel «diritto allo sbarco» di cui, invece, la Corte di Cassazione ha, inopinatamente, escluso la rilevanza; lo stesso diritto, in sostanza, che spetta ai comuni passeggeri di una nave una volta che questa abbia raggiunto il porto di destinazione. Ma i migranti, non avendo, in partenza, titolo a essere accolti nel territorio dello Stato, non potevano certo essere equiparati a dei comuni passeggeri. In mancanza del suddetto diritto, quindi, e considerando che la loro presenza a bordo della nave era, «ab origine», del tutto legittima, trattandosi della nave dalla quale erano stati tratti in salvo, non sembra proprio - contrariamente a quanto affermato dalla Cassazione - che a giustificare la forzosa, temporanea protrazione di quella presenza occorresse il soccorso di una qualsivoglia, apposita norma. E ciò tanto più in quanto la protrazione non era certo frutto di un capriccio ma traeva la sua ragion d’essere - come emerge dalla stessa pronuncia della Cassazione - dall’esistenza di un contenzioso in atto con la repubblica di Malta, nella cui zona Sar era avvenuto il soccorso dei migranti e sulla quale, quindi, sarebbe gravato, a rigore, l’onere della loro almeno provvisoria accoglienza. Essa sarebbe quindi durata soltanto per il prevedibile, ragionevole lasso di tempo entro il quale il contenzioso si sarebbe, in un modo o nell’altro, risolto ovvero, in alternativa - come pure emerge dalla pronuncia in discorso - si fosse concretizzata o meno la possibilità che i migranti venissero distribuiti fra altri Paesi. Ulteriore incongruenza logica riscontrabile nel ragionamento della Corte è poi quella che deriva dall’aver fatto dipendere l’asserita necessità di una norma che legittimasse il trattenimento dei migranti a bordo della nave dal fatto che quel trattenimento avrebbe comportato la lesione di un diritto inviolabile, quale è quello alla libertà personale. La necessità o meno di una norma atta a giustificare un determinato comportamento, per cui, in sua assenza, questo diventa illegittimo e generatore, quindi, di danno risarcibile, non può dipendere dalla natura del diritto che si assume violato. Ogni comportamento, infatti, o è illecito, e allora genera danno risarcibile, quale che sia il diritto violato, o è lecito, e non dà luogo, quindi, ad alcun danno risarcibile. E neppure può ritenersi valido il richiamo che la Corte ha fatto, per avvalorare la propria decisione, al precedente costituito dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo Khlaifia ed altri c. Italia, secondo la quale vi era stata violazione del diritto alla libertà personale, tutelato dall’articolo 5, comma 1, della Convenzione, per essere stati alcuni migranti trattenuti a bordo di navi ormeggiate nel porto di Palermo, senza che sussistessero le condizioni per le quali tale condotta potesse dirsi giustificata in base all’eccezione prevista dalla lettera f) dello stesso articolo 5, relativa al caso che la privazione di libertà sia finalizzata a impedire l’ingresso clandestino di taluno nel territorio dello Stato o sia correlata a procedimenti di espulsione o di estradizione. A escludere la validità di tale richiamo basterebbe il fatto che nel caso oggetto della suddetta sentenza, si trattava di migranti già entrati abusivamente nel territorio dello Stato e colpiti da decreto di respingimento, per cui, secondo la Corte europea, il loro trattenimento, in vista dell’esecuzione del respingimento, sarebbe stato da effettuare in uno degli appositi centri e non invece, come era avvenuto, senza rispetto delle previste garanzie, in un centro di primo soccorso e accoglienza (Cspa) e, poi, a causa dei disordini ivi verificatisi, a bordo delle navi. Le radicali differenze con la vicenda dei migranti trattenuti a bordo della nave Diciotti dovrebbero apparire di solare evidenza. Per concludere, quindi, il meno che sembra potersi dire - se è vero quanto finora osservato - della pronuncia della Cassazione è che essa appare, come affermato con un quasi britannico «understatement» da Giorgia Meloni, «assai opinabile».
Alice Weidel (Getty Images)
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